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2020-05-07
Il premier dà buca pure agli industriali e tace sulle tasse: così il dl slitta ancora
Roberto Gualtieri (Ansa)
Continuano a chiamarlo «aprile», anche se a questo punto il nuovo decreto-legge arriverà a maggio inoltrato. Infatti, a meno di sorprese, sembra difficile che la convocazione del Consiglio dei ministri decisivo avvenga oggi o domani.
Senza fare una piega, Giuseppe Conte, intervistato dal Fatto, ha tentato di scaricare la colpa di questo ulteriore ritardo sull'Europa: «La commissaria europea Margrethe Vestager sta aggiornando in questi giorni il Temporary framework, cioè lo strumento con cui si introduce un regime di deroga per gli aiuti alle imprese colpite dall'emergenza. Quindi tutte le misure di sostegno dovranno attenersi al nuovo quadro. Ne abbiamo delle anticipazioni, ma fino alla versione definitiva non possiamo essere sicuri di essere conformi». Per il resto, è caos su tutto: sul reddito di emergenza (di cui i grillini preparano una specie di stabilizzazione, con due mesi di durata, avendo in mente un'inevitabile proroga, visto il prevedibile andamento della crisi) e sui contratti collettivi, con la proposta del ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, di meno ore con lo stesso stipendio (e ovviamente non si vede come questo possa contribuire a un recupero di produttività). Quanto a quest'ultimo punto, l'obiettivo di tagliare l'orario (a parità di salario) portandolo sotto le 40 ore, convertendone una parte in formazione, vede il prevedibilissimo ok dei sindacati, ma l'altrettanto scontato (e motivato) no di Confindustria e Ance.
A proposito di parti sociali, ieri il governo ha avuto uno scambio per un verso con il settore agricolo (Coldiretti, Confagricoltura, Cia, Copagri, Federdistribuzione), per altro verso – presente anche Conte in collegamento - con Rete Imprese Italia (Confesercenti, Confartigianato, Confcommercio, Cna, Casartigiani), e ancora con altri rappresentanti del mondo imprenditoriale e produttivo (Confindustria, Confapi, Confimi, Confprofessioni, Ance).
In particolare a questo terzo incontro online, ieri mattina, Giuseppe Conte non si è presentato (pare avesse una serie di telefonate: questa la assai poco convincente motivazione), delegando i ministri Roberto Gualtieri e Stefano Patuanelli, oltre alla Catalfo. Non c'era nemmeno il non ancora insediato presidente di Confindustria Carlo Bonomi, che ha inviato il dg Marcella Panucci, portatrice di una vera e propria controagenda: no a sussidi e nuovi redditi di cittadinanza, sì a sospensioni di tasse, sì al taglio di altre imposte come l'Irap. Sul piano non strettamente economico, gli imprenditori hanno anche insistito sull'esigenza di evitare responsabilità civili e penali a carico delle aziende (pressoché automatiche se il Coronavirus è considerato alla stregua di un infortunio sul lavoro).
Incredibilmente, su tutto, il governo non ha dato alcuna risposta: i ministri si sono limitati ad ascoltare e a precisare che le richieste saranno analizzate con attenzione. Mancava solo dicessero che le proposte delle imprese saranno bocciate con disattenzione.
Restando sulle imprese, è ancora buio sugli aiuti a artigiani, commercianti e microimprese (fino a 5 milioni di fatturato). Si parla di 7 miliardi di ristoro, che dovrebbero coprire affitti, bollette e una quota del fatturato venuto meno. Quest'ultima parte sarebbe a fondo perduto, ma questo pone nuovamente il tema delle risorse e della platea, con il rischio di ripetere lo svarione realizzato in altro ambito con la Cig. Intanto, però, a fonte di questa promessa (per maggio), per ciò che riguarda aprile il governo sembra pronto a rimangiarsi la promessa di far salire il minibonus da 600 a 1.000 euro: resterà a 600 o al massimo salirà a 800.
