
Quando Matteo Salvini ha mostrato per la prima volta il crocefisso al popolo lo scenario è cambiato. L'illusione di relegare la religione nella sfera privata è fallita. Mandando in fumo la tregua di comodo tra preti e laicisti.Non ha alcuna importanza sapere com'è il crocefisso del rosario di Matteo Salvini, da quando ce l'ha, dove l'ha comprato. È certo però che da quando Matteo l'ha estratto, alla fine della campagna elettorale del 2018, impegnandosi sul rosario di fronte al popolo, ha aperto una nuova fase della politica italiana, riammettendovi ufficialmente il sacro, con i suoi simboli, forze e credenze, ufficialmente proscritte dopo Mani pulite e la fine della Democrazia cristiana. Non è stata una cosa da poco. E continua a non esserlo, come si visto anche martedì 21 agosto, quando Salvini ha rapidamente baciato il crocefisso del rosario, e la presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, si è messa a scampanellare gridando: «Lei non può mostrare simboli religiosi», disperata. «Non deve», ripetendo più volte l'ingiunzione e agitandosi spaventata come se avesse visto Belzebù. Il sacro, infatti, con i suoi simboli, è da sempre una componente centrale della lotta politica (i manifesti con lo scudo crociato della Dc hanno fatto di più per fermare i comunisti nel 1948 che molti discorsi dei suoi dirigenti), e la fantasia di poterlo cacciare da lì è durata poco, non solo in Italia. La religione e i suoi simboli sono con forza tornati nel dibattito politico e non per iniziativa della Chiesa, che anzi ha subito veementemente protestato, ma dei cittadini, che ne avevano nostalgia. Qualcuno, del resto, l'aveva intuito. Qualche anno fa, quando mi fu assegnato un Premio Capri per un libro sul padre, il filosofo Dario Antiseri intervenne e disse che ormai il bisogno di riannodare la politica con l'esperienza religiosa era fortissimo, e il mondo cattolico doveva sbrigarsi. La Chiesa però non ne era convinta. Pensava, come ha detto confusamente Giuseppe Conte e twittato entusiasta il direttore di Civiltà Cattolica, Antonio Spadaro, che «accostare ai simboli politici i simboli religiosi» fosse «incoscienza religiosa» e rischiasse di «offendere i credenti e offuscare il principio di laicità, tratto caratteristico dello Stato moderno». Ci ha pensato Salvini e adesso i preti avranno il loro daffare.Il fatto è che già da un pezzo l'uomo moderno non è più solo lo schizofrenico che tiene Dio nascosto in un angolo del suo cuore e poi vive come se Dio non ci fosse. Questa roba è durata a fatica fino al 1990, poi è crollata: il primo segno fu la fine dell'Unione sovietica. San Giovanni Paolo II, il Papa che fu uno degli artefici di quella fine (anche consacrando già anni prima quel Paese al cuore di Maria Immacolata perché lo salvasse), sapeva bene che la sostituzione della dea Ragione a Dio era franata da un pezzo, e il popolo voleva il suo Signore. Lo sapeva anche perché era un filosofo serio, formato nell'incontro con Max Scheler e la fenomenologia e impegnato a guardare non ad astrazioni e ideologie ma all'uomo e al mondo della vita. Anche per questo aveva fondato fin dal 1981 il pontificio istituto Giovanni Paolo II: per dare formazioni religiose filosoficamente adeguate (urgenti nel mondo cattolico, che pure aveva dato teologi-filosofi come Romano Guardini), oltre all'insegnamento della sua teologia del corpo, di cui fu impareggiabile maestro, e all'accompagnamento e amplificazione della sua enciclica Veritatis splendor, sulla riforma della vita morale. L'istituto ebbe rettori come Carlo Caffarra, poi cardinale di Bologna, Angelo Scola, poi cardinale di Milano, filosofi come Stanislaw Grygiel e altri. Come già riferito da questo giornale, papa Francesco ha soppresso però con il motu proprio Summa familiae cura dell'8 settembre 2017 l'istituto, sostituendolo con un nuovo pontificio istituto teologico