
Se si formasse un solido blocco «euroamericano», nessuna altra potenza mondiale oserebbe sfidarlo. Il più dei commenti in Italia e nell'Ue teme la reazione del regime iraniano all'eliminazione del suo delegato per le azioni offensive esterne, Qasem Soleimani, e molto pochi, invece, individuano in questo atto statunitense di proiezione selettiva della forza il suo significato reale: ripristino della dissuasione proprio per evitare che Teheran conduca altri attacchi contro gli impianti petroliferi sauditi, le petroliere che transitano nello stretto di Hormuz e che, soprattutto, tenti di trasformare l'attuale influenza sull'Iraq in annessione diretta. Il messaggio è: cara Teheran o fai la brava, accettando di cancellare il tuo programma nucleare e smettendo di usare milizie iraniane per controllare l'Iraq e la Siria, gli Hezbollah per condizionare il Libano e tenere elevata la minaccia contro Israele nonché sostenere Hamas a Gaza e gli Huti in Yemen, oppure uccideremo i bracci operativi del regime stesso e i capi delle formazioni proxy, forse qualcuno più in alto. E comunque torneremo in Iraq perché non lo lasceremo nelle tue mani. Tanti surreali commentatori invocano la razionalità del regime iraniano affinché questo non risponda con un'escalation. Ma in realtà sarà la credibilità della dissuasione statunitense a decidere se l'Iran rientrerà nei suoi confini riducendo l'ambizione offensiva e di potenza regionale o meno. Infatti questa è la domanda rilevante scatenata dall'evento: Donald Trump ha dovuto cambiare la postura di disingaggio da conflitti militari diretti perché non poteva fare altro nei confronti dell'Iran, ma questa resterà un caso unico, oppure è un segnale di ritorno ad una strategia dissuasiva più attiva? Trump ha promesso di togliere l'America da ingaggi non di interesse vitale per evitare bare e costi e si ripresenterà agli elettori in novembre. Tale posizione non è nuova: la Dottrina dell'interesse nazionale, codificata da Condoleezza Rice nell'aprile 2000 (su Foreign Affairs) come piattaforma elettorale per George W. Bush prevedeva l'uso diretto della forza militare statunitense solo in casi di interesse vitale, fornendo agli alleati solo un «sostegno da dietro» per tutti gli altri casi di sicurezza regionale e locale. Ma dopo il settembre 2001 fu costretto a riprendere posizione diretta in 65 nazioni, invadendone due, per l'interesse vitale di eliminare l'insorgenza islamica. Barack Obama, pur sedotto dal globalismo interventista di Hillary Clinton e dall'intento di sostenere l'Islam politico (Fratelli musulmani) contro l'influenza saudita, nonché quella israeliana - che portò tanta instabilità nel Mediterraneo e danni all'Italia durante il primo mandato - nel secondo perseguì la dottrina Bush-Rice, realizzandola in forma di «ritirismo»: guidare da dietro (lead from behind). Come mai amministrazioni sia repubblicane sia democratiche mostrano la priorità del disingaggio o, meglio, dell'ingaggio solo selettivo nel presidio globale? Perché non è stato risolto il problema posto nel lontano 1973 da Henry Kissinger: l'America non può sostenere da sola tutto il peso della sicurezza e del traino economico del mondo. Ronald Reagan (1980-88) si trovò in una situazione di successo economico e strategico che rese meno visibile il problema. E così fu per Bill Clinton (1992-2000), che perfino incluse la Cina senza condizioni nel mercato globale peggiorando il problema stesso. G.W. Bush ebbe altre priorità, appunto, e alla fine Trump trovò - dal gennaio 2017 - che il problema era esploso in forma di bare crescenti e impoverimento dell'America, il tutto complicato dall'espansione del potere globale cinese e del rinnovato impero russo, nonché del potere regionale iraniano in un contesto di divergenza da parte dell'Ue. Finora ha fatto fatica, esibendo posture erratiche, a conciliare la necessità di mantenere la dissuasione e quella di ridurre i costi economici e umani dell'impero, tenendo ferma la rinuncia all'ingaggio militare. Ma certamente si sta rendendo conto che non è possibile. Ha cercato di usare l'accesso al mercato interno statunitense come strumento di guerra economica disarmata per ottenere scopi geopolitici. Ma questa è controproducente e, alla fine, ciò che conta sono le armi. Infatti, non volendole usare sta rischiando l'immagine di chi abbaia, ma non morde. La Corea del Nord lo sfida, l'Iran lo fa con provocazioni aperte, i taliban lo sfottono, la Russia prende spazi, la Cina lo tratta come un fastidio di breve termine che non interromperà la lunga marcia verso il dominio globale. Gli alleati si fidano di meno. In sintesi, pur riluttante, Trump ha dovuto accettare il ritorno alla dissuasione bellica e conseguentemente alla dimostrazione di voler e poter fare la guerra. Ciò ha determinato il riarmo spaziale e l'indicazione di esplicitare la Cina come nemico nei linguaggi Nato. E ha dato luce verde all'esecuzione di Soleimani, che nessuno si aspettava anche perché segretamente dialogante, spaventando Mosca, Pechino e Teheran. Tenteranno queste di sondare la reale determinazione di Trump, provocandolo in modi che lo mostrino tigre di carta? In generale, non lo consiglierei. In particolare, una posizione militarmente più combattiva dell'America può essere attutita - e riportata entro la possibilità di «diplomatizzarla» - solo da un deciso rischieramento degli europei con l'America stessa: nessuno oserebbe sfidare un blocco euroamericano, sul piano globale. Su quello regionale, la convergenza euroamericana in alleanza con Israele, sauditi, Emirati ed Egitto costringerebbe l'Iran a calmarsi, con riverberi positivi per l'Italia anche nel caso libico. www.carlopelanda.com
Sanae Takaichi (Ansa)
La conservatrice Sanae Takaichi vuole alzare le spese militari e saldare l’asse con Washington: «Avrò discussioni franche con Trump».
