2023-03-09
Il piano tenuto segreto da Speranza toppò le previsioni su casi e ricoveri
Lo «scudo», redatto sulla base degli studi di Stefano Merler, azzeccò solo il pronostico sulle 100.000 morti. Silvio Brusaferro: «Per essere utile andava reso pubblico». Il ministro, però, si infuriò col dirigente che ne parlò con la stampa.Ma quale «vuoto di decisione». Non avevano il piano pandemico aggiornato, quello che c’era l’hanno tenuto nel cassetto perché «non adeguato» (parola di Roberto Speranza). Però avevano il «piano segreto». Anche detto «Scenari di diffusione di 2019-Ncov in Italia e impatto sul servizio sanitario, in caso il virus non possa essere contenuto localmente». O «esercitazione teorica». O «Piano nazionale in risposta ad un’eventuale emergenza pandemica da Covid-19». Il primo a rivelarne l’esistenza fu, in un’intervista al Corriere della Sera del 21 aprile 2020, Andrea Urbani, che era direttore della Programmazione al ministero della Salute. «Non c’è stato alcun vuoto di decisione», garantiva, appunto. «Già dal 20 gennaio avevamo pronto un piano secretato e l’abbiamo seguito. La linea è stata quella di non spaventare la popolazione e lavorare per contenere il contagio». A parte che, sull’uso della paura, il principale di Urbani la pensava diversamente: dalle carte in mano ai magistrati di Bergamo, infatti, è spuntata una chat in cui Speranza catechizzava il capo dell’Iss, Silvio Brusaferro, sulla necessità di «non dare troppe aspettative positive», se «vogliamo mantenere misure restrittive». Inoltre, quel piano segreto, sbandierato dal dirigente quale prova che l’Italia era prontissima - come assicurava in tv Giuseppe Conte - era basato su stime inesatte della Fondazione Kessler. L’unico dato azzeccato, sul lungo periodo, sarebbe stato quello dei morti: a marzo 2021 le vittime del coronavirus raggiunsero quota 100.000. E comunque, quando l’analisi è confluita in un programma di interventi di contenimento dell’epidemia, era già troppo tardi.la sfuriataNon è un caso, se il colloquio di Urbani con il quotidiano di via Solferino («Ho spiegato a un giornalista come ci stavamo muovendo e cosa si stava facendo in quel momento, poi mi sono ritrovato pubblicato un’intervista», avrebbe lamentato lui) scatenò le ire dell’inquilino di lungotevere Ripa. Dopo l’imprudente rivelazione, le opposizioni erano salite sulle barricate. Adolfo Urso, che guidava il Copasir, aveva annunciato un’interrogazione al premier affinché chiarisse «per quale ragione il Parlamento non è stato informato». In una conversazione con la collega Livia, finita agli atti dell’inchiesta bergamasca, il boiardo ministeriale Giuseppe Ruocco, in data 28 aprile 2020, riferiva: «Mi ha detto il ministro che non ha strillato mai così forte come con Urbani. E gli ha fatto una nota ufficiale di rimprovero (per pararsi lui). Il piano segreto. Mi ha chiesto: ma come mai gli è venuta questa cosa? Io lo reputo uno dei migliori… Ho risposto: ha voluto scaricarsi un po’ di pressione di dosso».La necessità di organizzare un programma d’azione, in verità, affiora nelle riunioni della task force, su impulso di Brusaferro, il 6 febbraio 2020 - e non a gennaio. Quel giorno, Agostino Miozzo, coordinatore del Cts, invia ai colleghi una bozza di verbale in cui compare una sezione dedicata alla «Definizione di scenari possibili in caso di evoluzione dell’epidemia con presenza di numerosi casi sul territorio nazionale». Nel resoconto del 7 febbraio, tuttavia, a questo argomento non si fa alcun riferimento. L’11 febbraio, Miozzo evidenzia ai colleghi che «il tema relativo ai piani strategici», è stato «sintetizzato in poche righe rinviando a domani con gli elementi che ci verranno forniti da Stefano Merler e altri». collaborazioneIl matematico della Fondazione Kessler, secondo quanto riferito da Brusaferro, viene coinvolto da Gianni Rezza, «in virtù dei rapporti che da sempre ci sono tra l’Iss» e la Fondazione stessa. Il 12 febbraio, dunque, Merler - che per sua ammissione sigla «un patto di confidenzialità» - presenta alcune ipotesi sull’andamento dell’epidemia, confluite in un testo che, cinque giorni dopo, una dipendente della Protezione civile definisce «in divenire, modificabile sulla base degli sviluppi». Il documento viene tenuto riservato, mentre il 20 febbraio un funzionario dell’Iss prega i membri del Cts di commentarlo, in modo da «finalizzare» il