
Sabino Cassesse, nel corso della carriera, ha ricoperto una marea di incarichi pubblici. Però si scandalizza per la «fame di nomine» del nuovo esecutivo. La lottizzazione lo disgusta solo se non la fanno i suoi amici.Se la fanno i tuoi amici si chiama scelta dei servitori dello Stato: anzi, dei civil servant, che suona indubbiamente più figo. Se invece la fanno i tuoi avversari, si chiama lottizzazione selvaggia, occupazione senza scupoli, divisione delle spoglie.Ieri mattina, sul Corriere della Sera, con il tono del preside sdegnato per la scostumatezza degli allievi, è intervenuto sul tema il decano degli amministrativisti italiani, il professor Sabino Cassese.Già ministro, già giudice costituzionale, già componente di un'infinità di organi privati e (ehm) pubblici. In ordine sparso, nell'uno e nell'altro settore, ci sembra di ricordare: Ufficio italiano cambi, Olivetti, Autostrade, Assicurazioni generali, Lottomatica, Banco di Sicilia, Creditagri Italia, Scuola dei beni e delle attività culturali e del turismo. E ancora (sempre a meno di nostri errori e omissioni): presidente della Commissione di indagine sul patrimonio immobiliare pubblico (organo della presidenza del Consiglio); presidente della Commissione per la riforma delle partecipazioni statali (organo del ministero delle Partecipazioni statali); presidente della Commissione di garanzia per l'attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali (organo della presidenza del Consiglio); presidente della Commissione speciale per l'esame dei progetti di legge recanti misure per la prevenzione e la repressione dei fenomeni di corruzione (organo della Camera dei deputati); componente per due volte del Consiglio superiore di statistica (organo dell'Istituto centrale di statistica).Seduto nel corso dei decenni (va detto: con assoluta autorevolezza) su questa montagna di cariche e incarichi, oggi il professor Cassese tuona contro le nomine in corso di definizione (nei giorni scorsi Cdp, presto Rai, Ferrovie e moltissime altre): questo è «governo spartitorio», il «governo del cambiamento» si è impadronito di «usi e costumi antichi che precarizzano e spartiscono le cariche più importanti dello Stato, trasformando l'Italia in una Repubblica di nominati». E il titolista del Corrierone partecipa a sua volta allo sdegno del Professore, parlando di un'antica «fame di nomine».Sarebbe facile chiedere ai critici di oggi se in passato loro stessi fossero per caso inappetenti o digiunatori: ma eviteremo questo gol a porta vuota. Peraltro il professor Cassese dice anche cose assai giuste: ridurre gli incarichi e stabilire dei criteri. Anche qui però è difficile trattenere il sorriso. Scrive Cassese: «Chi garantisce che le scelte non siano arbitrarie e che vengano nominate persone non all'altezza del compito, ma fedeli seguaci di questa e di quella forza politica, pronti a obbedire ai desideri dei nominanti?». Al massimo, sorge il dubbio che il Professore, nato nel 1935, si sia già da bimbo trasferito in Svizzera o in Inghilterra o negli Stati Uniti, per poi fare ritorno in Italia solo il 4 marzo scorso, per scoprire che i partiti lottizzano.Intendiamoci bene: a scanso di equivoci, è il caso di fare tre annotazioni di fondo. La prima: l'unico modo (benedetto e liberale) per evitare che i partiti si infilino come topoloni nel formaggio è ridurre il perimetro del pubblico, limitare il peso dello Stato, circoscrivere l'interventismo pubblico in economia. Ma purtroppo, su questo fronte, hanno fatto fallimento sia la Prima Repubblica (che è vissuta sulle partecipazioni statali), sia la Seconda, in tutte le sue formule politiche: centrodestra tradizionale, vecchio centrosinistra, tecnici, e infine renziani. E (speriamo vivamente di sbagliarci) la sensazione è che pure la Terza Repubblica sia affezionata all'idea di un forte protagonismo pubblico.La seconda: usare la Cassa depositi e prestiti come una specie di nuova Iri (lo ha spiegato più volte con chiarezza Claudio Antonelli su questo giornale nei giorni scorsi) sarebbe un errore grave e anche un modo di distorcere la missione di Cdp, che dovrebbe occuparsi di gestire al meglio il risparmio postale di tutti glii italiani.La terza. È perfettamente naturale che in tempi di crisi e di incertezza cresca il desiderio di protezione: tutto ciò va capito, ascoltato e rispettato. Occorrerà però (speriamo) anche la lungimiranza di evitare una risposta di segno statalista: e bisognerà spiegare che lo Stato, la spesa pubblica eccessiva e fuori controllo, il dirigismo, l'interventismo, potranno solo peggiorare la situazione.Il primo compito di un buon governo, oggi, dovrebbe essere quello di creare un ambiente favorevole all'intrapresa, a tasse basse e burocrazia ridotta, tale da aprire la strada a qualunque nuova forma di investimento privato o opportunità di sviluppo, senza pretese di «accentramento», di nuova «politica industriale», o di previsione «governativa» di quali potranno essere i settori in ascesa. Sono tutte cose che la nuova maggioranza farà bene a considerare con attenzione, ci permettiamo di suggerire. Quello che invece fa un po' ridere è l'atteggiamento di chi ha per anni occupato tutto l'occupabile, oppure ha chiuso gli occhi davanti a decenni di lottizzazione partitica, e oggi indossa i panni della vergine violata. Ancora una volta, come si vede, il solito doppio standard, il consueto doppiopesismo.
