Il mandato di Tedros Ghebreyesus, direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), è scattato nel 2017 e dura ben 10 anni. Per altri due anni, dunque, dovremo sentirlo sciorinare la solita litania sulla «prossima pandemia», «non è una questione di se ma di quando», ha detto Ghebreyesus all’apertura della seconda riunione dell’organo intergovernativo di Negoziazione sull’accordo pandemico, lanciando l’ennesimo allarme sull’inevitabilità di un altro focolaio globale.
L’unico modo per uscirne, secondo Tedros, è finalizzare urgentemente il trattato e concludere rapidamente il processo. L’accordicchio adottato lo scorso 20 maggio, dopo più di tre anni di negoziati, rimane infatti incompleto perché richiede la ratifica da parte di 60 Paesi e l’adozione di un allegato cruciale sulla condivisione di agenti patogeni, il famigerato allegato «Pabs» (Pathogen access and benefit-sharing), che prevede la condivisione di informazioni sugli agenti patogeni con potenziale pandemico, e relativi trattamenti (vaccini e terapie).
Una porta aperta alla pericolosa ricerca «Gain of function», che ha reso possibile la fuoriuscita del virus Sars Cov-2 dal laboratorio cinese di Wuhan, per intenderci. Nell’allegato, oltretutto, si chiede alle aziende di fornire all’Oms un «accesso rapido» al 20 per cento della loro produzione legata alla pandemia, tra cui «almeno il 10 per cento della loro produzione in tempo reale», sotto forma di donazioni. Ma gli Stati produttori considerano queste soglie molto elevate. I colloqui rimangono dunque bloccati su questioni sensibili.
Per non farsi mancare nulla e continuare a garantire il suo pieno sostegno all’industria farmaceutica, più che alla salute dei cittadini, l’Oms ha anche deciso di raccomandare l’uso di farmaci per la perdita di peso e aggiungerli alla sua «lista dei medicinali essenziali», il catalogo dei preparati che l’Oms ritiene debbano essere disponibili in tutti i sistemi sanitari a un prezzo accessibile.
Secondo la bozza delle linee guida dell’Organizzazione, i Paesi aderenti devono cominciare a considerare l’obesità come una malattia cronica, diffusa al punto che qualcuno già parla di «pandemia dell’obesità». A cosa punta l’Oms con questa decisione? La conclusione del comitato di esperti dell’Organizzazione è che le attuali cure contro l’obesità, che l’hanno inquadrata fino ad oggi come un problema di stile di vita, sono ormai «obsolete» e l’unica soluzione efficace sono i popolari farmaci Glp-1, sviluppati per la prima volta da Novo Nordisk (Ozempic) ed Eli Lilly (Mounjaro).
Inserendo questi farmaci nella lista dei medicinali essenziali, il prezzo sarà calmierato, facilitandone e moltiplicandone la vendita. L’ultimo inchino del carrozzone sanitario alle aziende farmaceutiche, dunque, farà sì che questi farmaci, oggi costosi e in teoria raccomandati soltanto per i diabetici, saranno alla portata di tutti. Si comincia con gli adulti con un Bmi (indice di massa corporea) superiore a 30, ma l’Oms sta già sviluppando linee guida separate per il trattamento di bambini e adolescenti, nonostante le oltre 900 cause legali contro Novo Nordisk registrate in soli due mesi per gravi effetti collaterali (e già segnalate sulla Verità nello speciale del 4 marzo 2024, ndr). La Food and drug administration (Fda) degli Stati Uniti ha ricevuto segnalazioni di gastroparesi, o «paralisi dello stomaco», dopo l’assunzione di questi farmaci. Altri effetti collaterali non rari ma comuni sono crampi allo stomaco e nausea, dovuti alla permanenza del cibo nell’intestino più a lungo, gravi eventi gastrointestinali, perdita di massa muscolare, effetto rebound con aumento del peso dopo la sospensione del trattamento, pensieri suicidi o autolesionistici. Il bugiardino avverte anche che, per chi ha una storia familiare di tumori della tiroide, il farmaco potrebbe provocare il cancro alla tiroide, ma il business (48 miliardi di dollari, decuplicherà entro il 2032) fa gola a troppi.
