2019-09-05
Il Pci incassò miliardi dalle aziende per favorire l’export nell’area Urss
Il partito di Palmiro Togliatti prendeva dal 2,5 al 5 per cento per le provvigioni sui traffici commerciali nei Paesi dell'Est. I fondi neri finivano nelle casse: però nessuno osava parlarne, per il timore di essere espulso.Indagando su un vecchio delitto degli anni Cinquanta, un ricercatore di storia ha scoperto negli archivi ingialliti scandali di tangenti, di finanziamenti occulti e, ovviamente, illegali, al Partito comunista, di cui pochi hanno parlato, perché si ignoravano molti fatti. Quelle rare volte che è capitato di citare qualche caso, giornalisti e politici lo hanno fatto in modo generico, senza citare prove, come se si trattasse di slogan elettorali o propagandistici. Chi ha scavato, come un minatore, è stato invece un rigoroso ricercatore della storia, un appassionato di inchieste storiche che non si è mai fermato davanti ad alcun ostacolo. Quest'uomo è Roberto Gremmo, un professionista (ma volontario) delle indagini .Le ricerche sono autofinanziate (attingendo negli archivi di Stato di varie città, oltre che in quello centrale di Roma, in quelli privati e nelle Fondazioni) e spesso i risultati vengono pubblicati a spese dello stesso ricercatore, come è avvenuto con l'ultimo libro: Il delitto Codecà (edizioni Araba Fenice). Il misterioso omicidio dell'alto dirigente della Fiat, l'ingegner Eleuterio Codecà, avvenuto a Torino il 16 aprile 1952, fu il primo misterioso delitto politico avvenuto in Piemonte. Codecà era il direttore della sezione Spa della Fiat. La sera, mentre portava a spasso il cane vicino a casa, venne assassinato con un colpo di pistola alla nuca. L'impressione fu enorme, a Torino e in tutta Italia. Eravamo ancora molto lontani dagli Anni di piombo, ma si pensò ugualmente a un delitto politico, senza però trovarne le prove certe. O per lo meno, forse a quell'epoca non si vollero seriamente cercare. Successivamente si pensò alle vendette di partigiani comunisti che non seguivano le direttive di Palmiro Togliatti.Insomma, azioni criminali collegate a quanto avveniva nel «triangolo della morte» tosco-emiliano (3.976 vittime, secondo i rapporti dei carabinieri; le vittime erano fascisti, ma anche benestanti, preti, repubblicani, socialisti e cattolici che davano «fastidio» ai comunisti ). La responsabilità dell'omicidio di Torino, per chiudere rapidamente il caso, venne attribuita all'ex partigiano di Busano, Giuseppe Faletto, detto «Briga». Al processo però Faletto venne assolto per insufficienza di prove, ma condannato a 20 anni di carcere per altri omicidi commessi durante la Resistenza. Mandanti ed esecutori di questo delitto rimasero quindi ignoti. E ci fu chi accusò la Fiat di non avere favorito le indagini giudiziarie, perché l'ingegnere sapeva troppe cose sugli affari illegali con i Paesi dell'Est.La cresta sull'exportNel libro Gremmo scrive: «Il partito di Togliatti faceva un mucchio di soldi con le provvigioni sui traffici commerciali delle ditte italiane con i Paesi del blocco sovietico. Una nota dei servizi segreti del 1958 spiega in modo dettagliato l'intreccio affaristico fra il Pci e i Paesi comunisti dell'Est europeo (ma anche della Cina). La cifra incassata per le mediazioni sul giro globale variava dal 2,5 al 5 per cento». L'attività delle società commerciali create iniziò nel febbraio 1947 a Roma, per iniziativa dell'allora amministratore del Pci, il senatore Egisto Cappellini. I rapporti cominciarono con Ungheria, Polonia, Cecoslovacchia, Bulgaria, Romania e Jugoslavia. Tutto avveniva attraverso la Simes, una società appositamente costituita a Roma (con una filiale a Trieste). Amministratore venne nominato Augusto Doro, un dirigente del Pci torinese di assoluta fiducia di Togliatti. Insieme alla Simes vennero create una serie di società a Torino, Genova, Milano, Roma e Reggio Calabria (la Nord-Export ,la Tecno-Export, la Coceo ,la Coeba e altre) che operavano per i diversi Paesi comunisti dell'Est. I soci si impegnarono a riconoscere l'autorità di una Commissione superiore, costituita dai senatori comunisti Egisto Cappellini, Eugenio Reale e Giacomo Ferrari. Il primo era l'amministratore del Pci, il secondo ambasciatore d'Italia a Varsavia e il terzo ex ministro dei Trasporti nel secondo governo De Gasperi. I pieni poteri erano però esercitati da Augusto Doro, assistito (in realtà controllato da un «ispettore» del partito, Nullo Muratori). Tutte le grandi industrie italiane erano costrette, per esportare i loro prodotti all'Est, a passare attraverso la mediazione del monopolio del Pci. Dal triumvirato rosso (Cappellini, Reale, Ferrari) vennero create altre società per allargare il numero dei Paesi in cui esportare (anche nella Rdt, in Albania e in Cina), oltre all'Urss. Sorsero quindi la Ure (Unione rappresentanze estere, la finanziaria Socofin, la Imeco (a Napoli). Ma la «carriera» di Doro (che era anche assessore comunale a Torino) venne troncata bruscamente per oscuri traffici commerciali: uno scandalo che coinvolse anche il senatore Reale, costretto a uscire dal Pci (da cui venne espulso, approdando in seguito nel Psdi).L'inchiesta giudiziariaLe aziende interessate all'export erano numerose. Ricordiamo, fra le