(Guardia di Finanza)
Sequestrate dalla Guardia di Finanza e dai Carabinieri oltre 250 tonnellate di tabacchi e 538 milioni di pezzi contraffatti.
I Comandi Provinciali della Guardia di finanza e dell’Arma dei Carabinieri di Torino hanno sviluppato, con il coordinamento della Procura della Repubblica, una vasta e articolata operazione congiunta, chiamata «Chain smoking», nel settore del contrasto al contrabbando dei tabacchi lavorati e della contraffazione, della riduzione in schiavitù, della tratta di persone e dell’intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.
Le sinergie operative hanno consentito al Nucleo di polizia economico-finanziaria Torino e alla Compagnia Carabinieri di Venaria Reale di individuare sul territorio della città di Torino ed hinterland 5 opifici nascosti, dediti alla produzione illegale di sigarette, e 2 depositi per lo stoccaggio del materiale illecito.
La grande capacità produttiva degli stabilimenti clandestini è dimostrata dai quantitativi di materiali di contrabbando rinvenuti e sottoposti a sequestro: nel complesso più di 230 tonnellate di tabacco lavorato di provenienza extra Ue e circa 22 tonnellate di sigarette, in gran parte già confezionate in pacchetti con i marchi contraffatti di noti brand del settore.
In particolare, i siti produttivi (completi di linee con costosi macchinari, apparati e strumenti tecnologici) e i depositi sequestrati sono stati localizzati nell’area settentrionale del territorio del capoluogo piemontese, nei quartieri di Madonna di Campagna, Barca e Rebaudengo, olre che nei comuni di Caselle Torinese e Venaria Reale.
I siti erano mimetizzati in aree industriali per dissimulare una normale attività d’impresa, ma con l’adozione di molti accorgimenti per svolgere nel massimo riserbo l’illecita produzione di sigarette che avveniva al loro interno.
I militari hanno rilevato la presenza di sofisticate linee produttive, perfettamente funzionanti, con processi automatizzati ad alta velocità per l’assemblaggio delle sigarette e il confezionamento finale dei pacchetti, partendo dal tabacco trinciato e dal materiale accessorio necessario (filtri, cartine, cartoncini per il packaging, ecc.), anch’esso riportante il marchio contraffatto di noti produttori internazionali autorizzati e presente in grandissime quantità presso i siti (sono stati infatti rinvenuti circa 538 milioni di componenti per la realizzazione e il confezionamento delle sigarette recanti marchi contraffatti).
Gli impianti venivano alimentati con gruppi elettrogeni, allo scopo di non rendere rilevabile, dai picchi di consumo dell’energia elettrica, la presenza di macchinari funzionanti a pieno ritmo.
Le finestre che davano verso l’esterno erano state oscurate mentre negli ambienti più interni, illuminati solo artificialmente, erano stati allestiti alloggiamenti per il personale addetto, proveniente da Paesi dell’Est europeo e impiegato in condizioni di sfruttamento e in spregio alle norme di sicurezza.
Si trattava, in tutta evidenza, di un ambiente lavorativo degradante e vessatorio: i lavoratori venivano di fatto rinchiusi nelle fabbriche senza poter avere alcun contatto con l’esterno e costretti a turni massacranti, senza possibilità di riposo e deprivati di ogni forma di tutela.
Dalle perizie disposte su alcune delle linee di assemblaggio e confezionamento dei pacchetti di sigarette è emersa l’intensa attività produttiva realizzata durante il periodo di operatività clandestina. È stato stimato, infatti, che ognuna di esse abbia potuto agevolmente produrre 48 mila pacchetti di sigarette al giorno, da cui un volume immesso sul mercato illegale valutabile (in via del tutto prudenziale) in almeno 35 milioni di pacchetti (corrispondenti a 700 tonnellate di prodotto). Un quantitativo, questo, che può aver fruttato agli organizzatori dell’illecito traffico guadagni stimati in non meno di € 175 milioni. Ciò con una correlativa evasione di accisa sui tabacchi quantificabile in € 112 milioni circa, oltre a IVA per € 28 milioni.
Va inoltre sottolineato come la sinergia istituzionale, dopo l’effettuazione dei sequestri, si sia estesa all’Agenzia delle dogane e dei monopoli (Ufficio dei Monopoli di Torino) nonché al Comando Provinciale del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco di Torino nella fase della gestione del materiale cautelato che, anche grazie alla collaborazione della Città Metropolitana di Torino, è stato già avviato a completa distruzione.
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Roberto Burioni (Ansa)
In un tweet se la prende con «La Verità»: i danni collaterali con mRna non esistono.