
Nonostante avesse fatto da testimonial ai liquori, Gabriele D'Annunzio non ammetteva altra bevanda. Siamo i primi consumatori in Europa di quella in bottiglia, di cui esportiamo un miliardo di pezzi l'anno. Ma la versione da milionari è giapponese: 9.000 euro al litro.Oltre ad essere il Principe di Montenevoso, titolo conferitogli da Vittorio Emanuele III per le eclatanti imprese militari, Gabriele D'Annunzio era anche il principe degli eccessi. Gran sciupafemmine nonostante fosse alto un metro e 64, pelato e con una faccia a uovo capovolto, vantava un palmarès di 4.000 amanti. Facciamoci pure la tara, ma è certo che D'Annunzio pascolò nell'altro sesso più che i suoi pastori sui monti d'Abruzzo. Nemmeno Richard Gere, George Clooney, Tom Cruise e qualche altro bellone di Hollywood messi insieme riuscirebbero a scalfirgli il primato. Altro eccesso: la cocaina. Si drogava. In Versilia aveva dato scandalo cavalcando nudo su e giù per le spiagge. Si fece fotografare in costume adamitico molto prima di Luciano Benetton e di Vittorio Sgarbi che in fatto di eccessi gli è discepolo. Anche la sua residenza, il Vittoriale a Gardone, diventata un mausoleo dopo la sua morte, è un eccesso. Più che una dimora è un borgo con edifici, vie, piazze, fiumiciattoli, giardini, un museo, un teatro e una vera nave incastrata nella collina.In una sola cosa era modesto: nel bere. D'Annunzio beveva solo acqua naturale. «Ottima è l'acqua» si legge su una parete del Vittoriale. E nonostante avesse fatto da testimonial ad alcuni liquori - Aurum, Amaro Montenegro, Acqua di Fiume (sorta di rosolio) - era l'acqua la bevanda che accompagnava i suoi pasti e alla quale dedicò una poesia semplice e magistrale: «Acqua di monte/ acqua di fonte/ acqua piovana/ acqua sovrana/ acqua che odo/ acqua che lodo/ acqua che squilli/ acqua che brilli/ acqua che canti e piangi/ acqua che ridi e muggi./ Tu sei la vita/ e sempre fuggi».Che l'acqua sia vera vita ce lo dice innanzitutto il nostro corpo fatto del 60 per cento di acqua. E ce lo suggeriscono dietologi e nutrizionisti che consigliano di bere 1,5-2 litri di acqua al giorno per ricavarne tanti benefici. Eppure, povera acqua, tanto è utile, tanto è poco considerata. Provate a chiedere in internet qual è la bevanda più consumata al mondo. La gran parte dei siti rispondono: il the. Al secondo posto c'è il caffè, al terzo la birra. Il vino è al 7° posto. Se poi domandate qual è la bevanda più consumata in Italia, molti dicono il caffè, qualcuno il vino. L'acqua non è presa in considerazione. Sarà pure dato per scontato, ma costa tanto dire che è la prima bevanda in assoluto? Eppure gli italiani sono i primi consumatori in Europa di acqua in bottiglia. Nel mondo ci battiamo per il secondo e terzo posto. Un'indagine del Censis del 2018 rivelava che ogni italiano stappava in un anno 206 bottiglie di acqua minerale, o gasata, da un litro. Seguivano a ruota i tedeschi con 177 litri pro capite, terzi i francesi con 122. Esportiamo molto più di un miliardo di bottiglie ogni anno. Il che fa bene alle entrate, ma se avessimo questo primato nella produzione e nel consumo dei vaccini anti Covid, saremmo il Paese batteriologicamente più puro del pianeta, virus free.E l'acqua «del sindaco»? Quella del rubinetto? In contraddizione con l'indagine del Censis, sta guadagnando sempre più gradimento nei bevitori di H2O. Malvista fino a qualche anno fa per paura dell'inquinamento delle falde, per l'odore di cloro immesso negli acquedotti in funzione antibatterica, usata soprattutto per docce, lavatrici e lavastoviglie, per dar da bere ai fiori o per cucinare, è in rapida ripresa. È notizia del luglio dello scorso anno (fonte Acqua Italia) che la percentuale di italiani che mettono in tavola l'acqua del rubinetto supera il 77 per cento. E questo grazie a tanti fattori: ai filtri domestici, alle macchinette gasatrici che hanno conquistato parte del popolo filobollicine, a una accresciuta attenzione all'ambiente (troppi contenitori di plastica), alla maggior fiducia nei controlli dell'acquedotto comunale, all'educazione civica promossa da molti comuni che hanno incentivato le famiglie regalando brocche di vetro con su scritto «Acqua del sindaco». Comunque le minerali e