2021-02-05
Il Pd fa lo sgarbo al Colle: salva l’asse giallorosso e taglia fuori il Carroccio
I dem allontanano l'ipotesi governo tecnico elogiando le parole di Giuseppe Conte. Zinga strizza l'occhio a Fi. Mentre Marcucci chiude alla Lega: «Non c'è posto per loro»Se la messa in scena del primo discorso da premier dimissionario di Giuseppe Conte non ha brillato per efficacia, le sue parole, al contrario, hanno colto nel segno, togliendo (forse) le castagne dal fuoco a Nicola Zingaretti e ai suoi. I quali, non a caso, hanno incassato la vittoria politica e ringraziato a dovere l'avvocato del popolo, ricoprendolo di miele per tutta la giornata di ieri. L'allocuzione di Conte, pronunciata dietro a una sorta di bancarella approntata alla meglio davanti a Palazzo Chigi e stracolma di microfoni, tanto da essere già stata bollata come la versione giallorossa del «predellino» berlusconiano, potrebbe segnare la svolta decisiva per incanalare la strada che porta al governo Draghi sui binari desiderati dal Nazareno. A inizio settimana, infatti, ai piani alti della sede dem il sentimento prevalente di fronte al conferimento dell'incarico, da parte del Capo dello Stato, all'ex presidente della Bce, era ben lontano dall'ottimismo. Una babele di punti di vista sul da farsi e su come rapportarsi agli alleati, infatti, sembrava preludere a un catastrofico «liberi tutti» sia all'interno del Pd che nel Tridente giallorosso (Pd-M5s-Leu), che ha sostenuto fino a qualche giorno fa l'esecutivo Conte. D'altra parte, le premesse poste da Sergio Mattarella alla missione di Draghi sembravano raccomandare la formazione di un governo istituzionale o tecnico, in ogni caso non politico. «Avverto il dovere», aveva detto il presidente della Repubblica spiegando la decisione di affidare l'incarico a Draghi, «di rivolgere un appello a tutte le forze politiche presenti in Parlamento, perché conferiscano la fiducia a un governo di alto profilo che non debba identificarsi con alcuna formula politica». Parole lette da tutti gli osservatori come la volontà (non senza una punta di stizza giustificata dalla fine ingloriosa del Conte bis) di commissariare in qualche modo le forze politiche protagoniste dell'ultima legislatura. Un'ipotesi difficilmente digeribile per Zingaretti e per tutto il gruppo dirigente del Pd, che in questo modo avrebbero dovuto «dare il sangue» a un governo non voluto, certificando inoltre la fine dell'alleanza con il M5s e un possibile abbraccio con la Lega, nel caso Silvio Berlusconi fosse riuscito a convincere Matteo Salvini a sostenere Draghi. Un cul de sac, dal quale l'unico modo per uscire sarebbe stato convincere Conte ad adoperarsi per traghettare i grillini o una parte cospicua di essi verso il sì al nascituro esecutivo, ricompattando l'alleanza e scongiurando l'avverarsi del piano renziano di disarticolazione. La svolta si è avuta nel pomeriggio di martedì, quando dal tandem Zingaretti-Bettini è partita l'iniziativa politica che, bruciando sul tempo un centrodestra diviso più che mai su Draghi, potrebbe mettere fuori gioco in un colpo solo il governissimo e i due Mattei: la convocazione lampo di un vertice con M5s e Leu, capace di inviare un segnale chiaro, rispetto alla volontà di «mantenere una prospettiva politica unitaria». Parallelamente, dal Colle - stando ai canali informali che da sempre a esso vengono attribuiti - si lasciava filtrare una posizione più articolata rispetto alla missione di Draghi, che non sarebbe stata quella di commissariare la politica, bensì di lavorare assieme a essa, rispettando il ruolo del Parlamento e non prescindendo dai partiti. Detto in soldoni: il nascituro esecutivo potrà anche essere politico. Proprio quello che hanno chiesto tutti i maggiori esponenti di M5s per potere sedersi al tavolo, e proprio quello che, nel primo pomeriggio di ieri, è andato a comunicare urbi et orbi Conte, togliendo il Pd dall'imbarazzo: «Auspico un governo politico», ha detto Conte, «che sia solido e abbia una sufficiente coesione per poter operare scelte politiche». Poi si è rivolto agli «amici del Movimento» per dire loro «io ci sono», aggiungendo la speranza di «continuare a lavorare tutti insieme con gli amici di Pd e Leu». Parole che rimbalzano immediatamente a Largo del Nazareno e che galvanizzano tutti i big dem, che infatti fanno a gara per incensare il premier dimissionario, dal