
La tracotanza è l'essenza più vera del politico irpino Ciriaco De Mita che, a 91 anni, ha deciso di abbandonare la scena. Non si ricandiderà nemmeno nella sua Nusco, di cui è l'inutile sindaco dal 2014. Famoso per i suoi sproloqui che però chiamavano «ragionamendi».Percependosi come un dono del Cielo, Ciriaco De Mita ha voluto rimanere sulla breccia fino a oggi. Ora, a 91 anni suonati, pare si ritiri dalla politica. Con calma. Ha appena dato l'annuncio che non si ricandiderà l'anno prossimo a Nusco (Avellino), il borgo natale di 4.000 anime, di cui è l'inutile sindaco dal 2014. Un dubbio attanaglia: addio definitivo o solo scena per qualche titolo di giornale? A molti, il nome De Mita dice nulla. Fu in auge negli anni Ottanta del secolo scorso. Per 7 primavere segretario della Dc. Per circa un anno capo del governo (1988-1989). È stato l'antagonista di Bettino Craxi, capo del Psi. Furono botte da orbi e animarono la scena. Poi, Bettino andò in esilio e Ciriaco divenne un pesce fuor d'acqua nell'Italia post Tangentopoli. Si è comunque fatto 11 legislature alla Camera e un paio a Strasburgo. È appassito progressivamente, come un grappolo dimenticato sulla vigna. Finché di lui è rimasto ciò che resterà: un maggiorente campano. In Irpinia spadroneggia da mezzo secolo ma è in calo.Indizio sicuro dell'arretramento sono i guai capitati negli ultimi mesi. La moglie, Anna Maria Scarinzi, è indagata per truffa aggravata e peculato. Secondo la procura avellinese, la Onlus caritatevole di cui l'ex first lady è presidente avrebbe malversato pubblico denaro destinato agli handicappati. Nell'inchiesta sono coinvolte anche 2 dei 4 figli dei De Mita, Simona e Floriana, le più giovani. Sarebbero in accordo con la mamma. I pm hanno sequestrato soldi nei conti correnti della Onlus, della signora e delle rampolle. Alla first lady hanno anche imposto l'obbligo di firma per oltre un mese nello scorso giugno. Un'onta che ha amareggiato Ciriaco, toccato nel sacro recinto della famiglia. Immaginate che colpo per uno che fin lì era reputato insfiorabile. Tipico dei tramonti politici nel Sud, per i quali c'è un detto: finché è in cima, ci si inchina; quando cala, lo si impala. A ciò va aggiunto che, nelle elezioni del 4 marzo, il nipote prediletto, Giuseppe De Mita, è stato trombato. Addio quindi ai sogni di perpetuare la dinastia e il sistema demitiano alle falde del Vesuvio. Mi si stringe il cuore ad evocare la terza disgrazia di questi mesi di tregenda: il furto subito a fine maggio nella villa nuschese. Nottetempo, 4 balordi dell'Est sono piombati in casa del sindaco, hanno preso per il collo Ciriachino, come lo chiamano in paese, e strattonandolo lo hanno trascinato davanti alla cassaforte. «Apri, vecchio», gli hanno ingiunto, tradendo l'accento balcanico. Così, ha dovuto consegnare contanti, ori e preziosi, farsi passare la tremarella e metabolizzare l'affronto.È amaro se si pensa che De Mita ha dato pacche sulle spalle a Michail Gorbaciov e banchettato con George H.W Bush, in due trionfanti tournée a Mosca e Washington. L'ho seguito per lavoro in entrambe e ho visto il Ciriaco vero: un gonfio Narciso. In Urss ebbe un contrasto col nostro ambasciatore, Sergio Romano. Quello, che se ne intendeva, gli dava le dritte. L'altro, supponente, faceva di testa sua. Romano, sfiduciato, si dimise dalla carriera. Iniziandone un'altra, pubblicistica, che ne ha raddoppiato il lustro. La tracotanza è l'essenza più vera dell'Irpino. Anche ora che ha raddoppiato l'età sinodale. Stando alle cronache, nei 4 anni da sindaco ha superato l'assenteismo di cui è da sempre campione. Già alla Camera, si affacciava come un gitante. Peggio all'Europarlamento: 708° su 733, per presenze. De Mita, è nato per sfarfalleggiare e aborre la routine pedestre. Al municipio pare se ne siano perse le tracce da un biennio. Il prefetto ha dovuto ingiungergli di riunire il consiglio per approvare il bilancio. Le opposizioni gli rinfacciano di indire le sedute solo in giorni lavorativi e orari diurni quando i consiglieri sono al lavoro. Dispettoso come un criceto. A Nusco manca l'illuminazione serotina, zoppicano mense scolastiche e trasporto pubblico. Quattro anni fa, De Mita ebbe il 77 per cento dei voti nuschesi. La stampa nazionale sottolineò l'arzillo spirito di servizio del più anziano sindaco d'Italia, allora di 87 anni. Il giovanotto si crogiolò nelle lodi, lieto