tante, le società del gruppo Fiat (auto, trattori, camion e componenti), l'Italviscosa (tessili in fibre sintetiche), Fiorentini (escavatori e impianti per cantieri), Bomprini Parodi Delfino (prodotti chimici, meccanici ed esplosivi ), la Terni (siderurgia), la Trinester -import export (Messina), la Rocomil import export (specializzata in esportazioni di prodotti in Albania), Saipa (Reggio Calabria), Ital Coop import export, società della Lega delle cooperative (lavorava con l'Urss e tutti gli altri Paesi dell'Est). Particolarmente attivi i russi, i cecoslovacchi e i polacchi (questi ultimi cercavano di scambiare il loro carbone con altri prodotti italiani, anche alimentari). Augusto Doro, oltre a quelle elencate, controllava le società di Milano, Cocaor e Nord Export (con amministratore unico l'ingegner Roman Widra, che poi si rivelò un dissidente titino e si dichiarò - dopo la rottura di Belgrado con Mosca- un «profugo politico», confidando al prefetto di Milano che «la Jugoslavia avrebbe dato 450 milioni di lire per aiutare gli scioperanti in Italia e che il denaro sarebbe entrato in Italia a mezzo di una società commerciale import-export». Anche la Nord Export, secondo Widra, serviva per scopi analoghi: «E il Pci ha propri uomini in tutte le principali industrie italiane, come Ansaldo, Fiat, ItalViscosa».L'epoca doro dei commerci con l'Est era però destinata a finire. Gli scandali amministrativi si susseguivano e, nonostante il rigido controllo del Pci, troppi amministratori comunisti si arricchivano. Come era successo allo stesso Augusto Doro, proprietario di un negozio di ferramenta a Torino, ma che controllava un vasto impero commerciale per conto del Partito comunista. Alla fine, dopo una serie di inchieste amministrative interne, Doro venne silenziosamente espulso dal Pci. Fra le tante cose che si scoprirono poi, in un'inchiesta giudiziaria (il caso Transit) vi fu anche quella della mediazione per l'acquisto di un ingente quantitativo di armi da guerra, che si trovavano in un campo militare egiziano, che sarebbe poi stato venduto al Pakistan. Non è chiaro se quell'affare sia andato in porto, ma ha confermato l'esistenza di traffici poco chiari e pericolosi. Fra le tante aziende che commerciavano con la Polonia - sempre con la mediazione del Pci - si erano aggiunte le Officine di Sant'Eustachio di Milano, l'Innocenti, la Cge, l'Alfa Romeo, la Marelli, la Brevex, la Tosi, la Salmoiraghi, la Riv, la Giustina, la Morandi, la Elli & Zerboni di Torino, la Mingardi di Bologna, la Macchi di Varese, la Cerutti di Pallanza, la Bertini e Coppi di Ferrara. I cospicui fondi neri delle mediazioni finivano nelle casse del Pci, senza che nessuno osasse parlarne, per timore di essere espulsi dal partito o di essere denunciati per calunnie o appropriazione indebita.Gli aiuti da moscaA questo punto, la domanda che ha sempre appassionato i ricercatori, gli studiosi e i giornalisti (e non solo) è questa: quante risorse illegali sono state assorbite dall'elefante Pd? «Nessuno», dice Gremmo, «è mai riuscito a stabilire la cifra globale dei fondi occulti arrivati, per le vie più strane ,nelle casse delle Botteghe oscure. Eppure ci hanno provato in tanti». Ad esempio, lo scrittore Valerio Riva (Oro da Mosca, Mondadori, 1999), riuscì a quantificare in 400 milioni di dollari nel 1950 e 500 l'anno successivo i finanziamenti del Fondo di assistenza del Pcus al Pci. Complessivamente, sempre secondo Riva, i finanziamenti diretti dall'Urss furono oltre 3.000 miliardi di lire del 1999. A questa cifra gigantesca bisognerebbe aggiungere quella, altrettanto mastodontica, delle intermediazioni commerciali. E poi ancora le donazioni una tantum dei dirigenti sovietici agli uomini del Pci, come i 600.000 dollari consegnati brevi manu da Stalin a Pietro Secchia. Del resto non si è mai saputo l'entità della somma, depositata clandestinamente in Svizzera, da Giulio Seniga, segretario di Secchia, quando abbandonò il Pci. Anche quella somma, utilizzata poi per una casa editrice che pubblicava libri anticomunisti e riformisti, era il frutto di percentuali sulle intermediazioni commerciali con i Paesi dell'Est.In questo frenetico viavai di traffici illegali, con società commerciali vere o di fantasia, non mancarono le truffe e i commerci di prodotti di interesse strategico. Nel maggio 1952, ad esempio, il controspionaggio italiano scoprì, mentre si sgretolava l'impero affaristico di Doro, un traffico clandestino di materiali strategici venduti alla Romania ad altri Paesi comunisti e provenienti dalla Nato in Italia. Con falsi documenti venivano spediti in Svizzera e da lì fatti arrivare in diversi Paesi dell'Est. In una sola operazione, la Guardia di finanza riuscì a recuperare 766.385 chilogrammi di materiali di interesse militare, con la denuncia di decine di dirigenti e militanti del Pci (ma anche di generali simpatizzanti comunisti). Un commercio redditizio. Solo nell'ultima spedizione erano state recuperate ben 17.000 tonnellate di rame elettrolitico, del valore di 13 milioni di dollari, pari a 8 miliardi di lire dell'epoca. Gli affari di oggi di cui si parla, veri o fasulli, attribuiti a dei politici fanno solo sorridere.
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