Quanto all'intervento diretto sulle imprese maggiori, intervistato dal Sole 24 Ore, l'ex ministro Giulio Tremonti ha avuto buon gioco a mettere a confronto, ben al di là della sentenza della Corte di Karlsruhe, la Germania («ha ottenuto il permesso per fabbricarsi, anche via Kfw, più di un trilione di aiuti di stato made in Germany») e l'Italia, con la stravagante ondata di neostatalizzazione su cui il governo sta ragionando («idee tardosovietiche, ovvero, alla tedesca, si pensa di far entrare nel cda il rappresentante della Stasi», ha chiosato Tremonti).
In altro ambito, l'unica buona notizia, ma tutta da verificare, riguarda un'ipotesi di detrazione al 110% per ecobonus e sismabonus, incentivando la messa in sicurezza antisismica degli edifici e la loro riqualificazone energetica. Ci sta lavorando il sottosegretario Riccardo Fraccaro: si tratterebbe di un credito d'imposta del 110% per le imprese che faranno i lavori, che andranno svolti tra luglio 2020 e dicembre 2021.
Gran silenzio invece sulla parte fiscale: nessuna anticipazione credibile e definita su eventuali misure destinate a essere inserite nel decreto. Il governo sembra sottovalutare la grandinata fiscale in arrivo a giugno, che si compone di tre scariche: le scadenze ordinariamente previste per giugno, quelle di marzo rinviate sempre a giugno, più (a meno di uno stop da inserire nel decreto) gli 8,5 milioni di cartelle e avvisi pronti a essere «sparati» dall'Agenzia delle entrate. Non esattamente un incentivo a riaprire per commercianti, artigiani, autonomi e partite Iva: per molti, semmai, rischia di essere la proverbiale goccia che fa traboccare un vaso già colmo. Senza dire che ieri a Napoli un imprenditore cinquantasettenne, oppresso dalla crisi, si è tolto la vita nel suo capannone.
Altro che ripartenza dei cantieri. Le norme del Cura Italia li ingolfano
Il 4 maggio il settore dell'edilizia avrebbe dovuto tornare a respirare. Invece il rischio è quello di un nuovo blocco a livello nazionale.
Il problema è semplice, quanto fondamentale: molti Comuni, facendo affidamento sull'articolo 103 del decreto Cura Italia, hanno rinviato fino al 16 maggio - come previsto dalla norma – qualunque decisione sulle gare di progettazione dei cantieri, il primo passo verso la realizzazione di opere di edilizia.
Così facendo e senza nuovi progetti in fase di approvazione il rischio è che – conclusi i cantieri già in essere – non ve ne possano essere di nuovi portando tutto il sistema verso la paralisi.
In pratica, senza un chiarimento rivolto alle amministrazioni, il rischio serio è il blocco totale del sistema per altri mesi come denunciato dall'Oice, l'associazione delle società di ingegneria, che ha fatto un monitoraggio a campione di situazioni sul territorio nazionale. A Roma, ad esempio, è tutto bloccato, addirittura il rilascio di permessi di costruire è fermo da febbraio.
Del resto, il problema si vede chiaramente dando uno sguardo ai dati contenuti nell'ultimo Osservatorio Oice/Informatel sulle gare di progettazione.
Come spiega l'analisi, «particolarmente indicativo è il dato delle gare di progettazione rettificate (rinviate/sospese) per gli effetti dei dpcm pubblicati per contrastare la pandemia di Covid-19 e in relazione all'applicazione dell'articolo 103 del decreto Cura Italia, e che hanno avuto effetti retrogradi da dicembre 2019 fino ad aprile 2020: sono state 145», si legge. «Sono stati 80 gli avvisi di rettifica per 71 milioni di importo, pubblicati ad aprile (relativamente a 5 gare pubblicate ad aprile, 33 a marzo, 32 a febbraio, 10 a gennaio), e 65 nel mese di marzo (per 20 gare pubblicate a marzo, 39 a febbraio, 4 a gennaio e 2 a dicembre 2019)».
«Noi rappresentiamo la prima parte della filiera», spiega alla Verità Andrea Mascolini, direttore generale Oice. «Se non c'è la buona volontà da parte dei Comuni e le gare di progettazione non vengono portate avanti, il rischio è che tutto si blocchi. Per ora i cantieri stanno andando avanti, ma quando i lavori saranno conclusi, il rischio concreto è che non ci saranno nuovi cantieri e ci sarà una paralisi che potrebbe durare mesi», spiega l'esperto.
