2019-05-01
Il Pd ormai è ridotto a una lotta per inciuci tra sbandate M5s e nostalgie nazarene
Il partito è dilaniato: chi fa la corte ai grillini, chi è pronto a cedere alle sirene di Fi e chi è stordito da Pedro Sanchez. E Nicola Zingaretti? Guarda.Come diceva Renzi? I pop corn? Certo, ci vorrebbero. Da mangiare mentre guardiamo loro. Il Partito democratico resta infatti il più grande spettacolo dopo il Big bang (a cui per altro assomiglia molto). Basta seguire le cronache politiche delle ultime ore per godersi lo show. Il lunedì va in onda l'accordo con i 5 stelle. Il martedì torna il Patto del Nazareno. Il mercoledì non si sa. Il giovedì gnocchi, ovviamente. Ma intanto c'è Maria Elena Boschi che si alza e annuncia: «Governeremo da soli». Meraviglioso. E con che voti? Adesso, dai, quanti problemi: starete mica lì a preoccuparvi dei voti? Che cosa sono mai questi voti? Hanno forse a che fare con le azioni di Banca Etruria? Con il Giglio magico? Con gli affari di babbo Tiziano Renzi? No? E allora non contano nulla, è ovvio. «Toccherà a noi», sentenzia la Madonnina d'Arezzo, facendo pure cascare questa sua disponibilità un po' dall'alto. Come a dire che ci sono costretti, lo fanno per fare un piacere al Paese. Vorrete mica che adesso debbano pure preoccuparsi di quel che pensano gli elettori? La navigazione del Partito democratico, nelle ultime ore, farebbe venire il mal di mare anche a Moby Dick. Da una parte ci sono quelli che spingono verso un accordo con i 5 stelle (come lasciava intendere l'intervista di Graziano Delrio alla Stampa di lunedì), dall'altra ci sono quelli che dicono che un accordo con i 5 stelle non si farà mai (come diceva Maria Elena Boschi nell'intervista alla Stampa di ieri). Da una parte ci sono quelli che dicono che il partito deve dire basta a ogni moderazione (come sentenziava Massimo Cacciari nell'intervista a Repubblica di lunedì). Dall'altra quelli che dicono che il partito vince seguendo la linea della moderazione (come replicava Carlo Calenda nell'intervista alla Repubblica di ieri). In mezzo il commento entusiasta dei risultati della Sicilia, dove il Pd è riuscito nella meravigliosa impresa di dissolversi nel nulla per rendere meno evidente la propria sconfitta. E la celebrazione della vittoria dei socialisti in Spagna, con i piddini abbarbicati al guapo Sanchez al ritmo di Raffaella Carrà: Pedro Pedro Pé, praticamente il meglio di Santa Fé. Dalle urne della Sicilia e della Spagna, in effetti, arrivano i nuovi stimoli all'immancabile dibattito della sinistra. Da una parte viene sbandierato il modello Sanchez, altresì detto andreottiano minore. Il motto è: governo anche se non ho i voti. Ottimo capo per le sfilate primavera-estate, affascina in particolare Maria Elena Boschi e piace assai anche a Carlo Calenda. Dall'altro c'è il modello Gela, cioè l'alleanza fra Pd e Forza Italia, sperimentata per l'appunto nella città siciliana e proposta dal berlusconiano Gianfranco Micciché come laboratorio nazionale in un'intervista sul Corriere della Sera («Il laboratorio con il Pd funziona, serve un Patto del Nazareno», dice entusiasta). Nel frattempo, però, il retrobottega del Pd continua a lavorare anche con il presidente della Camera Roberto Fico per un accordo con i 5 stelle (che però non si dice in nessuna intervista ufficiale, o se si dice viene subito smentita). In mezzo a questa confusione il povero neo segretario Nicola Zingaretti, parlandone da vivo, si barcamena come può, senza riuscire a dare una risposta alle eterne domande che angosciano l'uomo, soprattutto quello piddino: ma chi siamo? E dove andiamo? Calenda, che non ha paura di nulla (lo ha dimostrato nella memorabile foto al laghetto di montagna, quando ha esibito il suo fisico nudo davanti ai cigni senza temere l'intervento della protezione animali), ovviamente non teme nemmeno il ridicolo e si dice fiducioso perché a sinistra «dopo mesi di tribolazione ora andiamo d'amore e d'accordo». Giuro: dice proprio «d'amore e d'accordo». Gino Bramieri, in confronto, era un autore drammatico. La Boschi invece ritira fuori la «vocazione maggioritaria» del Pd, roba che se la sente Walter Veltroni ci fa subito un documentario nostalgico e ci scassa i marroni per i prossimi sei mesi. Del resto al cuor non si comanda. E alla vocazione maggioritaria neppure. Anche se, prima o poi, di questa vocazione maggioritaria bisognerebbe avvertire pure la maggioranza degli elettori. Che è difficile, altrimenti, coltivarla a loro insaputa. Certo, si può sempre fare come Sanchez: il governo a vocazione maggioritaria ma senza maggioranza. Oppure si potrebbero cercare i voti altrove. Ma qui cominciano i problemi. Dove girare le testa? Verso i 5 stelle del compiacente Fico? Verso Forza Italia del compiacente Micciché? Da nessuna delle due parti? In alto, in basso, in su, in giù, dai un bacio a chi vuoi tu? Lo spettacolo continua, la frantumazione resta dietro l'angolo, la scissione pure (sempre «d'amore e d'accordo», però, anche quando ci si frantuma, se no Calenda se ne ha a male). E noi qui, estasiati, ad ammirare lo show con l'unica paura di non riuscire a comprenderne fino in fondo l'immensa bellezza. L'altro giorno, per esempio, il vicepremier Luigi Di Maio parlava del Pd come di «un condominio». È stato fin troppo generoso: nel condominio, infatti, c'è sempre un primo piano. Qui, invece, nessuno ha ancora capito qual è.
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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Francesco Nicodemo (Imagoeconomica)