2019-03-04
Il Pd perde elettori anche alle primarie
I democratici festeggiano l'affluenza. In realtà i voti si fermano poco sopra il milione e mezzo: erano 1,9 milioni nel 2017 e 3,1 nel 2012. Nicola Zingaretti da subito avanti rispetto a Roberto Giachetti e Maurizio Martina. Il sostegno on line dell'ex sindaco di Firenze non è servito.Speravano che a vincere fosse il people dello spritz. Invece è el pueblo unido. Le primarie del Pd ipotizzano un partito un po' più rosso, con Nicola Zingaretti in netto vantaggio fin dai primi dati: 60% contro il 22% di Maurizio Martina e il 18% di Roberto Giachetti mentre tutto era in evoluzione. Uno scossone non marginale che crea più di un problema a Matteo Renzi, non più al centro del progetto politico è circondato dai rottamati di ritorno. Un simile contesto (...) potrebbe persino indurre l'ex premier ad accelerare la costruzione di un nuovo contenitore politico. Giornata lunga, con l'appello ai militanti di andare a votare presto, prima di concentrarsi su temi ben più cruciali come l'intervista di Fabio Fazio al presidente francese Emmanuel Macron, Napoli-Juventus e le ultime esternazioni di Wanda Nara sul marito molto ricco e molto in disarmo, quindi già un potenziale dirigente del Pd. Il mondo della sinistra non diserta la chiamata di carnevale, ma il risultato è mediocre, insufficiente per sviolinare successi: 1,5 milioni di partecipanti, 300.000 in meno rispetto a due anni fa (1,8 milioni) e comunque lontano dai tre, quattro milioni di un decennio fa. A un certo punto scatta l'allarme: le schede non bastano, servono le fotocopie. Subito in rete s'impone una battuta: «Sicuri che non abbiano già anche il nome che piace a Renzi?».I due problemi storici delle primarie sono la credibilità e la permeabilità, uno figlio dell'altro. Gli studenti fuori sede, i cinesi sperduti in coda e gli extracomunitari convinti postmarxisti suscitano antiche perplessità, non certo mitigate dai sorrisi delle risapute icone firmaiole in fila: Roberto Benigni, Nanni Moretti, Gigi Proietti, Francesco Guccini, Paolo Virzì. Il dito nella piaga sulla vulnerabilità viene messo da Vittorio Di Battista, papà del leader 5stelle, autore di una monelleria poco credibile: «Con un documento valido, la tessera elettorale e qualche euro falso, puoi comportarti da bravo cittadino e far contenti tutti e tre i candidati, far gioire i commentatori e triplicare il numero dei votanti». In nome della goliardia, a Milano un seggio viene aperto anche al bar Salvini. Sull'onda dell'allegra kermesse del giorno prima, nel capoluogo lombardo si registra un dato politico: la culla del berlusconismo e della Lega si candida a diventare il terzo caposaldo del Pd in una retta che parte da Roma Parioli, passa da Capalbio e arriva a Porta Venezia-Castello Sforzesco-Sant'Ambrogio dove il metro quadrato vale dai 6 ai 10.000 euro. È l'altra Italia, quella degli illuminati per decreto, quella che più perde nelle urne e più pretende di dominare nel pensiero.I seggi sono 7.000 e a quello di piazza del Popolo a Roma c'è una sorpresa, Carlo Calenda scrutatore. Dopo essersi allenato in una Spa a cinque stelle di montagna contando i cigni in mutande, eccolo alle prese con le preferenze del quarto stato. Sembra entusiasta: «Altro che Rousseau, questa è la democrazia». E neppure immagina il rischio di doversi trovare seduto con l'acerrimo nemico Michele Emiliano, in nome dell'unità. Anche questo è people. La svolta gauchiste piace a Romano Prodi che lancia la sua personalissima minaccia: «Se va in un certo modo riprendo la tessera».I tre candidati usano le stesse parole per commentare e sembrano volersi bene attorno al bostik dell'unità della sinistra, nell'attesa di superare la soglia del 51% che sancisce il vincitore. Ed evitare così l'eventuale mattanza del 17 marzo all'Assemblea nazionale, quando le prove d'affetto sarebbero più difficili da esternare. Mai fidarsi delle frasi d'amore dei politici. Qui la sintesi migliore è di Maurizio Crozza: «Martina vuole così bene a Zingaretti che quando guarda Montalbano tifa per i cattivi». Eppure, per un attimo e a parole, il Pd sembra un partito unico. Zingaretti, l'uomo del Rosso Antico, con Massimo D'Alema sulla spalla: «Il Pd deve cambiare, ma è l'unica risorsa dell'Italia per l'alternativa. Il governo come unica ricetta degli italiani offre l'odio e la divisione. Ora vinciamo anche le Europee». Martina, il chierichetto arcobaleno: «Per me l'imperativo dell'unità rimane una questione fondamentale. Possiamo essere alternativa a questa destra pericolosa». Giachetti, il prediletto dal giglio magico: «Spero che l'epoca della guerriglia a chi ha vinto sia alle spalle, altrimenti chiudiamo». Visti i risultati, per lui il problema non è mai esistito. A Giachetti non è bastato vincere la guerra dei social; Renzi gli aveva messo la disposizione la piattaforma con leoni da tastiera, troll e algoritmi che in pochi giorni gli hanno consentito di aumentare del 70% i flussi. Ma nella rete si impigliano tutti; lì si chiacchiera, poi il Paese reale è un altro. Lo sottolinea Matteo Salvini nel suo commento al vetriolo: «Primarie Pd? Rispetto la partecipazione e le idee di tutti, ma Matteo Renzi, Maria Elena Boschi e Romano Prodi hanno già governato (male) per tanti anni e sono stati già bocciati più volte dagli Italiani. Quello è il passato, il presente e il futuro siamo noi». Dal passato torna anche il partito di Zingaretti, nuovo leader chiamato a rispolverare vecchi slogan. Un successo della nostalgia, che conferma una diffidenza della gente comune per la sinistra Bella ciao con Renzi sul palco e i cuoricini del people sui like. O partigiano, portali via.
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