
Da Vulci a Bolsena spuntano mura e tombe bimillenarie. Le Fondazioni a caccia di sponsor per finanziare gli scavi.Solo qualche giornale locale ha dato la notizia di uno dei più importanti ritrovamenti archeologi degli ultimi decenni. È stato scoperto a Vulci, che fa parte del Comune di Montalto di Castro, il corredo di un'importante tomba etrusca. È stata subito classificata come la sessantasettesima tomba della necropoli di Poggio Mengarelli in un territorio che, ancora oggi - dopo oltre 2.000 anni - genera sorprese per gli archeologi e gli studiosi della civiltà etrusca. Vulci fu una delle città Stato più importanti dell'Etruria, costituita da 12 grandi comunità civili e militari (Arezzo, Volterra, Perugia, Chiusi, Populonia, Vetulonia, Orvieto, Roselle, Vulci, Tarquinia, Cerveteri e Veio). I gioielli archeologi stanno ora tornando alla luce da una tomba a fossa profonda a forma rettangolare del settimo secolo avanti Cristo, scavata a Poggio Mengarelli, che si trovava sopra un'altra sepoltura, risalente all'epoca ellenistica (anche questo «condominio» di sepolcri conferma i profondi legami esistenti tra Vulci e le città della Grecia - Corinto, in modo particolare - e quindi le contaminazioni diffuse tra cultura etrusca e greca). La tomba ha rivelato l'esistenza di un corredo funerario rimasto integro dopo due millenni, composto da contenitori in ceramica, alcuni impilati uno sull'altra, ciotole, un'olla globulare e una situla. Poi ancora due anforette con collo cilindrico a doppia ansa bifora e un grande cratere sistemato con cura nella zona Sud-Est della fossa tombale insieme a molti altri oggetti.Il direttore scientifico della Fondazione Vulci, Carlo Casi, e gli esperti della Soprintendenza stanno cercando ora di accertare la consistenza dei tesori rinvenuti, insieme ai resti del defunto. Non si escludono sorprese, anche perché questo rinvenimento è stato casuale, come del resto l'intero sito archeologico di Poggio Mengarelli, scoperto in seguito ai ripetuti tentativi dei «tombaroli» di scavare in modo disordinato queste preziose tombe per trafugare oggetti preziosi e venderli nel mercato clandestino. Proprio in quest'area sono stati rinvenuti numerosi oggetti di grande valore venduti a collezionisti, italiani e stranieri, come lo scarabeo dorato (a Poggio Mengarelli) e le mani d'argento, trovate nella necropoli dell'Osteria, che sono state esposte in diverse mostre europee. Proprio tre settimane fa il Paul Getty Museum è riuscito a entrare in possesso, in un'asta da Christie's (per 410.400 dollari), di una placca di bronzo proveniente da una tomba di Vulci (quinto secolo avanti Cristo), che raffigura il dio Usil, la divinità del sole, molto amata dagli etruschi e che faceva parte delle quattro placche rinvenute nella tomba della Quadriga, sempre a Vulci e scoperta in epoca remota (nel 1845). Ma Vulci, come tanti altri centri etruschi, è ancora molto ricca di tesori sepolti, nonostante la razzia nel corso dei decenni (soprattutto dal dopoguerra agli anni Ottanta) dei tombaroli, uomini superesperti che conoscono i siti e le epoche remote della civiltà etrusca più degli archeologi e degli studiosi di antiche civiltà.Le commesse arrivavano (e ancora oggi arrivano) dai mercanti, dai collezionisti e dai musei soprattutto stranieri (Usa, Canada, Svizzera, Germania, Francia, Regno Unito). Si stima che il «fatturato» di questo traffico si aggiri sul centinaio di milioni di euro l'anno. Molti mercanti si sono arricchiti con questo lavoro e persino numerosi contadini dell'Alto Lazio (Tuscia) e della Maremma (laziale e toscana) hanno cambiato radicalmente la loro vita, scoprendo col loro aratro tombe e necropoli sulle colline di quello che è stato il regno del misterioso mondo etrusco che i romani hanno combattuto e assorbito a partire dalla conquista di Veio, la grande città etrusca vicino a Roma.Del resto, le scoperte sono continue. A Bolsena hanno ora rinvenuto i resti di altre mura ciclopiche di ben 7 chilometri e piccoli templi, tali da mettere in discussione la teoria del maestro dell'archeologia, il tedesco Karl Otfried Muller, secondo cui Bolsena sarebbe stata fondata, nel 264 avanti Cristo, dopo la distruzione di Orvieto (Vulsinii) da parte dei romani. Ora, però, gli scavi della Scuola francese, e i ritrovamenti degli ultimi anni, sembrano aver confermato che Vulsinii (col vecchio nome di Velzna) preesisteva alla conquista romana, come confermano anche recenti