Giovanni Paolo II per le scienze del matrimonio e della famiglia, e nuovi dirigenti. L'autorevole scrittore e commentatore religioso americano Georg Weigel ha definito l'operazione «un esercizio di crudo vandalismo intellettuale», lamentando che l'istituto sia «stato perentoriamente privato dei suoi professori più illustri, e i suoi corsi centrali di teologia morale cancellati». Gli studenti hanno protestato con un appello descrittivo della situazione all'indirizzo Appellostudentigp2.com. Quando l'ho consultato c'erano all'appello firme di 254 studenti attuali, 22 ospiti, 486 ex studenti, 930 supporter esterni.Il guaio è che molta Chiesa attuale sembra infastidita dalla vitalità del fenomeno religioso, anche cristiano: nel mondo (dove per la verità non era mai stato in crisi), e ora anche in Europa, imbambolata a lungo sull'idea della «morte di Dio», come documenta la sociologia della religione. Peter Ludwig Berger, un tempo fra i più accaniti sostenitori della «secolarizzazione», la laicizzazione della società (che monsignor Spadaro crede ancora caratteristica della modernità) ha da tempo riconosciuto di essersi sbagliato. Nel suo ultimo libro, I molti altari della modernità, racconta: «L'idea di base era molto semplice: la modernità comporta necessariamente un declino della religione; la teoria era condivisa praticamente da tutti coloro che studiavano la religione nel mondo moderno. Mi ci sono voluti 25 anni per concludere che è accaduto il contrario: non è vero che modernità voglia dire meno religione. L'idea che noi viviamo in un mondo secolarizzato è falsa. Il mondo oggi, con qualche eccezione, è altrettanto religioso di come è sempre stato; in alcune zone anche più». Questo ritorno di interesse e pratiche religiose però ha colto di sorpresa la Chiesa, che al di fuori di alcuni ordini, soprattutto conventuali (che lo sapevano benissimo), viaggiava su ipotesi di un allontanamento sempre più marcato. Ne sa qualcosa l'analista. Quando infatti il processo di cambiamento è a buon punto l'analizzando sente spesso il bisogno di una direzione e una pratica religiosa; ma non si sa dove mandarlo, perché in parrocchia a volte il sacerdote fugge spaventato, o sta facendo l'assistente sociale. La risacralizzazione del mondo inoltre (il reincantamento, come viene spesso chiamato in francese) non è facile per preti. I «nuovi credenti» vogliono sacerdoti anch'essi credenti, convinti, e attenti alla liturgia: non le schitarrate che irritano il maestro Riccardo Muti e neppure melense canzoncine. Se possibile il canto gregoriano, e comunque roba seria, robusta. Il tradizionalismo non c'entra: è che non hanno voglia di andare in Chiesa per accompagnare la depressione o gli sproloqui del sacerdote, ma per incontrare Gesù Cristo e la sua famiglia, Padre e Madre, con i riti che li celebrano. Sono esigenti anche perché il cristianesimo alimenta molti fiumi e ormai la gente lo sa: c'è il cattolicesimo, ma c'è anche la Chiesa ortodossa che spopola nelle città (cui aderisce ad esempio Rod Dreher, l'autore di Opzione Benedetto), o quella Valdese, di solito a sinistra ma seria e preparata. Secondo Mark Chaves (università di Notre Dame) non è il sentimento religioso che è in crisi, ma l'autorità della Chiesa. Matteo Salvini è innocente.
John Grisham (Ansa)
John Grisham, come sempre, tiene incollati alle pagine. Il protagonista del suo nuovo romanzo, un avvocato di provincia, ha tra le mani il caso più grosso della sua vita. Che, però, lo trascinerà sul banco degli imputati.
Fernando Napolitano, amministratore delegato di Irg
Alla conferenza internazionale, economisti e manager da tutto il mondo hanno discusso gli equilibri tra Europa e Stati Uniti. Lo studio rivela un deficit globale di forza settoriale, potere mediatico e leadership di pensiero, elementi chiave che costituiscono il dialogo tra imprese e decisori pubblici.
