2021-01-21
Il vero centenario da celebrare oggi è di Eugenio Corti, lo scrittore eroe
Eugenio Corti (Getty images)
Nacque assieme a quel Pci a cui per tutta la vita si oppose con coraggio. Pagando cara la sua indipendenza intellettualeCome spesso accade, le coincidenze sono estremamente significative. Il 21 gennaio del 1921, cento anni fa esatti, a Livorno si costituiva il Partito comunista d'Italia. Nello stesso giorno dello stesso anno a Besana in Brianza, provincia di Monza, veniva al mondo un bambino di nome Eugenio Corti. Nascevano insieme, dunque, il partitone rosso e una delle sue più fiere nemesi. Da una parte lo schieramento politico che più di tutti ha dominato la cultura italiana nel dopoguerra; dall'altra uno scrittore che si è coraggiosamente e ostinatamente opposto al comunismo con romanzi, saggi, interventi, discorsi e, semplicemente, con l'esempio. Eugenio Corti nacque e morì (nel 2014) nello stesso paese, fatto oggi piuttosto raro. Ci teneva alle sue radici, e non voleva reciderle. Primo di dieci figli, veniva da una famiglia di grandi lavoratori. Suo padre Mario, che aveva cominciato come apprendista nel tessile, dopo anni di fatica assieme ai fratelli riuscì a compare la ditta Nava di Besana, e nel giro di poco tempo la fece fiorire. Immaginava per il giovane Eugenio un futuro in azienda, ma lui preferiva i libri. Si era formato a Milano, al collegio San Carlo, però a renderlo un letterato non furono gli studi, bensì la guerra. Nel 1942, sottotenente di artiglieria, si fece mandare sul fronte russo. Lo chiese lui: voleva vedere da vicino quel comunismo a cui, in qualche maniera, la nascita lo aveva legato. Sopravvisse a stento alla campagna di Russia, e nel 1947 pubblicò il suo primo libro, un resoconto della sua straziante esperienza al fronte: I più non ritornano, edito da Garzanti. Fu un successo di pubblico e di critica, ma il clamore attorno a lui durò poco. A Corti non bastava raccontare gli orrori della guerra: lui voleva raccontare anche le mostruosità del comunismo. E nell'Italia di quegli anni non era cosa gradita. La sua prima grande opera «politica» fu la tragedia Processo e morte di Stalin (ora disponibile presso l'editore Ares, come tutti i suoi altri lavori), composta tra il 1960 e il 1961. Andò in scena a Roma nel 1962, al teatro della Cometa, grazie alla compagnia stabile di Diego Fabbri. Ottenne recensioni favorevoli, ma diede anche inizio all'oblio dell'autore. Corti, al di là delle sue idee, è stato uno dei più potenti scrittori italiani. Anzi, è stato un russo trapiantato in Italia, perché la grandezza dei suo romanzi sembra venire da Oriente, ha il respiro di Tolstoj, l'anima ampia come la terra russa. Eppure questi gioielli furono sostanzialmente ignorati dal bel mondo culturale italico. Tra il 1972 e il 1983, Corti scrisse il suo capolavoro, il monumentale Cavallo rosso, diviso in tre parti. Nel corso degli anni ha venduto centinaia di migliaia di copie, è diventato un libro di culto per generazioni di lettori. Ma, di nuovo, se non fosse stato per l'editrice Ares e per il lungimirante Cesare Cavalleri, di questo romanzo non sapremmo nulla. Fu tradotto all'estero, fu amato - come altri suoi scritti - da chi viveva sotto il tallone d'acciaio del socialismo reale. Qui, invece, lo si guardava con sdegno, o non lo si guardava affatto. A tale feroce misconoscimento, Corti reagì da grand'uomo qual era. Senza lamenti, senza vittimismi. Semmai era triste per le sorti delle cultura europea: «Oggi la cultura occidentale è in ritirata e coloro che in qualche modo la detengono, pur riconoscendo una situazione di crisi, non accettano che venga proposto qualche cosa di diverso rispetto a ciò che loro stessi rappresentano. Per chi osa farlo c'è immediatamente una sorta di morte civile», raccontò in una intervista. Lui però continuò a scrivere, e a combattere. Era, in fondo, un soldato. Anzi, un cavaliere. Una quindicina di anni fa andai a trovarlo nella sua bella casa a Besana, meta di pellegrinaggio per centinaia di giovani. «Finora, nella modernità, ho scritto otto libri», mi disse. «Sono un uomo della modernità, in particolare del Ventesimo secolo. È quello che sento più mio. Ma siamo nel Ventunesimo secolo, ormai ho passato gli ottant'anni, e questo non è più il mio tempo». Sì, era un uomo del Novecento, ma il suo spirito stava altrove. Nel Medioevo, precisamente. «Credo che, nel grande quadro della Storia, gli anni che vanno dal 1000 al 1300 circa siano paragonabili soltanto al periodo della Grecia di Pericle. In entrambi i momenti credo si sia raggiunto il maggior grado di perfezione umana», ripeteva. Corti amava il periodo della cavalleria medievale e soprattutto ne apprezzava lo spirito, l'orientamento verticale, tutto rivolto a Dio. «Nel Medioevo dominava una visione teocentrica della realtà, la quale è stata ben presto sostituita da una visione antropocentrica», mi spiegò. «In seguito è arrivata la filosofia illuminista, le cui conseguenze possiamo vedere ancora oggi. Da lì si è arrivati a proclamare la morte di Dio e quest'idea ha permeato tutto l'Occidente. Il fatto di identificare il Medioevo con la barbarie è stato anche una forma di autodifesa dell'illuminismo, che non ha potuto spiegare le barbarie prodotte da se stesso. Nel Novecento abbiamo visto i frutti di questa concezione: i milioni di vittime del nazismo e del comunismo». Corti si opponeva strenuamente ai due contrapposti totalitarismi. Lui militava, certo, ma nelle armate di Dio. Come ha notato Cavalleri, la sua intera opera è stata «milizia». Fu sempre fedele, ma guardava con dolore ai mutamenti del mondo cattolico. «Oggi verrebbe quasi da dire che una cultura cattolica non esiste più», disse poco prima di morire. «La divisione intestina che la abita sembra paralizzarla. Forse bisogna risalire ai tempi di Pio XII per trovare ancora quella chiarezza che forniva un riferimento preciso per tutti». Lo scrittore di Besana, invece, un riferimento chiaro e forte lo è sempre stato - sulla pagine e nella vita - e lo è ancora oggi, come lo sono i suoi capolavori. Cavallo rosso, bianco, indimenticabile cavaliere.
Ecco Edicola Verità, la rassegna stampa del 3 settembre con Carlo Cambi