È un metro di valutazione scientificamente non esatto ma politicamente infallibile: sulle questioni di salute pubblica, nel dubbio, sedersi sempre dalla parte opposta a quella dove si posizionano Matteo Bassetti, Walter Ricciardi e compagnia virologa cantante. Di sicuro il ministro della salute Orazio Schillaci non ha compiuto esattamente questo stesso percorso logico decidendo ieri di astenersi sul Trattato pandemico all’Assemblea generale dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Fatto sta che la decisione dell’Italia di esprimere le proprie riserve sul documento ha prevedibilmente scatenato i mugolii della (mica tanto) allegra banda di scienziati orfani dell’emergenza e del terrore. «Non è un bel segnale se l’Italia si astiene», ha piagnucolato la virostar del San Martino di Genova. «Mi era sembrato - ha aggiunto Bassetti - che il ministro avesse detto che l’Italia era parte integrante dell’Oms e quindi sfilarsi su un argomento così importante ci isola da quello che è un contesto su cui dovremmo essere tutti uniti e non dividerci». Commenti stizziti anche da Walter Ricciardi, tra i registi di quella che può essere annoverata tra le più catastrofiche performance di gestione pandemica a livello mondiale, quella italiana. «L’astensione dell’Italia - ha dichiarato l’ex attore - stupisce perché il nostro Paese era stato uno dei promotori del Trattato pandemico tre anni fa. Questo cambio di passo non ha nessuna spiegazione né scientifica né di sanità pubblica, ma evidentemente si tratta di una scelta di natura politica».
Al netto dell’ovvietà che ogni decisione in materia di salute pubblica è per forza di cose di natura politica, che quella italiana sia stata una reazione per tamponare potenziali fughe in avanti di stampo autocratico, in effetti, è abbastanza evidente: sono tre anni che a Ginevra il direttore generale dell’Oms Tedros Ghebreyesus, con la scusa della «permacrisi» e dell’allarme pandemico perenne, briga per spogliare gli Stati membri dell’Oms delle loro prerogative in materia di sanità pubblica, cercando di accentrare intorno a sé e al suo segretariato poteri illimitati. Gli è andata male: già l’anno scorso una bozza ben più pericolosa di Trattato è stata rispedita al mittente, con il contributo decisivo degli Stati Uniti di Joe Biden e nel suo piccolo anche dell’Italia. La nostra posizione oggi non è mutata: con l’astensione «l’Italia intende ribadire la propria posizione sulla necessità di riaffermare la sovranità degli Stati nell’affrontare le questioni di salute pubblica. Apprezziamo che questo principio sia stato incluso nel testo», si legge. L’Italia ha accolto «con favore» che si sia specificato che l’Accordo non autorizza l’Oms a imporre agli Stati di adottare misure specifiche, come vietare o accettare viaggiatori, imporre vaccinazioni o attuare lockdown. «Riteniamo inoltre che l’Accordo - si legge ancora nel testo - debba essere attuato nel pieno rispetto dei principi di proporzionalità e tutela dei diritti fondamentali, inclusa la protezione dei dati personali e delle libertà individuali. Tenendo presenti questi principi, l’Italia auspica di continuare a collaborare […] per definire le questioni in sospeso che, a nostro avviso, meritano ulteriori approfondimenti».
Una di quelle più ambigue, ad esempio, riguarda la delicata sezione sui finanziamenti (art.18). L’Oms, carrozzone con un disavanzo di 1,7 miliardi di dollari, «grazie» al Trattato compie passi avanti per consentire l’istituzione di una sorta di Mes, un meccanismo finanziario di coordinamento dai contorni (volutamente?) imprecisi. «La Conferenza delle Parti (nuova stanza dei bottoni con pieni poteri ma poca trasparenza, ndr) adotterà misure appropriate per dare attuazione al presente articolo, compresa la possibilità di valutare risorse finanziarie aggiuntive per sostenere l’attuazione dell’Accordo pandemico attraverso tutte le fonti di finanziamento […] comprese fonti innovative (sic) e quelle che vanno oltre l’assistenza ufficiale allo sviluppo».
A sostegno dell’Oms, inoltre, gli Stati membri hanno approvato un aumento del 20% dei contributi stimati (quote associative). È già il secondo aumento: il precedente, sempre al 20%, era stato concordato nell’ambito del bilancio 2024-25.
