Il premier smantella il sistema Conte eliminando i suoi uomini a uno a uno

Il premier smantella il sistema Conte eliminando i suoi uomini a uno a uno
Giuseppe Conte (Ansa)
Il giorno in cui Mario Draghi ha deciso di sostituire Gennaro Vecchione, mettendo Elisabetta Belloni ai vertici del Dipartimento per la sicurezza, pare che, prima di dare il benservito al generale per rimpiazzarlo con la zarina della Farnesina, il premier abbia alzato la cornetta e chiamato Giuseppe Conte.

L'ex presidente del Consiglio era ritenuto, a torto o a ragione, il grande sponsor del capo del Dis, prova ne sia che quando Matteo Renzi aveva tentato di troncare il rapporto tra i due, chiedendo all'avvocato del popolo di rinunciare alla delega sui servizi segreti, lui si era impuntato fino alla morte. Tuttavia, per licenziare Vecchione, a Draghi è bastata una telefonata. Da quello che hanno ricostruito i cronisti, le parole non sono state molte. Nello stile dell'ex governatore della Bce, la sua è stata una comunicazione, non una negoziazione. Del resto, era stato così anche per Angelo Borrelli, capo della Protezione civile, e per Domenico Arcuri, super commissario all'emergenza Covid. Appena arrivato a Palazzo Chigi, Draghi sembrava intenzionato a lasciarli al proprio posto, tanto che anche noi lo avevamo sollecitato a fare piazza pulita di persone che durante la pandemia non si erano rivelate all'altezza del compito. Ma il premier aveva tirato dritto per la sua strada, sorprendendo tutti, anche coloro che ne conoscono la determinazione. La riconferma degli specialisti in disastri, invece, è durata solo alcune settimane, giusto il tempo di consentire al nuovo presidente del Consiglio di ambientarsi.

Nessuno è riuscito a sapere con precisione che cosa abbia detto Draghi per far sloggiare Arcuri, ma di sicuro il colloquio è stato ridotto al minimo necessario: un ringraziamento formale e poi l'invito a sloggiare in fretta. Le cose devono essere andate più o meno allo stesso modo anche nei giorni scorsi, quando l'ex presidente della Bce ha deciso di sostituire i vertici di alcune partecipate dello Stato. Le scelte non sono state oggetto di una discussione con i capi della maggioranza che appoggia il governo. Draghi ha deciso di sostituire gli amministratori della Cassa depositi e prestiti, delle Ferrovie e basta. Al posto di uomini nominati dai partiti con una rigorosa assegnazione di incarichi in base al manuale Cencelli della lottizzazione, ha messo persone di sua fiducia, funzionari in arrivo da Banca d'Italia o da alcune grandi aziende. Punto. In un colpo, ha liquidato i riti della Prima e della Seconda Repubblica, che prevedevano mesi di discussione tra le parti, per contrattare ogni strapuntino. A ogni giravolta di governo, infatti, la faccenda più complicata non era assegnare i posti di ministro e nemmeno quelli di sottosegretario. Il vero problema era distribuire le poltrone di sottogoverno, perché quelli sono gli incarichi che contano davvero. Sedersi ai vertici di una partecipata significa avere soldi da spendere, assunzioni da fare, potere vero da amministrare. Mentre se si finisce a fare il sottosegretario senza portafogli, al massimo ne è gratificato l'ego, ma nulla di più.

Infatti, nel passato, ogni volta che si avvicinava la scadenza dei consiglieri di amministrazione delle partecipate, la lotta si faceva scivolosa. Nel passato, gli sgambetti per far cascare un candidato e agevolarne un altro erano all'ordine del giorno. E con l'avvento dei 5 stelle non era cambiato nulla, se non la corsa ad accreditarsi fra i seguaci di Grillo. Manager pubblici, professionisti, aspiranti amministratori dello Stato, tutti in fila per una poltroncina. Ma poi, ecco arrivare un tizio che non discute con nessuno. Altro che risiko delle nomine pubbliche, gran ballo dei posti a disposizione. Draghi fa da sé, consultandosi al massimo con il ministro dell'Economia, Daniele Franco, che poi è una specie di suo segretario, nel senso che fa esattamente ciò che il presidente del Consiglio gli dice di fare.