Sul tema, prima che scoppiasse il bubbone, era intervenuta ache l'Anac, l'Autorità anticorruzione, che aveva inviato una segnalazione al governo e al Parlamento affinché fossero prese misure specifiche per lo svolgimento delle procedure di gara, l'affidamento di appalti pubblici e la loro esecuzione in vista della ripartenza.
Come aveva sottolineato l'Autorità prima del 4 maggio, la proroga dei termini amministrativi decisa con il decreto Cura Italia e poi ampliata con il dl Liquidità «rischia di bloccare gli appalti con l'avvio della cosiddetta fase 2, ossia con la ripresa delle attività produttive ora bloccate». «La recente proroga del periodo di sospensione dei termini dal 15 aprile al 15 maggio», evidenziava l'Anac, «potrebbe comportare una sospensione generalizzata delle procedure di gara, comprese quelle d'urgenza. Per scongiurare una simile eventualità, l'Authority ha già fornito le prime indicazioni attraverso un'apposita delibera (numero 312 del 2020), con l'intento di garantire comportamenti omogenei ed uniformi nello svolgimento delle procedure di gara e nella relativa fase di esecuzione».
Il problema, dunque, era già noto prima dell'avvio della fase 2 e l'Anac aveva invitato l'esecutivo a porre rimedio a questa situazione per evitare di arrivare alla paralisi in cui ora il mondo dell'edilizia rischia di trovarsi.
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Riduci
Giuseppe Conte lascia Roberto Gualtieri a trattare con Confindustria la proposta di tagliare l'orario a parità di salario. Nulla sul rinvio fiscale.Andrea Mascolini (Oice): «La Pa non rilascia i visti sui progetti». Rischio stop per mesi.Lo speciale contiene due articoliContinuano a chiamarlo «aprile», anche se a questo punto il nuovo decreto-legge arriverà a maggio inoltrato. Infatti, a meno di sorprese, sembra difficile che la convocazione del Consiglio dei ministri decisivo avvenga oggi o domani.Senza fare una piega, Giuseppe Conte, intervistato dal Fatto, ha tentato di scaricare la colpa di questo ulteriore ritardo sull'Europa: «La commissaria europea Margrethe Vestager sta aggiornando in questi giorni il Temporary framework, cioè lo strumento con cui si introduce un regime di deroga per gli aiuti alle imprese colpite dall'emergenza. Quindi tutte le misure di sostegno dovranno attenersi al nuovo quadro. Ne abbiamo delle anticipazioni, ma fino alla versione definitiva non possiamo essere sicuri di essere conformi». Per il resto, è caos su tutto: sul reddito di emergenza (di cui i grillini preparano una specie di stabilizzazione, con due mesi di durata, avendo in mente un'inevitabile proroga, visto il prevedibile andamento della crisi) e sui contratti collettivi, con la proposta del ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, di meno ore con lo stesso stipendio (e ovviamente non si vede come questo possa contribuire a un recupero di produttività). Quanto a quest'ultimo punto, l'obiettivo di tagliare l'orario (a parità di salario) portandolo sotto le 40 ore, convertendone una parte in formazione, vede il prevedibilissimo ok dei sindacati, ma l'altrettanto scontato (e motivato) no di Confindustria e Ance. A proposito di parti sociali, ieri il governo ha avuto uno scambio per un verso con il settore agricolo (Coldiretti, Confagricoltura, Cia, Copagri, Federdistribuzione), per altro verso – presente anche Conte in collegamento - con Rete Imprese Italia (Confesercenti, Confartigianato, Confcommercio, Cna, Casartigiani), e ancora con altri rappresentanti del mondo imprenditoriale e produttivo (Confindustria, Confapi, Confimi, Confprofessioni, Ance).In particolare a questo terzo incontro online, ieri mattina, Giuseppe Conte non si è presentato (pare avesse una serie