Stamani, presso l’università Bocconi di Milano, si è svolta la conferenza internazionale Influence, Relevance & Growth 2025, che ha riunito economisti, manager, analisti e rappresentanti istituzionali da tutto il mondo per discutere i nuovi equilibri tra Europa e Stati Uniti. Geopolitica, energia, mercati finanziari e sicurezza sono stati i temi al centro di un dibattito che riflette la crescente complessità degli scenari globali e la difficoltà delle imprese nel far sentire la propria voce nei processi decisionali pubblici.
Particolarmente attesa la presentazione del Global 200 Irg, la prima ricerca che misura in modo sistematico la capacità delle imprese di trasferire conoscenza tecnica e industriale ai legislatori e agli stakeholder, contribuendo così a politiche più efficaci e fondate su dati concreti. Lo studio, basato sull’analisi di oltre due milioni di documenti pubblici elaborati con algoritmi di Intelligenza artificiale tra gennaio e settembre 2025, ha restituito un quadro rilevante: solo il 2% delle aziende globali supera la soglia minima di «fitness di influenza», fissata a 20 punti su una scala da 0 a 30. La media mondiale si ferma a 13,6, segno di un deficit strutturale soprattutto in tre dimensioni chiave (forza settoriale, potere mediatico e leadership di pensiero) che determinano la capacità reale di incidere sul contesto regolatorio e anticipare i rischi geopolitici.
Dai lavori è emerso come la crisi di influenza non riguardi soltanto le singole imprese, ma l’intero ecosistema economico e politico. Un tema tanto più urgente in una fase segnata da tensioni commerciali, transizioni energetiche accelerate e carenze di competenze nel policy making.
Tra gli interventi più significativi, quello di Ken Hersh, presidente del George W. Bush Presidential Center, che ha analizzato i limiti strutturali delle energie rinnovabili e le prospettive della transizione energetica. Sir William Browder, fondatore di Hermitage Capital, ha messo in guardia sui nuovi rischi della guerra economica tra Occidente e Russia, mentre William E. Mayer, chairman emerito dell’Aspen Institute, ha illustrato le ricadute della geopolitica sui mercati finanziari. Dal fronte italiano, Alessandro Varaldo ha sottolineato che, dati alla mano, non ci sono bolle all’orizzonte e l’Europa ha tutti gli ingredienti a patto che si cominci un processo per convincere i risparmiatori a investire nelle economia reale. Davide Serra ha analizzato la realtà Usa e come Donald Trump abbia contribuito a risvegliarla dal suo torpore. Il dollaro è molto probabilmente ancora sopravvalutato. Thomas G.J. Tugendhat, già ministro britannico per la Sicurezza, ha offerto infine una prospettiva preziosa sul futuro della cooperazione tra Regno Unito e Unione Europea.
Un messaggio trasversale ha attraversato tutti gli interventi: l’influenza non si costruisce in un solo ambito, ma nasce dall’integrazione tra governance, innovazione, responsabilità sociale e capacità di comunicazione. Migliorare un singolo aspetto non basta. La ricerca mostra una correlazione forte tra innovazione e leadership di pensiero, così come tra responsabilità sociale e cittadinanza globale: competenze che, insieme, definiscono la solidità e la credibilità di un’impresa nel lungo periodo.
Per Stefano Caselli, rettore della Bocconi, la sfida formativa è proprio questa: «Creare leader capaci di tradurre la competenza tecnica in strumenti utili per chi governa».
«L’Irg non è un nuovo indice di reputazione, ma un sistema operativo che consente alle imprese di aumentare la protezione del valore dell’azionista e degli stakeholder», afferma Fernando Napolitano, ad di Irg. «Oggi le imprese operano in contesti dove i legislatori non hanno più la competenza tecnica necessaria a comprendere la complessità delle industrie e dei mercati. Serve un trasferimento strutturato di conoscenza per evitare policy inefficaci che distruggono valore».
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