La tecnica è sempre la stessa. All'inizio il presidente del Consiglio fa finta di niente, anzi lascia intendere che ha intenzione di riconfermare gli incarichi. Poi all'improvviso arriva la rimozione. Uno dopo l'altro sta cadendo tutto il sistema di potere che Giuseppe Conte aveva schierato in due anni e mezzo a Palazzo Chigi. Via Arcuri, via Vecchione, via Fabrizio Palermo. A guardare le mosse di questi mesi, si capisce che il premier sta sistematicamente liquidando tutti coloro che in qualche modo gli ricordano il predecessore. Il metodo Draghi è semplice: senza strilli, senza polemiche, l'ex governatore fa secchi uno a uno i dieci piccoli indiani del precedente governo. Nel mirino, a dire il vero, non c'è solo Conte, che voleva farsi un partito, ma non riesce nemmeno a farsi leader. Nell'obbiettivo del premier c'è anche Massimo D'Alema, che da vero ispiratore del governo giallorosso, aveva piazzato le sue pedine. Ma Draghi , lo sminatore, una a una le sta rimuovendo tutte. Per certi versi, è la fine di un'epoca e l'inizio di un'altra.

I dem scoprono la sicurezzasolo per usarla contro la destra
Elly Schlein (Ansa)
I cittadini hanno paura e il Pd improvvisamente si scopre «law and order»: dopo aver tifato accoglienza indiscriminata, oggi cavalca il tema legalità per attaccare la destra.
Per i ceti bassi 500 euro in più in busta paga
Palazzo Madama (iStock)
Il taglio alla tassazione sugli aumenti contrattuali aiuta 3,3 milioni di dipendenti che guadagnano meno di 28.000 euro, mentre con la riduzione Irpef ci sono vantaggi da 440 euro dai 50.000 euro in su. Fdi ritira l’emendamento sugli scioperi.


Una lettura attenta della legge di bilancio fa emergere altri argomenti che rivelano il carattere strumentale della narrazione data dalla sinistra su una manovra poco attenta alle fasce deboli e invece orientata a favorire i «ricchi». Dopo l’operazione «verità» effettuata dall’Ufficio parlamentare di Bilancio, sulla natura della riforma delle aliquote dell’Irpef che, contrariamente alla tesi di Cgil e Pd, non va a favorire quelli che a sinistra considerano «ricchi», era rimasta in piedi la tesi che comunque questa manovra è squilibrata a vantaggio del ceto medio, poiché dei bassi redditi il governo si è occupato nelle precedenti leggi di bilancio. Ma guardando con attenzione al testo depositato in Senato e che comincerà l’iter di esame la prossima settimana, emergono una serie di misure proprio a favore dei ceti meno abbienti.

  • Il gruppo armato Jnim avanza seminando morte e bloccando strade e commercio. Le forze governative, sostenute dai russi, annaspano.
  • Ag Ghaly è riuscito in ciò che nessun capo tuareg aveva mai ottenuto: trasformare la lotta per l’autonomia in una crociata globale in nome di Maometto. Finanziandosi attraverso il controllo delle rotte di esseri umani.

Lo speciale contiene due articoli.

«Kiev nell’Ue può far comodo a Mosca»
Dario Fabbri (Ansa)
L’esperto Dario Fabbri: «Se l’Ucraina in futuro cambiasse regime, diventerebbe un cavallo di Troia dei russi. La corruzione? A quelle latitudini è normale. Putin ha ottenuto solo vittorie tattiche, adesso gli serve la caduta di Zelensky».
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