programma «entro l’inizio della prossima settimana».Che il tempo non giochi a favore dei burocrati della salute lo dimostra uno scambio di messaggi del giorno seguente, in cui Luigi Cajazzo, direttore generale dell’assessorato al Welfare in Lombardia, comunica ad Alberto Zoli, al vertice dell’azienda che si occupa del servizio di emergenza e urgenza, che in regione sono stati riscontrati due casi di positività. La notizia rimbalza all’Iss e Brusaferro allerta un gruppo di tecnici. «Siamo già a focolaio?», si allarma uno di loro. «Ci mancava». «Già», replica Brusaferro, «ma fortunatamente c’è un piano di azione». Solo che è «riservato». E viene cesellato a rilento. RITARDIIl 27 febbraio, «nell’ambito dello sviluppo del Piano Covid-19», gli esperti devono ancora «definire quali siano i parametri indispensabili da rilevare, tramite la piattaforma appena attivata in Iss, per la stima del fabbisogno dei posti letto in terapia intensiva e nei reparti di degenza in isolamento». Ventiquattr’ore dopo, Ruocco sbotta con la solita Livia: «Dobbiamo chiudete (sic) questo piano. Finché non si finisce non si esce da quella stanza». Finalmente, il 28 arriva al presidente dell’Iss la versione definitiva del file. Il problema è che le valutazioni di Merler sono imprecise. Nello scenario peggiore, si prevede che si arrivi a 1.000 positivi entro 38 giorni dalla scoperta del paziente 1. Tuttavia, come annotano gli inquirenti, «già alle ore 18.00 del 29 febbraio 2020, ossia nove giorni dopo il primo positivo di Codogno, si era superato il limite dei 1.000 positivi». In più, stando al documento, 60 letti di rianimazione sarebbero stati occupati nei fatidici 38 giorni; nella realtà, «dopo otto giorni i posti letto occupati in terapia intensiva erano già 64». La situazione era sfuggita di mano, benché, con il contagio che «aumentava esponenzialmente», non fosse «complicato ipotizzare sin da subito quale poteva essere l’andamento dell’epidemia». Il Cts arriva ad adottare la versione finale del piano solo il 2 marzo, cioè sei giorni prima che, con mossa di «cieca disperazione» (così Walter Ricciardi), Conte metta l’Italia intera in lockdown. Ma ancora il 4 e il 9 marzo, il Comitato tecnico scientifico, che insiste nel pretendere riservatezza, invoca dall’Iss ulteriori aggiornamenti del vademecum. opacitàNei verbali successivi, il piano non viene più menzionato. Ne risulta una copia di 53 pagine, in busta chiusa, senza data, protocollo e firma, presso il Dipartimento della Protezione civile. Esso viene trasmesso a Speranza solamente il 23 aprile 2020, prima che il ministro compaia dinanzi al Copasir. L’alone di mistero, ufficialmente imposto per evitare il panico nella popolazione, mette a disagio persino i tecnici. Patrizio Pezzotti, dell’Iss, il 12 marzo scrive a Brusaferro e Rezza che «continuare a “secretare” quello che ha fatto Stefano (Merler, ndr) con il suo splendido team» pone «la nostra istituzione in una situazione complessa». Secondo il funzionario, «il nostro silenzio mediatico su questo aspetto ci danneggia», perché fa sembrare che nessuno abbia predisposto adeguate contromisure: alcuni «dicono che siamo “dilettanti allo sbaraglio” senza un piano strategico!».Il ministero, alla fine, butterà la palla in tribuna: quello di Merler non era un piano, bensì uni studio che ha «contribuito alla definizione delle misure e dei provvedimenti adottati a partire dal 21 febbraio». Urbani, invece, cercherà di spaccare il capello («Non si tratta di piano secretato ma solo riservato»), Miozzo difenderà l’opaca gestione del documento, adottato alla chetichella, applicato a spizzichi e bocconi in Lombardia, spiegando: «Io stesso chiesi di mantenere riservato il piano, perché da esso emergeva una situazione “apocalittica”, che avrebbe allarmato l’opinione pubblica». La pietra tombale sul maldestro tentativo dei tecnici di sopperire all’assenza del piano pandemico - e all’insabbiamento di quello vecchio, che sarebbe stato utilizzabile - la mette però Brusaferro. Quando gli chiedono se «possa essere efficacemente implementato un piano riservato», il numero uno dell’Iss ammette: «No, un piano di preparedness, per essere utile, non può essere riservato, ma deve avere massima diffusione». E allora come mai vigeva il segreto? Non c’è che dire: eravamo proprio in ottime mani.
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