
Il presidente del Consiglio strizza l'occhio ai democratici e picchia durissimo sul ministro dell'Interno: «È opportunista e non rispetta le regole». Dopo un anno di governo assieme, è una capriola da fenomeno.Un po' soffre. Ma soprattutto s'offre. Più che un discorso, quello di Giuseppe Conte è sembrata una televendita di sé stesso. AAA premier usato sicuro offresi per nuovo governo con il Pd, discreta esperienza, conoscenza lingue, per referenze citofonare Merkel. Ma per arrivare a quel punto, naturalmente, doveva prima regolare i conti con il suo recente passato. E l'ha fatto tirando fuori dal taschino una durezza non proprio intonata con l'immancabile pochette. A quello che fino a oggi è stato il suo vicepremier, Matteo Salvini, ha dato dell'«opportunista», «pericoloso», «irresponsabile», «inefficace». L'ha accusato di non avere «sensibilità istituzionale», né «cultura istituzionale». Di non sapere «rispettare le regole» e nemmeno i segreti. Di offendere i sentimenti religiosi. Di prevaricare gli altri ministri. E di non usare la ragione. Ci mancava solo che gli addebitasse lo scioglimento dei ghiacciai in Groenlandia e la crisi finanziaria di Paperopoli e poi non mancava nulla. Con un unico dubbio che è subito affiorato nelle menti di tutti: ma se Matteo Salvini è questo brutto personaggio e losco figuro che hai appena descritto, caro Conte, perché te lo sei tenuto come vicepremier fino a oggi? Senza mai avvertirci del pericolo che stavamo correndo?Stamattina mi sono svegliato, e ho trovato l'invasor al governo. O Bello Ciao. Bello Addormentato, però: Conte, in effetti, fino a ieri firmava tutto quello che Salvini gli proponeva. Condivideva ogni atto. Ogni decreto. Oggi, all'improvviso, scopre che il medesimo Salvini è un pericolo per la democrazia? Tu chiamale, se vuoi, conversioni. D'altra parte, cosa ci volete fare? È come quelle ragazze che per farsi belle agli occhi del nuovo fidanzato, si mettono a insultare quello appena lasciato: «Aveva l'alito pesante. E ruttava». Senza rendersi conto, però, che se davvero sei stato 14 mesi con uno che faceva così schifo i casi sono due: o non te ne sei mai accorto, e allora sei scemo. O te ne sei accorto ma ti andava bene. E allora fai schifo pure tu. Ma nel suo giorno Conte non ha tempo per questi distinguo. Arriva in aula puntuale, alle 15. Più che camminare, galleggia. Più che mostrarsi, si ostenta. Fuori dal palazzo ci sono i leghisti che lo attaccano e i grillini che lo invocano. Di Maio l'ha appena definito (giuro: è vero) una «perla rara». E il suo ego evidentemente ne ha risentito. Mentre stringe le mani dei ministri, appare così pieno di sé che la forza di gravità fatica non poco a trattenerlo con i piedi per terra. Cravatta granata, pochette bianca. Si avvicina a Salvini, sussurra qualcosa all'orecchio (forse: «Mo' te spiezzo in due» oppure «ti faccio nero», si accettano scommesse). Poi siede tra lui e Di Maio. Beve un sorso d'acqua. E alle 15.09 è pronto a cominciare. La prima parte del discorso, come dicevamo, è un attacco diretto a Salvini. Un attacco personale. Quasi rancoroso. Che parte dall'uso dei social (come se lui non avesse appena fatto partire la campagna mediatica «Facebook ce l'ho più lungo io»). E arriva in fretta alle accuse più pesanti, quelle già citate di irresponsabilità e pericolosità. Per passare poi alla fase regolamento dei conti, senza timore di scendere a livelli da asilo Mariuccia. Roba del tipo: «Ti avevo chiesto i nomi per studiare la manovra, e non me li hai dati». Oppure: «Hai ricevuto le parti sociali al Viminale». A questo punto ci si aspetta solo: «Mi hai rubato secchiello e paletta sulla spiaggia di Foggiamare» per completare l'opera. E invece il Bello Addormentato nel Bosco, all'improvviso, dà un colpo d'ala e va a menare Salvini dove spera di fargli più male. Prima tira fuori il Russiagate («perché non sei venuto a riferire in aula?») prendendosi applausi a scena aperta dalla sinistra. Poi affonda sul rosario esibito ai comizi, dimostrazione (dice) di «incoscienza religiosa». E tutti a chiedersi: ma quello che se la prende con l'esibizione dei simboli religiosi, è lo stesso Conte che mostrò il santino di Padre Pio a Porta a Porta? L'aula schiamazza, Salvini fa facce strane. Conte non lo degna di uno sguardo. In compenso cita Federico di Svevia, Jurgen Habermas e Martin Buber, scatenando il panico in aula. Si compulsano freneticamente gli smartphone, Wikipedia sotto stress. Dopo mezz'ora arriva la frase più attesa: «L'azione di questo governo si arresta qui». Ma si capisce benissimo che per Conte le dimissioni sono solo un apostrofo grigio tra le parole «n'altravolta». E fa di tutto per farlo capire. Per esempio spiattella un lungo elenco delle cose che avrebbe sicuramente fatto, grazie probabilmente a una speciale bacchetta magica trovata a Ferragosto sotto l'ombrellone. Riforma fiscale, riforma della giustizia, riforma dei codici, semplificazione burocratica, privatizzazioni, sostegno agli investimenti, rilancio del Sud, spending review e incremento dell'export, solo per citare le voci principali. Roba che il libro dei sogni, al confronto, è un inno al pessimismo. Peccato che il Conte Bello Addormentato nel Bosco non si accorga dell'incongruenza logica (Habermas e Buber li ha trovati nel libro degli aforismi?): come avrebbe fatto a compiere simili meraviglie con al fianco un personaggio come Salvini che non rispetta le regole, viola i segreti, si gratta la pancia e prepara la dittatura? Per fortuna, ecco il colpo di scena, sono già pronti i sostituti. Sono quelli sui banchi della sinistra che applaudivano gli insulti al vicepremier. E che sarebbero pronti a votare anche il governo Satanasso pur di non andare a casa. Figurarsi se non votano un Conte bis, con tanto di pochette lavata nella candeggina dell'antisalvinismo. A loro l'ex avvocato del popolo dedica l'ultima parte del suo intervento. Che più che un discorso d'addio sembra un discorso d'insediamento. Più che un bilancio è una proposta. Conte presenta infatti un bignamino programmatico buono per tutte le stagioni, e perfetto dunque per la nuova maggioranza Pd-M5s. Riesce nella memorabile impresa di non saltare un luogo comune del politicamente corretto. Nemmeno uno. Si parte dalla «politica con la P maiuscola», e poi via con «le scuole laboratorio d'apprendimento», «l'economia circolare», «la sfida del mondo globale», «il nuovo modello di crescita», ovviamente «il rilancio del Sud», «l'Europa solidale e sostenibile», «i diritti delle donne», «le competenze digitali», etc. Un po' di gretinismo, due etti di Bergoglio e un niente di Ursula Von der Leyen. E il gioco, pardon il governo, è fatto. Così, un po' sollevato dalla rinata speranza, alle 15.58 conclude. Di Maio gli stringe la mano, Giorgetti pure. Salvini no. Poco dopo le 20, al termine del dibattito, riprende la parola per dire che la sua linea sull'immigrazione è stata sempre diversa da quella della Lega (altro messaggio al Pd) e che l'attacco al vicepremier non era «personale» (macché). Quindi l'ennesima supercazzola sul rispetto delle istituzioni, una lunga autocitazione, un'altra accusa a Salvini che «manca di coraggio per aprire la crisi» (tanto per non andare sul personale). E poi l'annuncio: «Vado al Quirinale a dimettermi». Nella speranza, ovviamente, che la televendita funzioni. E finalmente si possa varare un governo ricco di vera sensibilità istituzionale e statura costituzionale con Danilo Calamandrei Toninelli e Elena Mortati Boschi. Figure queste sì degne di governare il Paese insieme al Bello Addormentato Conte. Almeno fino a quando qualcuno, fra qualche mese, tornerà a svegliarlo. Magari persino gli elettori, chissamai.
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Friedrich Merz (Ansa)
- Per ripristinare le scorte Berlino vuol comprare Patriot Usa per 1,5 miliardi. All’Italia 15 miliardi di fondi Ue per il riarmo. La Kallas: stop al greggio di Mosca (ma dal 2027).
- Intanto Friedrich Merz prevede tensioni con i socialdemocratici. Ma pure la sua base è in rivolta.