2018-09-04
Il Sessantotto cominciò due anni prima all’università di Trento
Renato Curcio e compagni anticiparono Parigi con un'occupazione di 18 giorni. I contestatori? Figli di papà fuori corso, provenienti da Milano e Torino.Il mezzo secolo dal Sessantotto è diventato occasione per molte rievocazioni storiche, politiche e fotografiche della rivoluzione che fu. Un collettivo tuffo nel passato nel quale, però, parecchi si sono scordati un aspetto importante: in Italia, la miccia della rivoluzione sessantottina non venne accesa in una grande città. Non a Roma, per capirci, né a Torino e neppure all'università statale di Milano, come pure spesso si ripete, bensì là dove meno uno se lo sarebbe atteso: a Trento, tra le montagne. Per la precisione, il Sessantotto nacque a Trento il 24 gennaio 1966, quindi due anni prima rispetto alla nota datazione, quando gli studenti dell'allora Istituto universitario di scienze sociali, la futura facoltà di sociologia, occuparono l'edificio di via Verdi, un'ex scuola elementare di tre piani eretta a fine Ottocento dall'architetto viennese Carl Hintränger dove, appunto, l'istituto si trovava. L'occupazione durò 18 giorni e colpì molto la fino a quel momento devotissima e sonnolente città di Trento, dove già alle 19 bar e strade erano solite svuotarsi. Chi ricorda bene quel periodo è Luigi Sardi, scrittore e decano dei giornalisti trentini, che dal marzo del 1959 all'agosto del 1998 è stato firma e inviato speciale del quotidiano Alto Adige, seguendo così in prima linea, da cronista, tutti gli eventi di allora, rievocati nel volume Il pugno e la rotativa. «Non era mai successo», spiega Sardi alla Verità, «che un'occupazione durasse così a lungo, di giorno e di notte. Tutto ciò lasciò stupefatti i trentini di allora, che rispetto ad oggi avevano una mentalità molto più chiusa e cattolica, e che giudicavano una sorpresa intollerabile il fatto che giovani di ambo i sessi dormissero sotto lo stesso tetto: «E figurarsi se dormono», si diceva. Ricordo un avventore del bar Città che, appoggiato al bancone con in mano un Cynar, citando Ernest Hemingway in Per chi suona la campana evocò la giovane spagnola che s'infila nuda nel sacco a pelo del guerrigliero americano».Lo scopo della mobilitazione era il riconoscimento della facoltà di sociologia, che arrivò per legge, rendendola la prima in Italia, l'8 giugno di quel tumultuoso 1966, nel corso del quale, in autunno, ci fu una seconda occupazione di 17 giorni. Il dato significativo qui è però, anzitutto, quello cronologico, che vede la genesi della grande contestazione nella piccola Trento, che anticipò non solo le metropoli italiane, ma anche città come Berlino e la stessa Parigi. Chi fossero i sessantottini ante litteram che sconvolsero la città del Concilio, lo ricorda sempre Sardi: «Erano soprattutto studenti che venivano da altre università e da altre esperienze. Avevano un'età nettamente superiore ai 18, 20 anni degli studenti trentini che affrontavano per la prima volta l'università. Erano giovani fortemente politicizzati molti dei quali, se non la maggior parte, fuori corso, che avevano raggiunto una Trento allora molto tranquilla. A chiamarli a raccolta, una sorta di tam tam che si era diffuso e che aveva attirato giovani da città come Torino e Milano, oltre che dal meridione».«A Trento», conferma il sociologo Paolo Sorbi, uno dei protagonisti della contestazione dell'epoca, «c'erano gli sradicati colti dell'Italia degli anni Sessanta, che non si trovavano bene nelle loro città in quanto si sentivano isolati e non potevano fare politica». A proposito dell'identikit dei contestatori, anche se non è politicamente corretto ricordarlo, va poi detto come tra essi vi fossero giovani che, di proletario, avevano ben poco. «Al tempo della contestazione», conferma Sardi, «c'erano moltissimi figli di papà, i quali si erano voluti separare e staccare delle famiglie che, oltre a mantenerli, desideravano controllare l'andamento degli studi dei loro figli. Un controllo che i giovani di allora rifiutavano».A guidare i cortei che percorrevano e percuotevano Trento, c'era Mauro Rostagno. Carismatico e abile oratore, era di età più matura degli altri studenti, essendo già reduce da un matrimonio e avendo già una figlia. Un'aria vissuta, la sua, che lo rendeva affascinante agli occhi delle studentesse, e che lo portò a essere protagonista di episodi che, ricordati oggi, hanno del surreale. Come quando, per superare un esame scritto di matematica per il quale mancava la preparazione, Rostagno - che pure si laureerà col massimo dei voti, ed è oggi commemorato da una targa metallica che si trova al bar Duomo, crocevia, allora come oggi, degli studenti di sociologia -, organizzò con i compagni un black-out della corrente elettrica, così da farsi passare, al buio, le soluzioni agli esercizi da altri, esterni. Più defilato era invece il giovane Renato Curcio. «Curcio lo si vedeva pochissimo nelle manifestazioni. Le fotografie dell'epoca lo mostrano come una sorta di pacioccone. In effetti, era molto riservato, tranquillo, sorridente: nessuno avrebbe pensato che sarebbe diventato uno in grado di organizzare qualcosa di violento», ricorda Sardi. All'epoca anche Margherita Cagol detta Mara, che si unirà a Curcio in amore come pure, purtroppo, nel