2021-01-14
Il totem repubblicano censurato dai social: «Confini non chiari fra aziende e politici»
Ron Paul (Steven Ferdman/Getty Images)
Bannato come Donald Trump: «Preoccupa la riduzione della libertà di parola. La commistione d'interessi coi colossi Web è palese».Non bastava Donald Trump. Lunedì scorso, Facebook ha temporaneamente bloccato il profilo di Ron Paul. Ex deputato del Texas e due volte candidato alla nomination del Partito repubblicano (nel 2008 e nel 2012), Paul è uno dei principali punti di riferimento della corrente culturale e politica del cosiddetto «libertarianismo». Una sorta di leggenda vivente per i seguaci di quest'area che, piacciano o meno le sue idee in campo socio-economico, ha nei decenni mantenuto una posizione di radicale coerenza e schiettezza. Suo figlio, Rand, è attualmente senatore repubblicano dello Stato del Kentucky, mentre lui - a 85 anni - dirige oggi il progetto culturale del Ron Paul Liberty Report. Se la censura di Trump è un atto grave (perché mette nelle mani di colossi privati la possibilità di silenziare un leader politico magari controverso ma democraticamente eletto), quella di Paul è altrettanto inaccettabile. Con questa censura, Facebook punta infatti alla rimozione di un autentico pezzo di storia americana (e i manipolatori - si sa - auspicano sempre l'oblio della memoria storica): un personaggio che - guarda caso - si è costantemente battuto in difesa della libertà individuale. E che, come ha spiegato alla Verità, non ha ancora capito per quale ragione esattamente si sia ritrovato il profilo bloccato. Sarà mica che una voce instancabilmente contraria allo strapotere dello Stato negli affari individuali e (per giunta) un antiabortista dia fastidio a qualcuno ai piani alti di Menlo Park? Quello stesso colosso, di cui svariati ex dirigenti - lo ha riportato Politico a novembre - sono entrati nel team del presidente americano in pectore, Joe Biden? Vale forse tra l'altro la pena ricordare che, in questi anni, non di rado Paul ha criticato alcune scelte politiche di Trump (soprattutto in materia economica). Ecco quindi che la censura dell'ex deputato del Texas assume dei tratti ancor più inquietanti, che dovrebbero far riflettere tutti quegli aspri critici del presidente americano che hanno salutato con gioia e soddisfazione il bavaglio imposto ai suoi profili social. Il sito Reason ha riportato di aver saputo da un portavoce di Facebook che l'account di Paul sarebbe stato bloccato «per errore». Magari sarà così, ma guarda a caso a finire in questo “errore" è stata figura non lontana dall'area repubblicana. Per quale motivo Facebook ha deciso di bloccare il suo profilo lunedì scorso? «Siamo stati sorpresi di ricevere il messaggio che il nostro account era stato bloccato: non avevamo possibilità di aggiornarlo. E non è stata data alcuna spiegazione, se non l'accusa che stavamo “andando ripetutamente contro gli standard della comunità". In passato non abbiamo mai ricevuto alcun avviso di violazione dei loro standard di comunità». Del resto, Facebook e Twitter hanno bloccato di recente anche gli account del presidente Donald Trump. Che cosa ne pensa? «Se Facebook e Twitter fossero veramente aziende private, potrebbero fare quello che vogliono. Tuttavia, nell'attuale contesto, il confine tra società private e governo non è così chiaro. La politica sembra giocare un ruolo molto importante. Stando così le cose, le acque sono torbide. Ho sempre sostenuto che ci deve essere una separazione tra le grandi imprese e lo Stato. Il corporativismo è molto cattivo e pericoloso per la libertà individuale». Ritiene che la Silicon Valley costituisca un pericolo per la libertà di espressione? Pensa, in altre parole, che i vari Facebook, Twitter e Google siano in qualche modo diventati troppo potenti? «La preoccupazione per la riduzione della libertà di parola si applica principalmente al governo, poiché il governo è forza coercitiva. Ecco perché il Bill of Rights degli Stati Uniti vieta al governo federale di limitare la libertà di parola. Tuttavia, quando il governo e il grande business sono in combutta, è il grande business che finisce per eseguire gli ordini del governo. Si finisce con quella che sembra essere la censura del governo per procura. Questo principio si applica a tutte le aree in cui il governo opera al di fuori della Costituzione. Il big business funge da braccio dello Stato». Come è possibile, secondo lei, lottare contro la censura sul Web? Quali misure si dovrebbero adottare a livello politico? «Ebbene, sono sempre ottimista sul fatto che il desiderio di libertà e di parlare liberamente sia costantemente presente. Fa parte della nostra natura di esseri umani voler comunicare con gli altri e imparare dagli altri. Stando così le cose, con l'aumentare della censura aumenta anche la domanda di nuovi servizi che proteggano la libertà di parola. Gli imprenditori riempiranno il vuoto e le persone comunicheranno in un modo o nell'altro. Quando una porta si chiude, un'altra si aprirà sicuramente». Secondo lei, la Silicon Valley nasconde un progetto politico? Se sì, quale ritiene possa essere? «Nascondere un progetto politico? Non c'è modo di sapere qualcosa del genere. I problemi che dobbiamo affrontare attualmente sono la commistione di politica e grandi affari che è venuta allo scoperto. Il fatto che gran parte di questo male avvenga alla luce del sole significa che la stragrande maggioranza delle persone ne è venuta a conoscenza. Questa consapevolezza alimenterà il desiderio di cambiamento nella direzione opposta. La censura non funziona mai e, alla fine, fallisce sempre».
Il giubileo Lgbt a Roma del settembre 2025 (Ansa)
Mario Venditti. Nel riquadro, da sinistra, Francesco Melosu e Antonio Scoppetta (Ansa)