gassate in bottiglia, quella che fa fare tanta «plin plin», le acque della salute (che non potendolo dimostrare sono state più volte censurate), l'«Altissima, purissima....», resistono bene sugli scaffali dei supermercati. Qualche tempo fa c'era anche l'acqua che, facendo rima con il luogo da cui scaturiva, garantiva il «fegato centenario». È finita dove non avrebbe voluto: in una canzone del gruppo musicale Punkreas che tra rutti, clisteri, vomito è un inno al disordine duodenale.Agli albori della storia, ma anche durante le prime civiltà, l'uomo adorava le sorgenti: per dare un'acqua così buona non potevano che essere la dimora di dee e di ninfe. Con le grandi civiltà arrivano le prime opere di canalizzazione e i serbatoi di riserva dell'acqua. Erodoto racconta che il re persiano Ciro voleva bere solo l'acqua limpida del fiume Coaspe e anche durante le spedizioni di guerra se la portava dietro in vasi d'argento caricati su carri.Ma è Roma a inventare la scienza idraulica portando l'acqua di sorgente in «casa». Architetti e ingegneri dal periodo dei re all'urbe imperiale costruiscono acquedotti che scavalcano valli e, regolando la pendenza dei canali, portano l'acqua in città. Nel I secolo dopo Cristo sono 11 gli acquedotti che convogliavano un miliardo e 117.000 litri di fresca acqua di sorgente, 24 ore su 24 alle centinaia e centinaia di fontanelle presenti in città che spillano acqua per un milione di abitanti. Sesto Giulio Frontino, scrittore del I secolo dopo Cristo era talmente orgoglioso di questi capolavori idraulici che scrisse: «Una tale quantità di strutture, che trasportano così tanta acqua, comparala, se vuoi, con le oziose Piramidi o con le altre inutili, se pur rinomate, opere dei Greci».Quando nasce il mercato delle acque minerali? Risponde Renzo Pellati nella Storia di ciò che mangiamo: «Nel 1890 con l'avviamento all'imbottigliamento di alcune acque delle sorgenti storiche presenti nelle famose stazioni termali francesi (Vichy, Plombieres, Evian), tedesche (Baden-Baden, Wiesbaden), italiane (San Pellegrino, Boario, Recoaro, Crodo)». E l'acqua frizzante? Ancora Pellati: «Nasce prima, nel 1772 grazie a un reverendo inglese, Joseph Priestley che scopre le bollicine mettendo un catino d'acqua sopra la birra in fermentazione che l'arricchisce di anidride carbonica. Ma è lo svizzero Jacob Schweppe nel 1790 che perfeziona la scoperta inventando una macchina per addizionare anidride carbonica all'acqua naturale e una bottiglia a tenuta per non lasciar sfuggire le preziose bollicine. Il successo fu enorme».Non è vero che le acque minerali sono tutte uguali. Inodori, insapori e limpide lo sono tutte, ma il gusto cambia a seconda dei minerali contenuti e della qualità delle bollicine per le gassate. Per questo sono nati gli idrosommelier, i degustatori delle acque e per questo i migliori ristoranti propongono, accanto alla carta dei vini, anche quelle delle acque. Il ristorante La Pergola di Roma, tre stelle Michelin, oltre al menu, propone la carta dei vini, quella delle tisane, dei caffè e la carta delle acque. Con 55 proposte diverse è la carta delle acque più ricca d'Italia. I prezzi vanno da 9 a 400 euro. Costosetta? Che dire, allora, della giapponese Super Nariwa che costa 9000 euro al litro? È tratta da una sorgente sgorgata da una roccia tempestata di meteoriti e in seguito a un'eruzione di un vulcano dal mare. Dicono che sia l'acqua dell'eterna giovinezza: chi la beve invecchia come una testuggine, lentissimamente. A meno che non finisca prima tutti i soldi.Chi cerca un'acqua particolare e a «buon» mercato può acquistare la IcebergWater, 75 cl. a «soli» 99,50 euro. È ricavata dal cuore di un ghiacciaio formatosi 12.000 anni fa quando la neve che cadeva e si compattava in ghiaccio era assolutamente incontaminata. D'Annunzio ne sarebbe andato pazzo.
Ansa
La Casa Bianca, dopo aver disdetto il summit a Budapest, apre uno spiraglio: «Non è escluso completamente». Ma The Donald usa il pugno duro e mette nella lista nera i colossi Rosneft e Lukoil. Il Cremlino: «Atto ostile».
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Sganciato il 19° pacchetto, focalizzato sul Gnl. La replica: «Autodistruttivo». Sui beni il Belgio chiede chiarezza.