terrorismo brigatista, appariva quanto di più lontano da ciò che sarebbe divenuta. Studentessa assai brillante, era religiosa e andava a messa regolarmente, ma nel corso della contestazione probabilmente iniziò, in lei, un cambiamento. Emblematico quanto accadde una sera durante un'occupazione di sociologia, quando l'avvocato Sandro Canestrini e Sardi decisero di andare a trovare gli studenti asserragliati nella facoltà buia e gelida dato che, per indurli allo sgombero, era stata tolta la corrente. Nell'oscurità, i due videro aprirsi la porta di un'aula illuminata da candele e lampade a gas, dalla quale usciva un suono di chitarra: era la Cagol che intonava l'Internazionale. La presenza a Trento di Curcio, Cagol e di Marco Pisetta, anch'egli futuro brigatista, ha alimentato un imbarazzo tale per cui, ancora oggi, molti tengono a sottolineare come le Brigate rosse si siano costituite in quel di Milano, e non certo nella città «gaia e linda», per dirla con Guido Piovene. Tuttavia, anche se formatesi altrove, è a Trento, sottolinea Sardi, «che le Br hanno avuto mentalmente, psicologicamente e culturalmente il loro principio. Sempre che di cultura si possa parlare, per una banda di assassini».Nei corridoi di sociologia c'erano anche studenti di formazione cristiana e progressista come Sorbi e Marco Boato, futuro parlamentare che nel 1981, nelle file dei Verdi, stabilirà un record tutt'ora imbattuto: quello del discorso più lungo nella storia della Camera dei deputati. Tenne infatti un intervento contro la proroga di un anno del fermo prolungato da parte della polizia: iniziò alle 21.10 del 10 febbraio e finì alle 14.15 del giorno dopo, per totale di 18 ore e 5 minuti. Per correttezza va aggiunto che non tutti gli studenti di allora condividevano in toto la contestazione. Renzo Gubert, per esempio, che a sociologia diventerà docente e decenni più tardi sarà senatore dell'Udc, si distinse come uno fra quelli che, pur condividendone le ragioni, rigettavano il metodo della protesta, dissociandosi così sin dalla prima occupazione, cui pare si sia opposto anche Boato. Questo rese agli occhi di numerosi «compagni» lo studente Gubert un avversario. Una volta, subito dopo un intervento di sgombero degli occupanti da parte della polizia, fermatosi davanti al tavolo di Rostagno, che pranzava con i suoi, si vide lanciare da questo, in segno di disprezzo, una a una le bucce le bucce di un'arancia che si apprestava a mangiare. Irritato, Gubert prese un'insalatiera gettando il contenuto in faccia a Rostagno. I presenti fecero per pestare chi aveva oltraggiato il loro leader ma questi li fermò. Quel gesto di reazione, disse, dimostrava che pure Gubert era un vero proletario.Ma la città come visse quella «stagione irripetibile»? Chi c'era ricorda due fasi. Una prima armoniosa, nella quale lo stupore per la nuova facoltà fu accompagnato dall'accoglienza per gli studenti affluiti a Trento da varie parti d'Italia. Studenti che si seppero far apprezzare, specie in seguito alla tragica alluvione del novembre del 1966, aiutando e soccorrendo i trentini. È ancora viva, al riguardo, la memoria dei giovani universitari attivi in via Suffragio, in via San Martino e in piazza Mostra per aiutare a spalare il fango, a liberare le cantine inondate e ripulire la città. In quel periodo gli studenti erano anche vicini alle proteste operaie. La prima è stata una fase di amicizia tra la popolazione trentina e quelli che venivano con simpatia chiamati «foresti». Successivamente tutta una serie di eventi iniziarono a inquietare cittadinanza; come le sempre più numerose occupazioni di sociologia, le vivacissime contestazioni ai militanti di destra davanti alla chiesa di san Lorenzo, i canti di Bandiera rossa per le vie del centro storico e la diffusione di un preoccupante slogan nato nei corridoi dell'università: «Cloro al clero, diossina alla Dc, piombo tetraetile all'Msi». A far traboccare il vaso, fu il «contro quaresimale», com'è tutt'ora chiamata la contestazione all'interno del Duomo di Trento della quale, il 26 marzo del 1968, Paolo Sorbi si rese responsabile interrompendo il sermone del celebrante, il francescano Igino Sbalchiero, mentre questi stava attaccando l'Urss e i suoi lager. «Non è vero!», urlò a squarciagola Sorbi. Anni dopo il sociologo riconoscerà l'infondatezza di quel gesto («Aveva ragione il prete»), ma allora la cosa fece un clamore enorme e innescò una tendenza. Il «contro quaresimale», infatti, proseguì con altri studenti per giorni, facendo crescere un clima di insofferenza tale per cui, la sera del 29 marzo, alcuni gruppi di cittadini, esasperati, decisero di assaltare la facoltà di sociologia. Per evitare il peggio, la polizia si pose allora a difesa dell'edificio dentro il quale si erano rinchiusi i 150 occupanti. Ricorda Soardi: «L'iniziale armonia tra la città e i contestatori era diventata antipatia. Anzi, in certi casi addirittura disprezzo e odio verso gli studenti da parte dei trentini».
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La nuova serie The Iris Affair, in onda su Sky Atlantic, intreccia azione e riflessione sul potere dell’Intelligenza Artificiale. Niamh Algar interpreta Iris Nixon, una programmatrice in fuga dopo aver scoperto i pericoli nascosti del suo stesso lavoro.