In ogni caso, che l’approvazione del Trattato sia stata condivisa a larga maggioranza, come ha chiosato qualcuno ieri, non appare del tutto vero: il testo è passato con 124 voti favorevoli e 11 astensioni, ma un quarto dei Paesi membri (46 su un totale di 193) non ha partecipato allo scrutinio in commissione. Anche la Polonia e Israele hanno scelto la strada dell’astensione, insieme con la Russia. L’Argentina e gli Stati Uniti non hanno partecipato neanche ai negoziati, per dire, e sull’Oms, da cui gli Stati Uniti di Donald Trump usciranno dall’1 gennaio 2026, ieri è piombata anche la spallata del ministro della Sanità Usa Robert F. Kennedy, che l’ha definita «moribonda»: «Il nostro ritiro sia una sveglia», ha dichiarato Kennedy in un durissimo videomessaggio che gli Stati Uniti hanno chiesto fosse trasmesso ai delegati proprio durante l’Assemblea.
Per finire, le procedure: l’Assemblea deve ancora adottare il famigerato allegato «Pabs» (Pathogen Access and Benefit-Sharing), che prevede la condivisione di informazioni sugli agenti patogeni con potenziale pandemico, e relativi trattamenti (vaccini e terapie). Una porta aperta alla cosiddetta, pericolosa ricerca «gain of function», che ha reso possibile la fuoriuscita del virus Sars Cov-2 dal laboratorio di Wuhan, per capire. Sarà soltanto dopo l’approvazione di questo allegato, che il Trattato sarà aperto alla firma e alla ratifica. Dopo 60 ratifiche, entrerà in vigore.
Se non fosse stato per i Verdi, Ursula von der Leyen non sarebbe stata rieletta alla presidenza della Commissione europea. E ciò indica già dove intende andare a parare, almeno sulla carta, il nuovo esecutivo Ue: su quel Green deal nei confronti del quale, come ha annunciato la stessa neoeletta nel discorso che ha preceduto il voto, «manterremo la rotta», alzando ancora di più l’asticella rispetto alla precedente legislatura. «L’obiettivo di tagliare le emissioni del 90 per cento (sic!) entro il 2040 sarà scritto nella nostra legge Ue sul clima», ha dichiarato Von der Leyen. Per il resto, la votazione è andata come più o meno ci si aspettava, fatta eccezione per la sorpresa del voto contrario di Fratelli d’Italia, dato fino a ieri come orientato verso l’astensione: sono 401 (su 707 votanti presenti) i voti conquistati da Ursula, 284 i voti contrari, 15 le astensioni e 7 le schede bianche o nulle. Non tutti i gruppi che avevano annunciato di supportarla - 188 popolari, 136 socialisti, 77 deputati di Renew e 53 verdi - hanno votato compatti: Von der Leyen non è stata acclamata da una maggioranza bulgara, insomma, ma ha comunque conquistato più voti rispetto al 2019, quando raggiunse lo scranno più alto del Berlaymont con sole 383 preferenze e nonostante 75 franchi tiratori.
Ieri, i franchi tiratori sono stati 53. Secondo fonti parlamentari, il gruppo socialista ha votato compatto, le defezioni sarebbero arrivate dal gruppo dei liberali di Renew (delegazione tedesca), dal Ppe (delegazioni slovena, croata e francese) ma anche dagli stessi Verdi (delegazione francese) che tuttavia hanno salvato la rielezione della presidente. Ironia della sorte, è stato proprio per iniziativa dei Verdi della precedente legislatura che l’altro ieri la vecchia Commissione Von der Leyen è stata condannata dalla Corte di giustizia Ue per le irregolarità commesse nei negoziati con Pfizer per l’acquisto dei vaccini anti Covid. A questo proposito ieri a Strasburgo i 46 eurodeputati del gruppo Left (Sinistra) hanno presentato una mozione per bocciare Von der Leyen e rimandare il voto a settembre, ma non ha avuto alcun esito.
