2022-06-03
Il trucchetto anti embargo dei russi: scambi di barili con le navi europee
Fino ad oggi, i cargo ellenici e maltesi hanno fatto da hub alla Federazione. Ora, per occultare la provenienza del greggio, basterà diluirlo con quello prodotto da Paesi terzi, o riassegnare una bandiera alle imbarcazioni.Soccorso di Opec+ sul caro prezzi. L’ente di monitoraggio Usa chiede al cartello degli esportatori un aumento del 50% della produzione. E dopo i dissapori sull’Iran, Joe Biden prova a riavvicinarsi ai sauditi. Lo speciale comprende due articoli.Calamata, Marsa Scirocco, Marsascala. È da questi porti ellenici e maltesi che, almeno fino a quando Bruxelles non ha deciso lo stop totale ai commerci marittimi di petrolio con la Russia, le navi europee prendevano il largo, s’incrociavano - magari a Sud di Gibilterra, a Ceuta, o addirittura nel canale di Suez - con quelle provenienti dalla Federazione, caricavano i barili di greggio e poi li trasportavano negli scali dei Paesi acquirenti. Legalmente, benché in barba ai blocchi dei traffici che, intanto, erano stati già imposti da Usa e Regno Unito. Secondo Lloyd’s List, quotidiano specializzato nel settore della navigazione, dall’inizio della guerra, con simili stratagemmi, Mosca è riuscita a esportare circa mezzo miliardo di dollari di oro nero al giorno.Dunque, per finanziare le operazioni belliche in Ucraina, a Vladimir Putin, finora, non è stato necessario fare affidamento esclusivo sui partner cinesi o indiani, cui consegnare le merci solitamente destinate ai partner del Vecchio continente (circa il 43% del totale). I produttori russi sono riusciti a insinuarsi nelle porosità dei commerci, nel ventre molle dell’Europa, con metodi già sperimentati da altre nazioni rese bersaglio di sanzioni, come il Venezuela e l’Iran. Ed è significativo che proprio due Stati membri dell’Unione, Malta e soprattutto Grecia, abbiano giocato un ruolo fondamentale. Alla faccia dell’Europa unita contro gli autocrati: quando c’è di mezzo il business, pecunia non olet. In particolare, i cargo dell’Ellade si sono riforniti sia direttamente nei porti di Primorsk, Novorossijsk, Ust Luga e San Pietroburgo, sia tramite le operazioni di trasferimento «ship to ship» (Sts è la sigla che si usa nel gergo tecnico). Un paio di settimane fa, Reuters già segnalava che la Grecia era diventata, di fatto, il nuovo hub dei russi, con «arrivi record» dalla Federazione nel mese di aprile. Ma adesso che il Consiglio Ue ha finalmente - e faticosamente - varato l’embargo definitivo sulle rotte acquatiche? Nel porto del Peloponneso monitorato da Lloyd’s List, ancora ieri era atteso l’arrivo di petroliere russe alle quali, tuttavia, è ormai precluso l’attracco. Non è detto, comunque, che per Putin e compagnia la musica cambi. Le tecniche per aggirare la rappresaglia economica esistono, sono ben rodate ed è difficile immaginare che gli armatori si rassegnino a rinunciare d’emblée a certi munifici giri d’affari.Il punto d’appoggio più immediato, fa notare Europatoday, si basa sempre sui movimenti Sts, compiuti direttamente in mare. È sufficiente aggiungere un passaggio intermedio: ovvero, diluire il greggio russo con quello proveniente da un Paese terzo non sanzionato. A quel punto, le navi greche potrebbero rietichettare i barili e consegnarli tranquillamente negli scali dei Paesi dell’Unione. In fondo, siamo su un terreno analogo a quello delle famigerate triangolazioni, che diverse aziende manifatturiere italiane avevano candidamente ammesso di praticare per salvaguardare una componente irrinunciabile delle loro entrate. Nel frattempo, a schivare i controlli sulle grandi manovre tra le onde, ci pensano gli stessi natanti russi. I quali, negli ultimi tempi, si sono dimostrati sempre più adusi a spegnere i transponder, per complicare i tentativi di rintracciarne la destinazione. Nel solo mese di marzo, sono stati censiti 33 episodi di navi sparite all’improvviso dai radar. In ballo, poi, resta il vecchio trucco di cambiare bandiera. Anche questo, in tutto e per tutto legale. Meno di un mese fa, ad esempio, una petroliera bloccata da oltre 30 giorni nell’isola ellenica di Eubea, a un certo punto, aveva issato il vessillo di Teheran. Ad aprile, Bloomberg riportava che i natanti russi stavano riassegnando le loro bandiere «a ritmi da record». Secondo quanto riferito da Business insider, le navi si stavano registrando in Stati come le Isole Marshall, o Saint Kitts e Nevis: solo a marzo, 18 imbarcazioni russe avevano completato la modifica. Con tale metodo, ergo, occultando la nazione d’origine del cargo, aggirare gli embarghi senza ufficialmente violare le norme non è affatto un’impresa impossibile.Invero, la gherminella è un segreto di