pubblicazioni (La Dea di Bolsena, di un gruppo di archeologi e studiosi: Angelo Di Mario, Maria Grazia Di Mario, Giovanni Feo, Angelo Timperi, Marco Morucci, Alberto Conti; e ancora il libro dell'archeologo Angelo Timperi, Il Fanum Voltumnae a Bolsena). Questa città etrusca era considerata la capitale morale e religiosa della Lega etrusca, dove si riunivano ogni anno i tre sacerdoti, chiamati lucomoni (lukmnes). Bolsena-Vulsinni era meta di pellegrinaggi religiosi per celebrare il dio Voltumna (la statua di questo dio è stata portata poi dai romani sull'Aventino) e la dea Fortuna, molto amata anche dai romani (Fanum Fortunae e il culto della dea Fortuna, a cura di Oscar Mei e Paolo Clini, Marsilio). Era considerata la capitale religiosa, una sorta, si direbbe oggi, di Gerusalemme degli etruschi.Tornando alla scoperta dei giorni scorsi, il presidente della Fondazione Vulci, Carmelo Messina, ci dice: «Il nostro territorio è un tesoro a cielo aperto, ma è solo una piccola parte della ricchezza archeologica contenuta nel sottosuolo. Dobbiamo trovare le risorse per finanziare nuovi scavi per arricchire il nostro patrimonio archeologico, che significa incentivare moltissimo anche il turismo culturale».Un problema analogo esiste in quasi tutti i centri archeologici. Il ministero dei Beni culturali si è sempre orientato a promuovere da molti anni missioni di ricerche e scavi archeologici in Egitto, Iraq, Siria, Giordania, Algeria, Palestina e altri Paesi, ma quando si tratta di promuovere iniziative nelle ricchissime aree archeologiche del nostro Paese nicchia, a meno che non si tratti di Pompei o del restauro del Colosseo. Adesso il presidente Messina sta cercando di trasformare la sua Fondazione Vulci in Fondazione Etruria nel tentativo di conquistare anche sponsor privati (italiani e stranieri), ma finora la sua impresa, a parte adesioni formali di alcuni Comuni, non ha avuto successo. Eppure in passato, in Italia e in Etruria, in modo particolare, operavano missioni francesi (per 40 anni la scuola francese è stata presente a Bolsena dove ha ritrovato, oltre ai ruderi romani, l'antica Vulsinii, ma ha portato alla luce appena il 10-15 per cento dell'intero abitato), olandesi, inglesi e persino svedesi, dove il re di quel Paese nordico si è fermato a lungo ad Acquarossa, vicino a Viterbo. I tempi sono cambiati: non solo i Paesi stranieri non investono più in ricerche e studi nel nostro Paese, ma neppure i ministeri e le università italiane si sentono motivati: ufficialmente per mancanza di risorse, ma in realtà non riescono neppure a utilizzare (come fanno la Spagna, il Portogallo e la Grecia) i fondi europei. Preferiscono andare all'estero, magari nei Paesi dell'Est o in Africa.In Italia, dicono gli esperti della Soprintendenza, abbiamo già un ricco patrimonio archeologico: se scopriamo altri resti di civiltà antiche non siamo in grado di tutelarle, per carenza di esperti, custodi e risorse finanziarie. Allora è meglio lasciarlo sottoterra, questo patrimonio, o, quando è possibile, affidarlo ai privati. Come è successo per l'isola Bisentina, un gioiello naturalistico, archeologico e artistico nel lago di Bolsena venduto a una Fondazione privata al prezzo di un appartamento nel centro storico di Roma o di Milano. La Verità se ne è occupata tempo fa, chiamando in causa il ministero dei Beni culturali, la Regione Lazio e tutti i Comuni del bacino del lago. Ma nessuno si è mosso, a partire dall'ex ministro Dario Franceschini (così attivo sul fronte degli incentivi per il cinema e per il rinnovamento dei musei: argomenti che politicamente rendono di più delle ricerche archeologiche). L'isola è stata venduta alla fondazione Rovati (che, tra l'altro, è proprietaria di un ricchissimo museo etrusco che aprirà i battenti fra non molto a Milano) e che fa capo a una multinazionale di medicinali (la Rottapharm). Sappiamo ora che l'isola è stata aperta ai visitatori, pagando un biglietto, ma di altri progetti per il momento non se ne parla. Anche qui vige il principio del silenzio, imposto ai sindaci dei Comuni, alle soprintendenze e allo stesso ministero. A meno che il nuovo ministro dei Beni culturali, Alberto Bonisoli, non intenda intervenire. Bonisoli è un bocconiano, al vertice della Nuova accademia di Belle arti di Milano. Forse ha interesse a capire meglio come stanno le cose, anche per prevenire eventuali danni. Noi lo auspichiamo.
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