di telefonate: questa la assai poco convincente motivazione), delegando i ministri Roberto Gualtieri e Stefano Patuanelli, oltre alla Catalfo. Non c'era nemmeno il non ancora insediato presidente di Confindustria Carlo Bonomi, che ha inviato il dg Marcella Panucci, portatrice di una vera e propria controagenda: no a sussidi e nuovi redditi di cittadinanza, sì a sospensioni di tasse, sì al taglio di altre imposte come l'Irap. Sul piano non strettamente economico, gli imprenditori hanno anche insistito sull'esigenza di evitare responsabilità civili e penali a carico delle aziende (pressoché automatiche se il Coronavirus è considerato alla stregua di un infortunio sul lavoro).Incredibilmente, su tutto, il governo non ha dato alcuna risposta: i ministri si sono limitati ad ascoltare e a precisare che le richieste saranno analizzate con attenzione. Mancava solo dicessero che le proposte delle imprese saranno bocciate con disattenzione. Restando sulle imprese, è ancora buio sugli aiuti a artigiani, commercianti e microimprese (fino a 5 milioni di fatturato). Si parla di 7 miliardi di ristoro, che dovrebbero coprire affitti, bollette e una quota del fatturato venuto meno. Quest'ultima parte sarebbe a fondo perduto, ma questo pone nuovamente il tema delle risorse e della platea, con il rischio di ripetere lo svarione realizzato in altro ambito con la Cig. Intanto, però, a fonte di questa promessa (per maggio), per ciò che riguarda aprile il governo sembra pronto a rimangiarsi la promessa di far salire il minibonus da 600 a 1.000 euro: resterà a 600 o al massimo salirà a 800. Quanto all'intervento diretto sulle imprese maggiori, intervistato dal Sole 24 Ore, l'ex ministro Giulio Tremonti ha avuto buon gioco a mettere a confronto, ben al di là della sentenza della Corte di Karlsruhe, la Germania («ha ottenuto il permesso per fabbricarsi, anche via Kfw, più di un trilione di aiuti di stato made in Germany») e l'Italia, con la stravagante ondata di neostatalizzazione su cui il governo sta ragionando («idee tardosovietiche, ovvero, alla tedesca, si pensa di far entrare nel cda il rappresentante della Stasi», ha chiosato Tremonti). In altro ambito, l'unica buona notizia, ma tutta da verificare, riguarda un'ipotesi di detrazione al 110% per ecobonus e sismabonus, incentivando la messa in sicurezza antisismica degli edifici e la loro riqualificazone energetica. Ci sta lavorando il sottosegretario Riccardo Fraccaro: si tratterebbe di un credito d'imposta del 110% per le imprese che faranno i lavori, che andranno svolti tra luglio 2020 e dicembre 2021. Gran silenzio invece sulla parte fiscale: nessuna anticipazione credibile e definita su eventuali misure destinate a essere inserite nel decreto. Il governo sembra sottovalutare la grandinata fiscale in arrivo a giugno, che si compone di tre scariche: le scadenze ordinariamente previste per giugno, quelle di marzo rinviate sempre a giugno, più (a meno di uno stop da inserire nel decreto) gli 8,5 milioni di cartelle e avvisi pronti a essere «sparati» dall'Agenzia delle entrate. Non esattamente un incentivo a riaprire per commercianti, artigiani, autonomi e partite Iva: per molti, semmai, rischia di essere la proverbiale goccia che fa traboccare un vaso già colmo. Senza dire che ieri a Napoli un imprenditore cinquantasettenne, oppresso dalla crisi, si è tolto la vita nel suo capannone. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-premier-da-buca-pure-agli-industriali-e-tace-sulle-tasse-cosi-il-dl-slitta-ancora-2645935599.