Pulcinella e ne è consapevole la stessa Unione europea. Non a caso, a inizio maggio, l’Alto rappresentante per gli Affari esteri, Josep Borrell, si era recato a Panama, una delle mete più gettonate per il camouflage, con lo scopo di mettere in guardia le autorità locali. Non è noto se la promessa collaborazione panamense abbia ostacolato i furbetti dell’oro nero. Quel che è certo è che, se non infinite, le vie del petrolio sono innumerevoli. E complicate da sbarrare. Come è evidente che la Russia è tutt’altro che la declinante potenza, isolata e condannata a un’inesorabile implosione, che dipinge una certa propaganda trionfalista qui in Occidente. Alla lunga, le sanzioni corroderanno sicuramente il gigante dai piedi d’argilla. Ma non fermeranno i tank e l’artiglieria degli invasori sul breve-medio periodo. Quello che, al Cremlino, si auspicano basti per consolidare abbastanza conquiste sul campo, per sedersi al tavolo delle trattative da una posizione vantaggiosa. In più, per i sanzionatori, le contromisure energetiche non saranno a costo zero. E se è vero che, a differenza di quel che accade in Russia, da noi l’opinione pubblica non può essere manipolata, presto, la vera bomba a orologeria, potremmo ritrovarcela in casa nostra.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-trucchetto-anti-embargo-dei-russi-scambi-di-barili-con-le-navi-europee-2657447107.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="soccorso-di-opec-sul-caro-prezzi" data-post-id="2657447107" data-published-at="1654201262" data-use-pagination="False"> Soccorso di Opec+ sul caro prezzi Il comitato ministeriale di monitoraggio americano, il Joint ministerial monitoring committee, raccomanda all’Opec+ un aumento della produzione da 648.000 barili al giorno in luglio e agosto. Si tratterebbe di un un incremento nell’ordine del 50% della produzione rispetto ai 432.000 barili al giorno di questi ultimi mesi. Lo riporta l’agenzia Bloomberg, citando i delegati partecipanti alla riunione. Come spiega il Financial Times, la scelta di aumentare la produzione di greggio, d’altronde, era già programmata per settembre, ma dopo la raccomandazione di ieri verrà con ogni probabilità anticipata a luglio. Va ricordato che l’Arabia Saudita, il principale produttore dell’Opec, aveva già in passato respinto le richieste di Washington di aumentare la produzione di petrolio oltre i limiti concordati in passato con i Paesi partner, Russia inclusa. Questa volta, però, Riad avrebbe accettato di cambiare posizione e aumentare la produzione per abbassare i prezzi del greggio e riavvicinarsi all’amministrazione Biden, sottolinea il quotidiano londinese, citando fonti vicine alla questione. L’Arabia Saudita ha anche reso noto che risponderà aumentando la produzione, qualora una crisi dell’offerta dovesse colpire il mercato petrolifero. Naturalmente, la mossa non è affatto casuale. Per effetto dell’abbassamento dei prezzi del greggio, infatti, l’impatto dell’embargo sui Paesi che hanno imposto le sanzioni diventerebbe molto minore. Per intenderci, questi Stati avrebbero dunque la possibilità di comprare più petrolio a un prezzo minore e i blocchi russi diventerebbero meno pesanti. Del resto, il prezzo dei carburanti, nonostante il tentativo di molti Paesi di abbassarne i livelli, sta tornando a salire a dismisura. Il problema sta diventando importante anche Oltreoceano, tanto che il presidente americano, Joe Biden, sarebbe intenzionato a volare in Arabia Saudita per chiedere di aprire di più i rubinetti. Certo, nel regno di Mohammad Bin Salman, non è vista di buon occhio l’intenzione del governo americano di riaprire i contatti con l’Iran. Giusto poche settimane fa, il Dipartimento di Stato statunitense aveva diffuso una breve nota sulla telefonata tra il segretario Antony Blinken e il ministro degli Affari esteri qatarino, Mohammed Bin Abdulrahman Al Thani, in cui veniva riconosciuto il ruolo costruttivo che Doha sta avendo «sui nostri sforzi per risolvere le questioni con l’Iran». L’obiettivo è, insomma, che il Qatar si comporti da facilitatore nei rapporti tra Usa e Iran. In effetti, Doha e Teheran hanno relazioni da tempo consolidate. La ragione è chiara: i due Paesi condividono il più importante giacimento di gas naturale del mondo, il South Pars/North Dome, canale che supporta non poco l’economia qatarina. Tutto questo sta generando parecchi dissapori a Riad; ciononostante, l’Arabia Saudita alzerà la produzione di barili di greggio, facendo di fatto lo sgambetto a Mosca e al Cremlino. Non resta che attendere per capire quale potrà essere la reazione del presidente Vladimir Putin.
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
Continua a leggereRiduci
Mark Zuckerberg (Getty Images)