Al netto delle confuse procedure di voto, è dal discorso pronunciato in Aula dalla presidente che si può già intravedere quale sarà la cifra del futuro esecutivo Ue: il caos. Il programma, se formalmente si presenta «ambizioso» - come la pelosa solennità oratoria europea insegna - in realtà è un guazzabuglio di fumose proposte l’una agli antipodi dell’altra, volte ad arraffare più voti possibili da qualsiasi parte dell’emiciclo. Com’è possibile, ad esempio, sostenere nello stesso discorso un forte appoggio alle politiche soi-disant verdi (sostenute formalmente anche da partiti come Forza Italia) e, poche righe dopo, annunciare nientemeno che l’istituzione di un «Commissario alle politiche alloggiative» («Commissioner for housing») che dovrebbe risolvere i problemi di chi non si può permettere di tenerla, la casa, proprio perché deve adempiere alle politiche verdi di cui sopra?
Il resto del programma di Von der Leyen sembra un gioco a incastro realizzato dagli algoritmi dell’intelligenza artificiale da un lato e il bilancino del metodo d’Hondt (il manuale Cencelli in salsa europea) dall’altro. Grande risalto ha avuto, ad esempio, la proposta di spingere a fondo sulla difesa comune europea, tanto voluta dalla Francia di Emmanuel Macron (non a caso Von der Leyen ha pronunciato questa parte del discorso in francese): «Il nostro lavoro nei prossimi cinque anni si concentrerà sulla costruzione di una vera Unione europea della Difesa. Gli Stati membri - ha rassicurato la neoeletta - manterranno sempre la responsabilità delle proprie truppe, dalla dottrina allo schieramento, ma l’Europa può fare molto per rafforzare la base industriale della difesa. Nominerò un commissario per la Difesa - ha quindi annunciato - che lavorerà a stretto contatto con il prossimo Alto Rappresentante, in conformità con i Trattati».
A proposito di Trattati, Von der Leyen ha promesso di volerli «cambiare per migliorare l’Europa»: un balzo in avanti verso lo smantellamento della vecchia Ue, per fare spazio a quella «Confederazione europea», evocata già due anni fa da Enrico Letta e Macron in nome di una «Europa più grande dell’Unione europea». Per annacquarla ulteriormente, azzoppando le sovranità nazionali, Von der Leyen vi sta trascinando dentro anche i nove Paesi candidati all’adesione (Albania, Macedonia del Nord, Serbia, Montenegro, Bosnia Erzegovina e Kosovo ma anche Georgia e Moldavia, oltre naturalmente all’Ucraina), perché «completare la nostra Unione è nel nostro interesse […], un’Unione più grande è un’Unione più forte». Certo, c’è quel piccolo dettaglio del voto all’unanimità che, in una confederazione di 36 Stati, bloccherebbe qualsiasi processo decisionale. E infatti l’obiettivo dichiarato di donna Ursula è di rimuoverlo perché, come già disse nel 2022, «non è più adatto alla realtà»: un colpo per tutte le forze sovraniste presenti nel Parlamento europeo, lusingate pochi minuti dopo dall’annuncio dell’istituzione di un commissario europeo al Mediterraneo che vegli sull’immigrazione irregolare.
Un colpo al cerchio e un altro alla botte anche agli agricoltori europei, da cinque anni vessati dalle politiche «verdi» dell’Unione, blanditi ieri con la promessa (espressa in lingua tedesca, una strizzata d’occhio ai farmers teutonici) di «avere il giusto guadagno: nessuno dovrebbe essere costretto a vendere prodotti di alta qualità a costi di produzione inferiori». Tutto molto bello ma ben poco conciliabile con le politiche del Green deal; e infatti - ha precisato poco dopo Von der Leyen - sarà «adeguatamente ricompensato» soltanto chi utilizzerà «metodi sostenibili per proteggere l’ambiente e gli ecosistemi».
Non poteva mancare il capitolo «disinformazione». Non paga della stretta censoria attuata con l’approvazione del Digital services act (Dsa), la neo eletta presidente della Commissione Ue ha annunciato la creazione dello «Scudo della democrazia europea» («European democracy shield») che «supporterà il giornalismo indipendente» (la carota), minacciando però la sospensione dei fondi (il bastone) a chi non rispetterà la legge. Il metodo insomma è sempre lo stesso, se non peggio: propositi irrealizzabili e inconciliabili, bastone e carota e, sullo sfondo, la censura. Con buona pace di quell’Europa della pace, della democrazia e della libertà sognata dai padri fondatori.