2025-10-24
«Giustizia»: La voce chiara e forte di chi si sta mettendo in gioco per un sistema giudiziario migliore e più giusto
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Giustizia affronta il dibattito sulle grandi trasformazioni del diritto, della società e delle istituzioni. Un progetto editoriale che sceglie l’analisi al posto del clamore e il dialogo come metodo.
Perché la giustizia non è solo materia giuridica, ma coscienza civile: è la misura della democrazia e la bussola che orienta il Paese.
Protagonista di questo numero è l’atteso Salone della Giustizia di Roma, presieduto da Francesco Arcieri, ideatore e promotore di un evento che, negli anni, si è imposto come crocevia del mondo giuridico, istituzionale e accademico.
Arcieri rinnova la missione del Salone: unire magistratura, avvocatura, politica, università e cittadini in un confronto trasparente e costruttivo, capace di far uscire la giustizia dal linguaggio tecnico per restituirla alla società. L’edizione di quest’anno affronta i temi cruciali del nostro tempo — diritti, sicurezza, innovazione, etica pubblica — ma su tutti domina la grande sfida: la riforma della giustizia.
Sul piano istituzionale spicca la voce di Alberto Balboni, presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato, che individua nella riforma Nordio una battaglia di civiltà. Separare le carriere di giudici e pubblici ministeri, riformare il Consiglio superiore della magistratura, rafforzare la terzietà del giudice: per Balboni sono passaggi essenziali per restituire equilibrio, fiducia e autorevolezza all’intero sistema giudiziario.
Accanto a lui l’intervento di Cesare Parodi dell’Associazione nazionale magistrati, che esprime con chiarezza la posizione contraria dell’Anm: la riforma, sostiene Parodi, rischia di indebolire la coesione interna della magistratura e di alterare l’equilibrio tra accusa e difesa. Un dialogo serrato ma costruttivo, che la testata propone come simbolo di pluralismo e maturità democratica. La prima pagina di Giustizia è dedicata inoltre alla lotta contro la violenza di genere, con l’autorevole contributo dell’avvocato Giulia Buongiorno, figura di riferimento nazionale nella difesa delle donne e nella promozione di politiche concrete contro ogni forma di abuso. Buongiorno denuncia l’urgenza di una risposta integrata — legislativa, educativa e culturale — capace di affrontare il fenomeno non solo come emergenza sociale ma come questione di civiltà. Segue la sezione Prìncipi del Foro, dedicata a riconosciuti maestri del diritto: Pietro Ichino, Franco Toffoletto, Salvatore Trifirò, Ugo Ruffolo e Nicola Mazzacuva affrontano i nodi centrali della giustizia del lavoro, dell’impresa e della professione forense. Ichino analizza il rapporto tra flessibilità e tutela; Toffoletto riflette sul nuovo equilibrio tra lavoro e nuove tecnologie; Trifirò richiama la responsabilità morale del giurista; Ruffolo e Mazzacuva parlano rispettivamente di deontologia nell’era digitale e dell’emergenza carceri. Ampio spazio, infine, ai processi mediatici, un terreno molto delicato e controverso della giustizia contemporanea. L’avvocato Nicodemo Gentile apre con una riflessione sui femminicidi invisibili, storie di dolore taciuto che svelano il volto sommerso della cronaca. Liborio Cataliotti, protagonista della difesa di Wanna Marchi e Stefania Nobile, racconta invece l’esperienza diretta di un processo trasformato in spettacolo mediatico. Chiudono la sezione l’avvocato Barbara Iannuccelli, parte civile nel processo per l’omicidio di Saman, che riflette sulla difficoltà di tutelare la dignità della vittima quando il clamore dei media rischia di sovrastare la verità e Cristina Rossello che pone l’attenzione sulla privacy di chi viene assistito.
Voci da angolature diverse, un unico tema: il fragile equilibrio tra giustizia e comunicazione. Ma i contributi di questo numero non si esauriscono qui. Giustizia ospita analisi, interviste, riflessioni e testimonianze che spaziano dal diritto penale all’etica pubblica, dalla cyber sicurezza alla devianza e criminalità giovanile. Ogni pagina di Giustizia aggiunge una tessera a un mosaico complessivo e vivo, dove il sapere incontra l’esperienza e la passione civile si traduce in parola scritta.
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2025-10-24
Dietro lo scandalo scommesse nell’Nba un’inchiesta legata alla mafia italo-americana
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Terry Rozier (Getty Images)
L’operazione Royal Flush dell’Fbi coinvolge due nomi eccellenti: la guardia dei Miami Heat Terry Rozier e il coach dei Portland Trail Blazers Chauncey Billups, accusati di frode e riciclaggio in un vasto giro di scommesse truccate e poker illegale gestito dalle storiche famiglie mafiose.






