2023-10-10
Il progetto espulsioni ha due punti deboli
In sede di conversione del decreto legge sull’immigrazione, il governo ha la possibilità di correggere subito i difetti (eredità dell’esecutivo Pd-M5s) che indeboliscono la normativa: i requisiti per i «vulnerabili» e il patrocinio legale gratuito.Presidente di sezione a riposo della Corte di cassazione Pochi ricordano, forse, che tra le modifiche apportate dal governo 5 stelle-Pd alla precedente normativa sull’immigrazione vi fu quella, passata quasi sotto silenzio, costituita dall’art. 2, comma 2, lett.c) del dl n. 130/2020 che escluse la possibilità di respingere per manifesta infondatezza le domande di protezione internazionale presentate da soggetti che, pur provenienti da Paesi classificati come «sicuri», fossero portatori, tuttavia, di taluna delle «esigenze particolari indicate nell’art. 17 del dl.vo 18 agosto 2015 n. 142». Vale a dire, secondo il testuale tenore di quest’ultima norma, tutte le «persone vulnerabili, quali i minori, i minori non accompagnati, i disabili, gli anziani, le donne in stato di gravidanza, i genitori singoli con figli minori, le vittime della tratta di esseri umani, le persone affette da gravi malattie o disturbi mentali, le persone per le quali è stato accertato che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale o legata all’orientamento sessuale o all’identità di genere, le vittime di mutilazioni genitali». Ciò in deroga alla norma dettata, per la generalità dei casi, dall’art. 28 ter, comma 1, lett. b), del dl.vo n. 25/2008, secondo deve considerarsi, fino a prova contraria, «manifestamente infondata» la domanda di protezione internazionale proposta da soggetto il cui Paese di provenienza sia tra quelli classificati come «sicuri». Si tratta, all’evidenza, di una deroga priva di ogni ragionevolezza, tanto più in quanto è espressamente previsto, dall’art. 2 bis, comma 5, del citato dl.vo n. 25/2008, che anche il richiedente asilo proveniente da un Paese «sicuro» possa invocare «gravi motivi per ritenere che quel Paese non è sicuro per la situazione particolare in cui lo stesso richiedente si trova». E fra tali motivi nulla impedirebbe che venisse addotto anche taluno di quelli sopra menzionati, la cui rilevanza, però, andrebbe valutata - come vorrebbero la logica ed il comune buon senso - di volta in volta, sulla base della specifica situazione rappresentata dall’interessato e non sulla base di una valutazione puramente aprioristica e indifferenziata, quale è quella oggi prevista dalla normativa vigente. D’altra parte, non può neppure dirsi che si trattasse di una deroga necessaria per meglio adeguare la normativa interna a quella comunitaria. La Direttiva europea n. 33/2013 si limita, infatti, a prevedere, all’art. 21, l’obbligo degli Stati membri di «tener conto della specifica situazione di persone vulnerabili», indicate in quelle stesse che poi compaiono nella norma interna di attuazione, costituita appunto dal citato art. 17 del dl.vo n. 142/2015, in cui era già contenuta una serie di disposizioni volte a realizzare le migliori condizioni per l’accoglienza dei soggetti in questione. La stessa Direttiva, per converso, nello stabilire, all’art. 33, comma 2, lett. c), che possano essere dichiarate inammissibili le domande di protezione internazionale presentate da soggetti provenienti da un Paese extraeuropeo da ritenersi «sicuro», non prevede alcuna eccezione di principio in favore delle persone c.d. «vulnerabili». Stando così le cose, ci si sarebbe potuto aspettare che l’attuale governo, in linea con la dichiarata intenzione di stringere le maglie dell’accoglienza di «migranti» irregolari, specie a fronte dell’attuale, abnorme aumento del loro afflusso, sopprimesse l’anomalia costituita dalla deroga in questione. E invece, oltre a mantenerla, l’ha addirittura aggravata (presumibilmente per inavvertenza dovuta alla fretta), stabilendo, con l’art. 7, comma 1, lett.b), del recentissimo dl 5 ottobre 2023 n. 133, che tra le «persone vulnerabili» di cui all’art. 17 del dl.vo n. 142/20915 rientrino ora indistintamente tutte le «donne», in quanto tali, indipendentemente dalla circostanza che siano o meno in stato di gravidanza. Ciò comporta la singolare conseguenza che una domanda di protezione internazionale proposta da un soggetto proveniente da un Paese «sicuro» continuerebbe ad essere, di norma, respinta per «manifesta infondatezza», se il richiedente fosse di sesso maschile, mentre ciò sarebbe escluso per il solo fatto che il richiedente fosse di sesso femminile. Difficile immaginare qualcosa di più contrastante non solo con la logica ma anche con il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione, nella parte in cui, tra le discriminazioni vietate, inserisce in primo luogo proprio quella basata sul sesso delle persone. Appare pertanto auspicabile che, in sede di conversione del dl, a tali incongruenze venga posto adeguato rimedio. E, con l’occasione, sempre tenendo conto delle dichiarate intenzioni del governo, potrebbe anche farsi un pensierino circa la possibilità di recepire nell’ordinamento interno almeno una fra le previsioni limitative in materia di assistenza legale gratuita contenute nelle stesse Direttive europee tanto spesso (e a sproposito) invocate dai sostenitori dell’immigrazionismo in massa e, finora, mai attuate: quella, cioè, che conferisce agli Stati membri, la facoltà di «disporre che l’assistenza e la rappresentanza legali gratuite non siano accordate se un giudice o un’altra autorità competente ritiene che il ricorso del richiedente non abbia prospettive concrete di successo» (art. 20, comma 3, della Direttiva n.32/2013 e art. 26, comma 3, lett. b, della Direttiva n. 33/2013). Previsione, questa, che sicuramente non sarebbe neppure in contrasto con l’art. 24, terzo comma, della Costituzione, per il quale ai non abbienti debbono essere assicurati «i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione». Tale norma, infatti, non vieta, quando non si tratti di giudizi sulla responsabilità penale, che la concessione dell’assistenza legale gratuita sia subordinata alla condizione che la pretesa che l’interessato vuol portare avanti non sia «manifestamente infondata»; condizione, questa, che, infatti, è espressamente prevista nella vigente normativa sul patrocinio legale a spese dello Stato (art.74, comma 2, del D.P.R. n. 115/2002). Se solo ci si decidesse a dare attuazione alla suddetta previsione potrebbe risultare assai ridimensionato il fenomeno dei richiedenti asilo che permangono in Italia, anche per lunghi anni, nell’attesa che vengano definite le impugnazioni da essi promosse, pur nella evidente assenza del benché minimo fondamento giuridico, per opporsi ai provvedimenti con i quali le loro richieste siano state respinte; cosa resa loro possibile dal fatto che possono indiscriminatamente avvalersi, a tal fine, dell’indispensabile assistenza legale posta a carico dello Stato (e, quindi, dei cittadini italiani). Non sarebbe certamente un toccasana ma dovrebbe comunque valere, per analogia, la regola di buon senso per cui, se taluno ha la febbre a 40 gradi e non si è ancora trovato il rimedio alla malattia, è bene fargli prendere almeno un antipiretico.
Giorgia Meloni e Donald Trump (Getty Images)
il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi (Ansa)
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