2019-07-21
Un tranello. Ora diteci chi l'ha organizzato
Di sicuro c'è solo una registrazione in cui un tizio di nome Gianluca Meranda, autodenunciatosi con una lettera a Repubblica come avvocato internazionale d'affari, parla di petrolio, di percentuali e di milioni. Tutto il resto sono chiacchiere. Eh, sì: la bomba che doveva deflagrare facendo secco Matteo Salvini, è scoppiata tra le mani degli attentatori. E più passano i giorni e più del grande intrigo, anzi della tangente del secolo (65 milioni per una fornitura di gasolio da 1,6 miliardi) alla Lega, restano solo le ombre. (...)(...) La storia ha inizio a febbraio di quest'anno, quando L'Espresso tira fuori la vicenda di una partita di prodotti petroliferi venduta dai russi con annessa mazzetta per la Lega. Una montagna di milioni intermediata da un travet del cerchio magico leghista, una specie di piccolo burocrate padano, conosciuto nel giro salviniano per i suoi rapporti con Mosca. Secondo il settimanale del gruppo De Benedetti, nell'ottobre del 2018, in un albergo della capitale russa si ritrovarono in sei per discutere di come finanziare il partito di Salvini. L'articolo dell'Espresso, che anticipava il capitolo di un libro di due suoi giornalisti, conteneva già tutti gli elementi per montare le accuse contro il ministro dell'Interno, ma inspiegabilmente, nonostante si fosse a pochi mesi dalle elezioni, nessuno lo prese sul serio. Così, passato del tempo, ecco rispuntare la faccenda su un sito americano, con tanto di registrazione dell'incontro. Questa volta, a differenza di prima, il caso decolla. Vuoi per la messa online dell'audio, vuoi per la suggestione di un'operazione con il marchio dei servizi segreti americani o di quelli russi contro Matteo Salvini, la vicenda prende quota e, dopo il clamore sulla stampa, la Procura fa sapere di aver aperto un'inchiesta. Il ministro dell'Interno deve spiegare, anzi si deve dimettere, strillano in coro i giornali di sinistra e l'opposizione. Su Repubblica si fa vivo tale Gianluca Meranda, che dice di essere un legale esperto in transazioni commerciali internazionali, ma anche di essere un massone e, senza che nessuno glielo chieda, dichiara di essere stato presente alla trattativa e di poter confermare tutto, evidentemente finanziamenti alla Lega compresi. Insomma, il Russiagate è esploso e minaccia di seppellire per sempre non solo il piccolo travet leghista, ma anche il ministro dell'Interno che spesso con lui si è fatto fotografare, spazzando via di conseguenza la stessa Lega, come accade in Austria con il Partito delle libertà.Ma quando tutto appare definito, la trappola scattata e Salvini sull'orlo di una crisi di nervi, come in una spy story che si rispetti, ecco il colpo di scena. Noi della Verità cominciamo a raccontare chi sia Gianluca Meranda, ossia colui che all'improvviso si è trasformato in una specie di testimone d'accusa. Il grande avvocato d'affari protagonista di una transazione da 1,5 miliardi, in realtà risulta essere, oltre a un massone scacciato dagli stessi massoni, anche un tipo in difficoltà, sfrattato dallo studio e incapace di pagare perfino le spese condominiali e i fattorini che gli hanno svuotato i cassetti. Zero redditi, zero proprietà, qualche debito, un pignoramento. Meranda è sì un avvocato, ma a quanto pare non di grandi affari. Semmai di piccolo cabotaggio.Piano piano si comincia a capire che la maxi operazione non c'è e ne rimane una piccola piccola. L'Eni, chiamato in causa come compratore finale di 3 milioni di tonnellate di oro nero, sostiene di non saperne nulla. Rosnef, gigante russo citato nelle conversazioni, neppure si prende la briga di smentire tanto la vicenda appare inverosimile. Le petroliere che avrebbero dovuto trasportare i milioni di barili non solo non risultano attraccate in uno dei nostri porti, ma probabilmente mai sono partite e dei 65 milioni della maxi tangente alla Lega neppure l'ombra, né nei bilanci ufficiali, né nelle casse del partito o dei suoi funzionari.Bisogna fare le rogatorie, bisogna capire se si tratti di una mossa dei Kgb o della Cia, scrivono i giornali. Ma nel frattempo, dopo che sia i soldi che il petrolio sono evaporati, dopo la smentita dell'Eni e il silenzio infastidito di Rosnef, ecco sparire anche la banca che avrebbe dovuto intermediare la grande operazione. L'istituto d'affari anglotedesco per conto del quale, secondo L'Espresso, avrebbe agito Gianluca Meranda, prima smentisce che il legale abbia concluso la transazione, poi nega che l'offerta mostrata in copia da il settimanale sia partita dai suoi uffici. Un falso dunque. E chi l'ha confezionato? Ma poi, come una ciliegina sulla torta, viene a galla il bilancio della banca che avrebbe dovuto comprare la partita di barili per un valore di 1,5 miliardi di dollari: poche centinaia di migliaia di euro, ossia il giro d'affari di una pizzeria.La bomba che doveva uccidere Salvini appare dunque sempre più un petardo, anzi una grande truffa, una messinscena per incastrare il ministro dell'Interno. Resta da capire chi l'abbia organizzata e soprattutto chi abbia registrato quella strana conversazione all'hotel Metropol premurandosi poi di farla arrivare ai giornali. Perché il petrolio non c'è, la tangente neppure, ma l'audio che è servito a montare la panna esiste. E qualcuno lo ha messo in circolo per intossicare la vita politica.