di essere al centro dell'attenzione come ai bei tempi. Oggi, non lo rivoterebbe nessuno. Perciò, lascia. Ma lo fa provocando perché si parli di lui. I nuscani, dice, lo hanno deluso. Ce l'ha messa tutta. In paese ha aperto una «scuola di alta formazione politica». Ci sono venuti teste d'uovo e prof, anche da Napoli. I compaesani invece, pure avendola all'uscio, neppure ci sporgono il naso. Anzi, lo hanno contestato. Vogliono l'illuminazione invece degli intellò. Si può concepire un'opposizione più «meschina e insopportabile»? si chiede De Mita che conclude: sono indegni delle mie premure per «ricostruire il tessuto valoriale» del territorio.Valoriale chi? direte voi. C'è tutto De Mita nell'espressione. È sempre andato famoso per gli arzigogoli, paragonabili alle logorree di Aldo Moro. Quelli di Moro erano detti sproloqui. Quelli di De Mita, «ragionamendi», con la dentale irpina. Grazie a essi, De Mita era considerato un intellettuale a Roma. Ad Avellino, piuttosto un uomo con le mani in pasta. Colpito dal suo eloquio, Gianni Agnelli disse: «De Mita è un tipico intellettuale della Magna Grecia». A stretto giro, Indro Montanelli replicò: «Dicono che De Mita sia un intellettuale della Magna Grecia. Io non capisco cosa c'entri la Grecia». De Mita se la legò al dito e una volta che Indro lo definì «padrino» sul Giornale lo querelò. Al tempo, 1989, nessuno dei felpati dc reagiva in questo modo.De Mita fece male i calcoli. In tribunale si dibatté se «padrino» andasse inteso alla Frank Coppola, muto e sigaro tra i denti, o come innocuo mandarino. Il pm optò per la seconda e chiese l'assoluzione. Il giudice invece condannò Montanelli a pagare un milione sull'unghia. Indro reagì spedendo un suo giornalista, Paolo Liguori, a fare un'inchiesta a puntate sulla filiera demitiana in Irpinia. Ne venne fuori che non si muoveva foglia senza lo schiocco di dita di Ciriaco. Da allora, per designare il suo mondo, la stampa usò termini come clan e boss. Nell'attuale crepuscolo, tuttavia, sono anche accadute cose positive. La più recente, è la migliore: dai tagli ai vitalizi voluti dai grillini, De Mita non è stato sfiorato. Continuerà a incassare, visti i 40 anni di contributi, i 6.000 euro netti di sempre. Altro colpo messo a segno è l'acquisto a metà prezzo dell'attico e superattico romano di via in Arcione, vasto come 3 campi da tennis (650 mq). Lo aveva in affitto da un ente quando era premier, fiero della vista sui giardini del Quirinale. Lo ha fatto proprio nel 2010 a 3,5 milioni rispetto agli 8 che, secondo calcoli giornalistici, varrebbe sul mercato. È poi corsa voce di una rivendita a 11 milioni. Un ultimo dono è venuto da Sergio Mattarella, che gli deve la carriera: era nella sua corrente, fu suo ministro, ecc. Così, quando Antonia, giornalista e figlia maggiore del Giolitti irpino, ha chiesto di collaborare con l'ufficio stampa del Colle, è scattato immediato il semaforo verde.Secondo Eugenio Scalfari, che tra i suoi tanti invaghimenti incluse pure De Mita, l'Italia con lui sarebbe diventata una opulenta Svizzera mediterranea. Nulla di ciò. Si è limitato a opulentare per sé.
Ansa
- In Italia soffrono i settori della plastica riciclata e del riuso tessile. Pure chi ridà vita alla carta da macero è travolto da norme ecologiche pesanti. Nella mobilità elettrica a due ruote le aziende sono finite in crisi.
- L’Ets 2, il sistema Ue pensato (male) per costringere aziende e famiglie a passare alle rinnovabili, si estende anche all’edilizia residenziale e ai semplici autotrasportatori. Risultato: il prezzo del metano salirà del 35%, carburanti più cari di 17 cent/litro.
Lo speciale contiene due articoli
SIgfrido Ranucci (Ansa)
Faccio il direttore da trent’anni, dunque credo di avere qualche titolo per parlare di libertà di stampa. Sono stato il primo giornalista a rivolgersi alla Corte europea dei diritti dell’uomo e il primo a ottenere una condanna dell’Italia contro la legge che punisce i cronisti con la detenzione.
Carlo Rubbia (Ansa)
Un convegno dell’Accademia, un tempo prestigiosa, rilancia i soliti luoghi comuni.
Giuseppe Vinci (Ansa)
Giuseppe Vinci, rapito nel 1994, figlio del titolare di una catena di supermarket restò prigioniero 310 giorni: «I carcerieri erano miei conterranei e la sera uno mi parlava per un quarto d’ora. In catene avevo un incubo: mi liberavano per il weekend “però lunedì torni qua”».