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="altro-che-ripartenza-dei-cantieri-le-norme-del-cura-italia-li-ingolfano" data-post-id="2645935599" data-published-at="1588788570" data-use-pagination="False"> Altro che ripartenza dei cantieri. Le norme del Cura Italia li ingolfano Il 4 maggio il settore dell'edilizia avrebbe dovuto tornare a respirare. Invece il rischio è quello di un nuovo blocco a livello nazionale. Il problema è semplice, quanto fondamentale: molti Comuni, facendo affidamento sull'articolo 103 del decreto Cura Italia, hanno rinviato fino al 16 maggio - come previsto dalla norma – qualunque decisione sulle gare di progettazione dei cantieri, il primo passo verso la realizzazione di opere di edilizia. Così facendo e senza nuovi progetti in fase di approvazione il rischio è che – conclusi i cantieri già in essere – non ve ne possano essere di nuovi portando tutto il sistema verso la paralisi. In pratica, senza un chiarimento rivolto alle amministrazioni, il rischio serio è il blocco totale del sistema per altri mesi come denunciato dall'Oice, l'associazione delle società di ingegneria, che ha fatto un monitoraggio a campione di situazioni sul territorio nazionale. A Roma, ad esempio, è tutto bloccato, addirittura il rilascio di permessi di costruire è fermo da febbraio. Del resto, il problema si vede chiaramente dando uno sguardo ai dati contenuti nell'ultimo Osservatorio Oice/Informatel sulle gare di progettazione. Come spiega l'analisi, «particolarmente indicativo è il dato delle gare di progettazione rettificate (rinviate/sospese) per gli effetti dei dpcm pubblicati per contrastare la pandemia di Covid-19 e in relazione all'applicazione dell'articolo 103 del decreto Cura Italia, e che hanno avuto effetti retrogradi da dicembre 2019 fino ad aprile 2020: sono state 145», si legge. «Sono stati 80 gli avvisi di rettifica per 71 milioni di importo, pubblicati ad aprile (relativamente a 5 gare pubblicate ad aprile, 33 a marzo, 32 a febbraio, 10 a gennaio), e 65 nel mese di marzo (per 20 gare pubblicate a marzo, 39 a febbraio, 4 a gennaio e 2 a dicembre 2019)». «Noi rappresentiamo la prima parte della filiera», spiega alla Verità Andrea Mascolini, direttore generale Oice. «Se non c'è la buona volontà da parte dei Comuni e le gare di progettazione non vengono portate avanti, il rischio è che tutto si blocchi. Per ora i cantieri stanno andando avanti, ma quando i lavori saranno conclusi, il rischio concreto è che non ci saranno nuovi cantieri e ci sarà una paralisi che potrebbe durare mesi», spiega l'esperto. Sul tema, prima che scoppiasse il bubbone, era intervenuta ache l'Anac, l'Autorità anticorruzione, che aveva inviato una segnalazione al governo e al Parlamento affinché fossero prese misure specifiche per lo svolgimento delle procedure di gara, l'affidamento di appalti pubblici e la loro esecuzione in vista della ripartenza. Come aveva sottolineato l'Autorità prima del 4 maggio, la proroga dei termini amministrativi decisa con il decreto Cura Italia e poi ampliata con il dl Liquidità «rischia di bloccare gli appalti con l'avvio della cosiddetta fase 2, ossia con la ripresa delle attività produttive ora bloccate». «La recente proroga del periodo di sospensione dei termini dal 15 aprile al 15 maggio», evidenziava l'Anac, «potrebbe comportare una sospensione generalizzata delle procedure di gara, comprese quelle d'urgenza. Per scongiurare una simile eventualità, l'Authority ha già fornito le prime indicazioni attraverso un'apposita delibera (numero 312 del 2020), con l'intento di garantire comportamenti omogenei ed uniformi nello svolgimento delle procedure di gara e nella relativa fase di esecuzione». Il problema, dunque, era già noto prima dell'avvio della fase 2 e l'Anac aveva invitato l'esecutivo a porre rimedio a questa situazione per evitare di arrivare alla paralisi in cui ora il mondo dell'edilizia rischia di trovarsi.