Lirio Abbata (Ansa)
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(Stellantis)
Nel 2026 il marchio tornerà a competere nella massima categoria rally, dopo oltre 30 anni di assenza, con la Ypsilon Rally2 HF. La storia dei trionfi del passato dalla Fulvia Coupé alla Stratos alla Delta.
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Lo ha annunciato uno dei protagonisti degli anni d'oro della casa di Chivasso, Miki Biasion, assieme al ceo Luca Napolitano e al direttore sportivo Eugenio Franzetti: la Lancia, assente dal 1992 dalla massima categoria rallystica, tornerà protagonista nel campionato Wrc con la Ypsilon Rally2 HF. La gara d'esordio sarà il mitico rally di Monte Carlo, in programma dal 22 al 26 gennaio 2026.
Lancia è stata per oltre quarant’anni sinonimo di vittoria nei mondiali di Rally. Un dominio quasi senza rivali, partito all’inizio degli anni Cinquanta e terminato con il ritiro dalle competizioni all’inizio degli anni Novanta.
Nel primo dopoguerra, la casa di Chivasso era presente praticamente in tutte le competizioni nelle diverse specialità: Formula 1, Targa Florio, Mille Miglia e Carrera. All’inizio degli anni ’50 la Lancia cominciò l’avventura nel circo dei Rally con l’Aurelia B20, che nel 1954 vinse il rally dell’Acropoli con il pilota francese Louis Chiron, successo replicato quattro anni più tardi a Monte Carlo, dove al volante dell’Aurelia trionfò l’ex pilota di formula 1 Gigi Villoresi.
I successi portarono alla costituzione della squadra corse dedicata ai rally, fondata da Cesare Fiorio nel 1960 e caratterizzata dalla sigla HF (High Fidelity, dove «Fidelity» stava alla fedeltà al marchio), il cui logo era un elefantino stilizzato. Alla fine degli anni ’60 iniziarono i grandi successi con la Fulvia Coupè HF guidata da Sandro Munari, che nel 1967 ottenne la prima vittoria al Tour de Corse. Nato ufficialmente nel 1970, il Mondiale rally vide da subito la Lancia come una delle marche protagoniste. Il trionfo arrivò sempre con la Fulvia 1.6 Coupé HF grazie al trio Munari-Lampinen-Ballestrieri nel Mondiale 1972.
L’anno successivo fu presentata la Lancia Stratos, pensata specificamente per i rallye, la prima non derivata da vetture di serie con la Lancia entrata nel gruppo Fiat, sotto il cui cofano posteriore ruggiva un motore 6 cilindri derivato da quello della Ferrari Dino. Dopo un esordio difficile, la nuova Lancia esplose, tanto da essere definita la «bestia da battere» dagli avversari. Vinse tre mondiali di fila nel 1974, 1975 e 1976 con Munari ancora protagonista assieme ai navigatori Mannucci e Maiga.
A cavallo tra i due decenni ’70 e ’80 la dirigenza sportiva Fiat decise per un momentaneo disimpegno di Lancia nei Rally, la cui vettura di punta del gruppo era all’epoca la 131 Abarth Rally.
Nel 1982 fu la volta di una vettura nuova con il marchio dell’elefantino, la 037, con la quale Lancia tornò a trionfare dopo il ritiro della casa madre Fiat dalle corse. Con Walter Röhrl e Markku Alèn la 037 vinse il Mondiale marche del 1983 contro le più potenti Audi Quattro a trazione integrale.
Ma la Lancia che in assoluto vinse di più fu la Delta, che esordì nel 1985 nella versione speciale S4 sovralimentata (S) a trazione integrale (4) pilotata dalle coppie Toivonen-Wilson e Alen-Kivimaki. Proprio durante quella stagione, la S4 fu protagonista di un drammatico incidente dove morì Henri Toivonen assieme al navigatore Sergio Cresto durante il Tour de Corse. Per una questione di giustizia sportiva il titolo piloti fu tolto alla Lancia alla fine della stagione a favore di Peugeot, che era stata accusata di aver modificato irregolarmente le sue 205 Gti.
L’anno successivo esordì la Delta HF 4WD, che non ebbe rivali con le nuove regole del gruppo A: fu un dominio assoluto anche per gli anni successivi, dove la Delta, poi diventata HF Integrale, conquistò 6 mondiali di fila dal 1987 al 1992 con Juha Kankkunen e Miki Biasion. Lancia si ritirò ufficialmente dal mondo dei rally nel 1991 L’ultimo mondiale fu vinto l’anno successivo dal Jolly Club, una scuderia privata appoggiata dalla casa di Chivasso.
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