2019-10-26
Il Papa si scusa per gli idoli rubati. Müller: «Errore portarli in chiesa»
Bergoglio chiede perdono agli indios per le statuette nel Tevere. Tocca a Pietro Parolin decidere se domenica saranno in San Pietro. Ma il cardinale tedesco si smarca: «Grave mescolarle con la liturgia cristiana».Oggi i padri sinodali mettono ai voti il documento finale e domani il mese di assemblea per l'Amazzonia trascorso in Vaticano chiude i battenti. È stato un lungo mese di dibattiti e discussioni che, al netto delle questioni sociali ed ecologiche, su cui si riflettono anche interessi politici, si è concentrato sulle nuove forme di evangelizzazione di quelle terre e degli indigeni che le abitano. Con l'intermezzo delle statue in legno paganeggianti, ribattezzate da molti Pachamama, buttate nelle acque del Tevere per opera di mano ignota che le ha prelevate all'alba del 21 ottobre dalla chiesa di Santa Maria in Transpontina.La vicenda delle statue di legno non identificate, che erano entrate in scena il 4 ottobre nei giardini vaticani alla presenza del Papa, in un rituale anch'esso non precisamente identificato, avevano poi accompagnato i primi giorni di Sinodo fino a trovare dimora stabile nella chiesa in Traspontina. Fino al 21 ottobre all'alba quando ignoti si sono introdotti in chiesa e le hanno poi gettate nel Tevere come liberatori di una possibile idolatria sacrilega. Ma secondo quanto riportato ieri sera dall'agenzia francese Imedia e dal blog spagnolo Infovaticana (che cita una fonte interna all'aula sinodale) papa Francesco nella preghiera del pomeriggio ha detto ai padri sinodali che «come vescovo di questa diocesi (Roma, ndr), mi scuso con coloro che sono stati offesi» da questo atto. Il Papa ha poi bizzarramente riferito della proposta, avanzata a quanto pare dal comandante dei carabinieri capitolini, di esporre le statue «durante la santa messa di chiusura del Sinodo». «Si vedrà», dice Bergoglio: «Io delego il segretario di Stato che risponda a questo». E il problema passa nelle mani diplomatiche di Pietro Parolin, che sicuramente non vedeva l'ora.Quello delle cosiddette Pachamama assume così i contorni delle migliori soap opera sudamericane a lieto fine, dopo il dramma. Prima avevano sollevato lamentele di molti fedeli che sostenevano si trattasse di idoli pagani. Poi di fronte alle domande di alcuni giornalisti il prefetto del dicastero della comunicazione, Paolo Ruffini, le aveva derubricate alla voce «simboli di vita», quindi dopo il già citato tuffo per mano ignota, il direttore editoriale vaticano Andrea Tornielli le aveva, invece, elevate a simboli sacri definendo iconoclasti gli autori del «ratto delle Pachamame». Il direttore della Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, aveva addirittura scomodato l'Isis per definire il gesto. Nel finale ecco le scuse del Papa e, pare, il loro ritorno a effetto, se fosse davvero confermata la loro presenza alla messa di chiusura del Sinodo.Il cardinale Gerhard Müller l'altra sera aveva dichiarato all'emittente cattolica statunitense Ewtn che «il grande errore è stato quello di portare gli idoli nella Chiesa», non quello di «portarli fuori, perché secondo la legge di Dio stesso, il primo comandamento, l'idolatria è un peccato grave e non (bisogna) mescolarli con la liturgia cristiana». Lo stesso cardinale, prefetto emerito della Congregazione per la dottrina della fede, aveva già espresso il suo rammarico riguardo al fatto che «nemmeno i vescovi si rendano conto quando è stato superato il confine con il vecchio paganesimo». È «l'adorazione di Dio», ha detto ancora Müller, che «è la vera teologia della liberazione dalla paura, dallo spavento e dall'insicurezza che ci vengono dal mondo materiale e dai nostri simili. E solo con l'aiuto del Vangelo e della grazia di Cristo una cultura può sviluppare la sua influenza positiva ed essere liberata dal potere del male». Su questa linea anche una dichiarazione del cardinale Kurt Koch, presidente del pontificio Consiglio per l'unità dei cristiani, che parlando di inculturazione ha detto che occorre tenere insieme «due cose», l'inculturazione appunto, e dall'altra anche «la purificazione della cultura, perché non tutte le cose in altre culture sono buone».Per quanto riguarda il documento finale che sarà votato oggi, nel concreto resta da capire cosa si deciderà sulla possibile ordinazione dei cosiddetti viri probati, uomini sposati che potrebbero diventare preti; sui possibili nuovi «ministeri» per le donne; e sulla inculturazione dei riti cattolici negli usi e costumi indigeni. Diversi elementi fanno ritenere che grandi rivoluzioni non sono all'orizzonte, almeno immediatamente e in modo diretto. Il cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna, voluto da Francesco nel gruppo che materialmente si occupa di scrivere il testo finale, ha fatto intendere in un briefing con la stampa che si potrebbe optare per una soluzione di valorizzazione dei diaconi permanenti, uomini anche sposati che possono predicare, amministrare il battesimo, assistere matrimoni, presiedere funerali e distribuire l'Eucaristia. Ma non saranno mai preti. Tuttavia, ci sono ottime possibilità che la soluzione dei viri probati ottenga la maggioranza, nonostante una certa resistenza manifestata in aula. Sulla questione del ruolo delle donne pare, invece, che si vada lontano da certi desideri: no all'ordinazione delle diaconesse, peraltro una commissione vaticana indetta dal Papa in questi anni si era già arenata sul tema, men che meno si arriverà alle donne prete. Non è escluso che si possano indicare possibili ministeri femminili non ordinati, o si possa insistere sulla necessità di studiare ancora l'ordinazione di donne diacono. Sul cosiddetto «rito amazzonico», caldeggiato da diversi padri sinodali, è probabile che se ne farà menzione all'interno del documento nell'ambito della inculturazione del Vangelo, anche se ci sono diverse perplessità su un rito che poi dovrebbe essere creato a tavolino e che potrebbe mettere in discussione aspetti idolatrici. Il dibattito insomma è acceso, ma il documento finale si collocherà con ogni probabilità nella traccia metodologica indicata da Francesco nel doppio sinodo sulla famiglia tenuto nel 2014 e 2015, quello poi sfociato nell'esortazione Amoris laetitia con tutti i dubia che ha sollevato. Si tratta di dare delle indicazioni generali, magari valide solo per una certa realtà, e poi recuperare questi semi per farli crescere altrove a seconda delle esigenze delle chiese locali. Occorre «avviare processi», dice sempre Francesco.
Jose Mourinho (Getty Images)