Luca Casarini. Nel riquadro, il manifesto abusivo comparso a Milano (Ansa)
Quando non è tra le onde, Casarini è nel mare di Internet, dove twitta. E pure parecchio. Dice la sua su qualsiasi cosa. Condivide i post dell’Osservatore romano e quelli di Ilaria Salis (del resto, tra i due, è difficile trovare delle differenze, a volte). Ma, soprattutto, attacca le norme del governo e dell’Unione europea in materia di immigrazione. Si sente Davide contro Golia. E lotta, invitando anche ad andare contro la legge. Quando, qualche giorno fa, è stata fermata la nave Humanity 1 (poi rimessa subito in mare dal tribunale di Agrigento) Casarini ha scritto: «Abbatteremo i vostri muri, taglieremo i fili spinati dei vostri campi di concentramento. Faremo fuggire gli innocenti che tenete prigionieri. È già successo nella Storia, succederà ancora. In mare come in terra. La disumanità non vincerà. Fatevene una ragione». Questa volta si sentiva Oskar Schindler, anche se poi va nei cortei pro Pal che inneggiano alla distruzione dello Stato di Israele.
Chi volesse approfondire il suo pensiero, poi, potrebbe andare a leggersi L’Unità del 10 dicembre scorso, il cui titolo è già un programma: Per salvare i migranti dobbiamo forzare le leggi. Nel testo, che risparmiamo al lettore, spiega come l’Ue si sia piegata a Giorgia Meloni e a Donald Trump in materia di immigrazione. I sovranisti (da quanto tempo non sentivamo più questo termine) stanno vincendo. Bisogna fare qualcosa. Bisogna reagire. Ribellarsi. Anche alle leggi. Il nostro, sempre attento ad essere politicamente corretto, se la prende pure con gli albanesi che vivono in un Paese «a metà tra un narcostato e un hub di riciclaggio delle mafie di mezzo mondo, retto da un “dandy” come Rama, più simile al Dandy della banda della Magliana che a quel G.B. Brummel che diede origine al termine». Casarini parla poi di «squadracce» che fanno sparire i migranti e di presunte «soluzioni finali» per questi ultimi. E auspica un modello alternativo, che crei «reti di protezione di migranti e rifugiati, per sottrarli alle future retate che peraltro avverranno in primis nei luoghi di “non accoglienza”, così scientificamente creati nelle nostre città da un programma di smantellamento dei servizi sociali, educativi e sanitari, che mostra oggi i suoi risultati nelle sacche di marginalità in aumento».
Detto, fatto. Qualcuno, in piazzale Cuoco a Milano, ha infatti pensato bene di affiggere dei manifesti anonimi con le indicazioni, per i migranti irregolari, su cosa fare per evitare di finire nei centri di permanenza per i rimpatri, i cosiddetti di Cpr. Nessuna sigla. Nessun contatto. Solo diverse lingue per diffondere il vademecum: l’italiano, certo, ma anche l’arabo e il bengalese in modo che chiunque passi di lì posa capire il messaggio e sfuggire alla legge. Ti bloccano per strada? Non far vedere il passaporto. Devi andare in questura? Presentati con un avvocato. Ti danno un documento di espulsione? Ci sono avvocati gratis (che in realtà pagano gli italiani con le loro tasse). E poi informazioni nel caso in cui qualcuno dovesse finire in un cpr: avrai un telefono, a volte senza videocamera. E ancora: «Se non hai il passaporto del tuo Paese prima di deportarti l’ambasciata ti deve riconoscere. Quindi se non capisci la lingua in cui ti parla non ti deportano. Se ti deportano la polizia italiana ti deve lasciare un foglio che spiega perché ti hanno deportato e quanto tempo deve passare prima di poter ritornare in Europa. È importante informarci e organizzarci insieme per resistere!».
Per Sara Kelany (Fdi), «dire che i Cpr sono “campi di deportazione” e “prigioni per persone senza documenti” è una mistificazione che non serve a tutelare i diritti ma a sostenere e incentivare l’immigrazione irregolare con tutti i rischi che ne conseguono. Nei Cpr vengono trattenuti migranti irregolari socialmente pericolosi, che hanno all’attivo condanne per reati anche molto gravi. Potrà dispiacere a qualche esponente della sinistra o a qualche attivista delle Ong - ogni riferimento a Casarini non è casuale - ma in Italia si rispettano le nostre leggi e non consentiamo a nessuno di aggirarle». Per Francesco Rocca (Fdi), si tratta di «un’affissione abusiva dallo sgradevole odore eversivo».
Casarini, da convertito, diffonde il verbo. Che non è quello che si è incarnato, ma quello che tutela l’immigrato.
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