2020-12-03
Il regalo di Giuseppi: un Natale senza i tuoi
Jan Woitas/picture alliance via Getty Images
Mentre Francia, Spagna e Germania allentano la cinghia, il governo condanna gli italiani alle feste blindate. Alla faccia degli affetti e delle tradizioni che avevano resistito alla guerra. I confini comunali, anche di pochi metri, diventano muri che isolano gli anziani.Il Natale al confino? Da reclusi? Senza la possibilità di uscire dalle mura del Comune? Senza la possibilità di andare a trovare nonni, fratelli e genitori che si sono macchiati della grave colpa di abitare a qualche chilometro di distanza? Condannando alla solitudine migliaia di anziani? Il Natale che sfascia le famiglie? Che distrugge riti e tradizioni? Il Natale con l'obbligo di dimora, come se fossimo dei potenziali terroristi, pronti a fare un attentato contro la civiltà occidentale, mentre invece l'unico attentato certificato, nei nostri pranzi di Natale, è quello al benessere del cappone? Ma siamo sicuri che tutto questo serva per fermare il Covid? Perché altri Paesi, come la Spagna, la Francia e persino la Germania, si avviano alle feste allentando le restrizioni mentre da noi si inaspriscono? E come mai, nonostante i sacrifici che ci sono imposti, la gestione della pandemia da noi risulta fra le peggiori del mondo? E dà i risultati fra i peggiori del mondo?Le regole imposte dal nuovo dpcm rimettono in discussione libertà che sembravano acquisite da secoli. Spuntano le barriere tra le Regioni, e persino fra i Comuni. Diventa impossibile spostarsi e circolare liberamente. All'improvviso scopriamo che non siamo più padroni di noi stessi. Sembra di essere tornati ai tempi che precedettero l'habeas corpus: il sovrano dispone di noi. Del nostro essere. Dei nostri movimenti. Anche per varcare il confine tra i Comuni di Camparada e Correzzana, devo guardare il calendario. Un giorno si può, l'altro no. E se fra i due Comuni non c'è soluzione di continuità, se sono agglomerati di case attaccate le une alle altre, non importa. I tracciati invisibili che finora erano riconosciuti solo sulle carte amministrative si fanno muri invalicabili. E creano nuovi spazi di lontananza e di sofferenza. A marzo c'era stato il lockdown generale e tutti l'avevamo accettato pensando che fosse una cosa eccezionale di fronte a un evento eccezionale. Qui invece ci stanno dicendo che dobbiamo imparare a convivere con il virus. E nel frattempo stiamo imparando a convivere con le più assurde restrizioni delle libertà, spesso insensate, immotivate, non più giustificate dalle terapie intensive piene o dagli ospedali in affanno. La violazione dei nostri diritti è diventata sistematica. Quasi routine. E si sa come funzionano queste cose: quando si abbatte una barriera, poi l'onda è difficile da fermare. Travolge tutto. Così, ormai assuefatti ai dpcm assistiamo al varo di norme fortemente restrittive, in difformità dal resto d'Europa, giustificate non da esigenze impellenti ma dalla volontà di prevenire. Il che è ulteriormente pericoloso: si potrà giustificare ogni cosa, con la volontà di prevenire un pericolo incombente. Tanto ormai nessuno dice nulla. Tanto ormai accettiamo tutto supinamente. Ma qualcuno gliel'ha chiesto agli anziani se sono d'accordo nel passare le feste chiusi in casa, lontano dai nipotini, dagli affetti, da quei piccoli riti che fondano e danno un senso alla famiglia, dalle tradizioni che hanno segnato la loro esistenza? Qualcuno ha chiesto loro se preferiscono la solitudine o il rischio nascosto in un abbraccio? Possibile che qualcuno possa decidere in modo autoritario al loro posto? Non sono più in grado di scegliere? Davvero? Preservare le persone dai pericoli è una ottima intenzione. Ma se la applicassimo sempre sparirebbero le corse automobilistiche, le scalate all'Himalaya e il bungee jumping. In fondo anche chi va a fare paracadutismo sa che potrebbe lasciarci le penne. E allora perché lui può correre il rischio di buttarsi da 4.000 metri d'altezza e mio suocero non può correre il rischio di fare 400 metri in piano per venire a pranzo da noi il giorno di Natale? Soltanto perché in mezzo a quei 400 metri c'è il confine di un Comune? Passeremo il Natale più infelice della nostra storia. E io lo so che adesso Massimo Galli e i suoi piccoli fan mi diranno: «che cosa vuoi che sia il Natale di fronte alla pandemia». Ma a parte il fatto che tutti questi sacrifici che ci hanno imposto non mi pare, statistiche alla mano, abbiano prodotto risultati entusiasmanti, a parte questo dicevo: il Natale è il centro delle nostre tradizioni. Lì dentro c'è la nostra fede, ma anche i nostri riti, i ricordi, le memorie, l'infanzia, la famiglia, l'insieme dei nostri valori, le ragioni dello stare insieme. Lì dentro c'è la vita. Non possiamo continuare a considerare tutto ciò come superfluo perché, al contrario, è l'essenziale. È l'unica ragione per cui stiamo al mondo. Non possiamo essere ridotti ad amebe da computer, appiattiti sugli schermi, buoni soltanto per collegarsi su Skype, comprare su Amazon e vedere film su Netflix. Non siamo quella roba lì. O, almeno, non vogliamo diventarla. Mia mamma vive da sola. Ha 83 anni. Abbiamo sempre passato il Natale insieme. Sempre. Ieri sera le ho telefonato e stava già pensando agli agnolotti (i suoi mitici agnolotti) per il nostro pranzo. Nessuno si permetta di ridere. Per lei, per noi, gli agnolotti del pranzo di Natale non sono un piatto: sono il rito, il nostro rito, la nostra tradizione. Si portano dietro i ricordi, l'infanzia, la memoria dei nonni, e i ricordi del papà, con i nipoti che ne ripetono i gesti, le frasi e le scelte, ora che non c'è più per fare in modo che lui sia ancora in mezzo a noi. E mi sembra impossibile pensare che adesso, appena finito di scrivere, dovrei chiamarla per dire: scusa mamma, lascia stare gli agnolotti, quest'anno il Natale, per la prima volta, in 54 anni, lo passerai da sola. Eppure così stabilisce il dpcm. Che forse ci salverà la vita. Di sicuro ce la sta rovinando.
«Murdaugh: Morte in famiglia» (Disney+)
In Murdaugh: Morte in famiglia, Patricia Arquette guida il racconto di una saga reale di potere e tragedia. La serie Disney+ ricostruisce il crollo della famiglia che per generazioni ha dominato la giustizia nel Sud Carolina, fino all’omicidio e al processo mediatico.