quale si temeva il gran rifiuto e invece è arrivato il beau geste. Parte Zingaretti, prima con un tweet a stretto giro in cui scrive «grazie al presidente Conte, un discorso di grande responsabilità e lungimiranza» e poi con una dichiarazione più articolata in cui rilancia la palla nel campo opposto, auspicando un «allargamento alle forze moderate, liberali, socialiste del Parlamento», citando per filo e per segno l'ultimo discorso di Conte in Senato. Siccome i dirigenti del Pd sono delle vecchie volpi e sanno bene che ogni peana a Conte è una pressione sul M5s, nel giro di poche ore è un profluvio di dichiarazioni: per Goffredo Bettini è un «discorso nobilmente costruttivo» che spiana la strada a un governo Draghi politico, per Roberto Gualtieri le parole di Conte hanno un «alto valore istituzionale e politico», mentre per Dario Franceschini in esse c'è «visione, generosità e sensibilità istituzionale». Anche il numero due del Nazareno, Orlando, tira un sospiro di sollievo e parla di «gesto politico importante che avrà conseguenze politiche rilevanti», così come il capogruppo alla Camera, Graziano Delrio, parla di «generosità e responsabilità». Mentre il capogruppo dei senatori dem alza il tiro e mette un veto sulla Lega: «Non vedo le condizioni per un appoggio al governo che sta nascendo».Esultano anche nella gauche, dove nell'elogio di Conte si cimentano un po' tutti a partire dall'ex presidente del Senato, Pietro Grasso, e da Nicola Fratoianni, rinfrancati dalla prospettiva di una coalizione più coesa dopo l'abbandono di Renzi, proprio nel momento in cui, nel fronte opposto, arriva la notizia che il centrodestra andrà separato alle consultazioni.
Un appuntamento che, nelle parole del governatore, non è solo sportivo ma anche simbolico: «Come Lombardia abbiamo fortemente voluto le Olimpiadi – ha detto – perché rappresentano una vetrina mondiale straordinaria, capace di lasciare al territorio eredità fondamentali in termini di infrastrutture, servizi e impatto culturale».
Fontana ha voluto sottolineare come l’esperienza olimpica incarni a pieno il “modello Lombardia”, fondato sulla collaborazione tra pubblico e privato e sulla capacità di trasformare le idee in progetti concreti. «I Giochi – ha spiegato – sono un esempio di questo modello di sviluppo, che parte dall’ascolto dei territori e si traduce in risultati tangibili, grazie al pragmatismo che da sempre contraddistingue la nostra regione».
Investimenti e connessioni per i territori
Secondo il presidente, l’evento rappresenta un volano per rafforzare processi già in corso: «Le Olimpiadi invernali sono l’occasione per accelerare investimenti che migliorano le connessioni con le aree montane e l’area metropolitana milanese».
Fontana ha ricordato che l’80% delle opere è già avviato, e che Milano-Cortina 2026 «sarà un laboratorio di metodo per programmare, investire e amministrare», con l’obiettivo di «rispondere ai bisogni delle comunità» e garantire «risultati duraturi e non temporanei».
Un’occasione per il turismo e il Made in Italy
Ampio spazio anche al tema dell’attrattività turistica. L’appuntamento olimpico, ha spiegato Fontana, sarà «un’occasione per mostrare al mondo le bellezze della Lombardia». Le stime parlano di 3 milioni di pernottamenti aggiuntivi nei mesi di febbraio e marzo 2026, un incremento del 50% rispetto ai livelli registrati nel biennio 2024-2025. Crescerà anche la quota di turisti stranieri, che dovrebbe passare dal 60 al 75% del totale.
Per il governatore, si tratta di una «straordinaria opportunità per le eccellenze del Made in Italy lombardo, che potranno presentarsi sulla scena internazionale in una vetrina irripetibile».
Una Smart Land per i cittadini
Fontana ha infine richiamato il valore dell’eredità olimpica, destinata a superare l’evento sportivo: «Questo percorso valorizza il dialogo tra istituzioni e la governance condivisa tra pubblico e privato, tra montagna e metropoli. La Lombardia è una Smart Land, capace di unire visione strategica e prossimità alle persone».
E ha concluso con una promessa: «Andiamo avanti nella sfida di progettare, coordinare e realizzare, sempre pensando al bene dei cittadini lombardi».
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Francesco Zambon (Getty Images)
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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