2021-02-22
Il sommergibile Arcuri si inabissa per sopravvivere
Che cosa fanno i sommergibili quando sono inseguiti da forze nemiche e rischiano di essere affondati? Si immergono, ossia scendono in profondità sui fondali, sperando di sfuggire ai radar e, soprattutto, ai siluri della flotta avversaria. Secondo autorevoli quotidiani, sarebbe questa la tecnica adottata da Domenico Arcuri, del quale da giorni si sono perse le tracce.Abituato a concedere interviste a giornali e tv, oltre che ad apparire spesso in conferenza stampa, da quando c'è il nuovo governo il commissario all'emergenza Covid si è inabissato, provando a farsi dimenticare. Le ragioni dell'improvviso silenzio stampa non derivano, come qualcuno potrebbe pensare, solo dal cambio a Palazzo Chigi. Certo, l'uscita di scena di Giuseppe Conte - l'uomo che per fronteggiare la pandemia un anno fa lo aveva voluto al posto di Angelo Borrelli - e l'arrivo di Mario Draghi, hanno avuto un'influenza sulle performance televisive dell'amministratore delegato di Invitalia. Tuttavia, non si tratta solo di quello. A indurre Arcuri alla prudenza e a rinunciare ai settimanali incontri con i giornalisti, dove esibiva potere e disprezzo nei confronti di chi gli rivolgeva domande ritenute scomode, sono anche le inchieste aperte da alcune Procure sulle forniture di dispositivi di protezione. In particolare, c'è l'indagine dei pm di Roma sulle mascherine arrivate dalla Cina grazie a una curiosa combriccola di improvvisati intermediari, fra i quali spicca un giornalista Rai che vantava una solida conoscenza proprio con il commissario all'emergenza. I lettori de La Verità sanno tutto di questa faccenda, perché da settimane, in assoluta solitudine, il nostro giornale li informa sugli sviluppi dell'inchiesta, in particolare sulla commissione da oltre 70 milioni incassata dai presunti broker. Uno di loro, Mario Benotti, cronista tv in aspettativa, era abituato a entrare e uscire dai Palazzi romani, in particolare da quelli dei ministeri in quota Pd. Per questo, agli inizi dell'epidemia, aveva contattato Arcuri, il quale adesso quasi nega di conoscerlo, anche se gli inquirenti hanno annotato più di 1.200 contatti telefonici in soli pochi mesi.Oltre alle indagini e al cambio di passo dovuto al nuovo governo, a contribuire all'inabissamento del super commissario c'è anche il fatto che la campagna vaccinale procede meno bene di come era stata annunciata. Tra dicembre e gennaio, Arcuri si dimostrava certo di poter immunizzare in pochi mesi gran parte degli italiani e, bisogna riconoscere, che in principio le cose erano andate spedite, tanto che l'Italia risultava il primo Paese europeo per numero di inoculati. Ma poi tutto è cambiato. Ufficialmente per il taglio delle forniture di fiale da parte delle aziende farmaceutiche e un po' perché la task force che il commissario aveva promesso di mettere in campo non s'è mai vista. Le primule, cioè i tendoni dove gli italiani avrebbero ricevuto le inoculazioni, sono sfiorite ancora prima di sbocciare. I medici e gli infermieri da assumere si sono ridotti da 15.000 a poco più di 3.000. Gli accordi con farmacisti e dottori di famiglia sono stati avviati in ritardo. Risultato, se prima l'Italia era avanti al resto d'Europa, adesso è scavalcata, in percentuale, da Romania, Grecia, Polonia, Portogallo, per non dire di Danimarca, Norvegia, Svezia, Finlandia, Slovacchia e Slovenia e della Lituania.Non tutte le colpe però sono del pover'uomo costretto dagli eventi a nascondersi sui fondali della politica. Se in Italia i vaccini scarseggiano è perché l'Europa i contratti li ha fatti al ribasso, cioè cercando di risparmiare, firmando contratti a 18 dollari quasi si trattasse di saldi di fine stagione. In Israele, Paese che ha già vaccinato l'82 per cento della popolazione, le fiale le hanno pagate 30 dollari. Negli Stati Uniti, il tanto vituperato Donald Trump ha speso tra i 20 e i 24 dollari, ma adesso hanno già inoculato le dosi a quasi 60 milioni di abitanti (circa il 18 per cento degli americani), così come quel buffone di Boris Johnson ha vaccinato oltre 17 milioni di inglesi (più del 25 per cento), e quel dittatore di Erdogan 6,5 milioni di turchi, il 7,5 per cento del totale, per non parlare degli Emirati Arabi, con 5,5 milioni, oltre la metà degli abitanti. Certo, israeliani, americani, britannici, arabi e, credo, anche i turchi hanno speso più di ciò che alla fine spenderemo noi per vaccinarci. Ma che cosa sono 1,2 miliardi di euro (tanto avremmo pagato se avessimo sborsato il prezzo sostenuto da Tel Aviv) in confronto a ciò che ci è costato e ci costa il lockdown? Invece di buttare soldi nei monopattini (465 milioni), nei bonus vacanze (2,4 miliardi stanziati, 615 milioni prenotati) o nel cashback (230 milioni), ci saremmo potuti comprare tutti i vaccini che ci servivano anche a 30 dollari. Ma il governo giallorosso ha preferito fare altro, accodandosi alla linea di Ursula von der Leyen, che oggi tutti - perfino quelli che osannano la Ue - riconoscono come un fallimento.Certo, tutto ciò non è attribuibile all'inaffondabile sommergibilista a cui è affidata l'emergenza Covid, e però qualche responsabilità va riservata anche a lui perché, quando si iniziò a parlare del taglio dei vaccini, Arcuri assicurò con una certa tracotanza che avrebbe fatto causa alla Pfizer e a tutte le altre aziende che si fossero permesse di non rispettare gli accordi. Poi, qualcuno deve avergli spiegato che non c'era alcuna possibilità di vincere il contenzioso, perché le forniture non erano state ordinate a nome dell'Italia, ma di Bruxelles e a ogni buon conto le clausole contrattuali esentavano le società da qualsiasi responsabilità in caso di ritardo. Risultato, le iniziative giudiziarie annunciate con enfasi da Arcuri si sono inabissate nel profondo dei mari. Proprio come il commissario. Del resto, l'importante non è esistere, ma resistere. Se serve, sotto il pelo dell'acqua e pure sotto quello della decenza.
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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