2019-04-19
Il sottosegretario che sussurra la flat tax all’orecchio di Salvini
Il leghista nel mirino dei grillini ha guidato l'espansione al Sud e le scuole di formazione.Il diavolo sta nei dettagli. E per raccontare la storia di Armando Siri, classe 1971, sottosegretario (ieri rimasto senza deleghe) ai Trasporti indagato per corruzione in un'inchiesta dove appare sullo sfondo anche il boss latitante Matteo Messina Denaro, bisogna tornare al 13 giugno dell'anno scorso, giorno del giuramento per i sottosegretari del governo di Giuseppe Conte. In quell'occasione l'unico che dopo la foto di rito con il premier e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti non strinse la mano al ministro dell'Interno Matteo Salvini fu proprio Siri: pare che avrebbe voluto un posto da viceministro. I leghisti duri e puri non hanno dimenticato quella fotografia. Del resto Siri, che negli anni Ottanta bazzicava il mondo del Psi milanese di Bettino Craxi, è sempre stato visto con sospetto dai leghisti della prima ora. È accaduto spesso, non solo a lui, durante questa fase di trasformazione della Lega che negli ultimi anni ha perso la parola Nord nel simbolo e ha invece impresso la scritta «Salvini premier». Non a caso ieri sui social un ex leghista storico come Davide Boni (ora nel partito secessionista Grande nord), già presidente del consiglio regionale lombardo, spiegava che per Siri sarebbe stato meglio dimettersi dall'incarico per «difendere il movimento»: lui lo aveva fatto quando era stato raggiunto da un'inchiesta in cui poi fu assolto. Siri, l'ideologo della flat tax che piace all'imprenditoria del Nord, una condanna a 1 anno e 8 mesi per bancarotta fraudolenta dopo un patteggiamento, è sempre stato un moderato, «una persona gentile e per bene» spiega chi lo conosce da anni. Lo stesso Salvini gli diede fiducia nel 2014 quando diede inizio alle scuole di formazione politica per sfondare anche nel Centro e nel Sud Italia, con un partito che ormai non c'è più, ovvero Noi con Salvini. Ieri la Lega gli ha rinnovato la propria vicinanza in una nota: «Piena fiducia nel sottosegretario Armando Siri, nella sua correttezza. L'auspicio è che le indagini siano veloci per non lasciare nessuna ombra».Le agorà mediatiche del Capitano sono continuate in questi anni, con successo, raccogliendo partecipanti in regioni dove l'ex capo Umberto Bossi non era mai arrivato. Ma un po' di polemiche ci sono sempre state. Se si domanda in Lega di queste scuole la risposta è «sono le scuole di Siri non della Lega». È lui il responsabile. D'altra parte un pizzico di invidia ha sempre circondato il sottosegretario ai Trasporti. Sta di fatto che a gennaio di quest'anno è stata la trasmissione Report ad approfondire il finanziamento delle scuole di formazione, imbarazzando non poco i vertici del Carroccio. Nella puntata, infatti, si viene a scoprire che parte dei soldi per partecipare ai corsi vengono versati allo Spazio Pin, un'associazione nazionale «che intende costituire dei centri di aggregazione e ricreazione su tutto il territorio nazionale con il fine di divulgare[…] i principi delle discipline olistiche e di tutte le filosofie umane e delle conoscenze antiche». Obiettivo? «Trasmettere una nuova visione dell'uomo e del suo rapporto con l'universo e tutte le espressioni della natura». Sarà un caso ma i conti delle scuole di formazioni sono separati da quelli della Lega, sono soggetti giuridici differenti, che via Bellerio patrocina gratuitamente. Sempre l'anno scorso a governo appena insediato, colpevole la stanchezza, fece una gaffe in televisione non ricordando che il suo ministro era Danilo Toninelli. Ex giornalista di Mediaset negli anni Novanta, diversi libri all'attivo - nel 1995 La Beffa, nel 1997 Il Sacco all'Italia e a settembre 2010 L'Italia Nuova - ieri Siri si è difeso: «Respingo categoricamente le accuse che mi vengono rivolte. Non ho mai piegato il mio ruolo istituzionale a richieste non corrette. Chiederò di essere ascoltato immediatamente dai magistrati e se qualcuno mi ha accusato di queste condotte ignobili non esiterò a denunziarlo».