2020-11-07
Il papà del combattente islamico: «Siamo vittime, non terroristi»
Parla il genitore di Giuliano Ibrahim, italiano convertito morto in battaglia in Siria nel 2013. «Non abbiamo nulla a che fare con stragi e attentati. Perché mai dovremmo dissociarci?»Carlo Delnevo è nato a Borgo Val di Taro, in provincia di Parma, nel 1952, ma vive a Genova. In quella città è cresciuto suo figlio Giuliano (nato il 18 febbraio 1989), che nel 2008 è «ritornato» all'islam prendendo il nome di Ibrahim e qualche tempo dopo è partito per andare a combattere in Siria, dove è morto nel 2013. Giuliano Delnevo era stato indagato, proprio a Genova, per reclutamento a fini di terrorismo assieme a un altro italiano e alcuni maghrebini. Carlo, qualche anno fa, ha deciso di raccontare la storia del suo ragazzo in un libro intitolato Il figlio musulmano. All'epoca alcune sue dichiarazioni finirono sui giorni alimentando un'infuocata polemica. «Mio figlio è morto da eroe, per salvare un amico», disse Delnevo. «Parlarne come di un terrorista è sbagliato, semmai era un cavaliere medievale». In seguito, Delnevo ha scelto di non parlare con i giornali. Da qualche tempo si è messo a scrivere editoriali piuttosto diretti per il quotidiano online islamico La Luce, creato da Davide Piccardo. Nel suo ultimo articolo, Delnevo ha parlato anche degli attentati in Francia e in Austria. E ha accettato di confrontarsi con La Verità. Lei pensa che i musulmani, in Europa, siano vittime di discriminazioni? «Senza voler fare del vittimismo, i musulmani sono spesso vittime di discriminazioni in Italia e altrove. Nessun gruppo religioso incontra le difficoltà che incontrano i musulmani. Nessuno nega ai testimoni di Geova, ad esempio, un locale in affitto per aprire una Sala del Regno; per noi spesso non è facile trovare un posto dove aprire una sala di preghiera, e se il locale ci viene affittato dobbiamo poi fare i conti con chi ci nega il diritto a utilizzarlo col pretesto della norma sulla destinazione d'uso. Siamo quasi sempre costretti a praticare la nostra fede in luoghi inadeguati. In Italia moschee degne di questo nome si contano sulla punta delle dita. Una moschea, una sala di preghiera islamica sono tutt'altro che un problema per il quartiere che le ospita. Per esempio, in via Pré a Genova la piccola moschea tiene lontano spacciatori e prostituzione. Poi le donne musulmane hanno spesso problemi a farsi accettare e a trovare un impiego per via del velo. Questo non solo in Italia, ma anche altrove. E la Costituzione italiana garantisce a tutti il diritto di culto». Sulla Luce lei ha scritto che i musulmani non devono «dissociarsi» dagli attacchi terroristici. Per quale motivo? «Negli anni del terrorismo in Italia molti terroristi si dissociarono. Persone che avevano partecipato ai misfatti del terrorismo, grazie a Dio, un bel giorno dissero che si pentivano e che abbandonavano i gruppi armati. Si dissocia chi ha in precedenza partecipato, chi è stato complice. Io non mi sono mai associato ad una aggressione, a un attentato; sono un uomo pacifico e come me è assolutamente pacifico il 99,99% dei musulmani: non abbiamo nulla a che fare con stragi e attentati, perché ce ne dovremmo dissociare? Forse che ai cristiani è stato chiesto di dissociarsi dalle imprese di un Breivik o da chi in Nuova Zelanda ha fatto una strage di musulmani? O ai buddisti viene chiesto di dissociarsi da chi massacra musulmani Rohingya in Myanmar?». Capisco il suo discorso sulla dissociazione. Però ci sono due questioni. In Europa gli attentati commessi in nome dell'islam sono molto più numerosi di quelli commessi per altre ragioni. E dai vari Breivik in realtà tutti prendono subito le distanze...«Il fatto che questi attentati vengano compiuti in nome dell'islam - quando poi è realmente così - non significa che chi se ne rende protagonista faccia queste azioni in accordo con la nostra fede. Nel Corano è scritto che chi uccide un innocente è come se avesse ucciso l'intera umanità. Noi rifiutiamo queste azioni così come un cristiano può rifiutare le imprese di un Breivik, non ci vedo differenze».Secondo lei gli attacchi in Francia e in Austria sono figli di qualche forma di strategia della tensione? O sono comunque organizzati da qualcuno per colpire i musulmani? «Non mi piace la dietrologia, ma certamente, al di là delle convinzioni soggettive di chi si rende protagonista di questi orrori, stragi e attentati sembrano fatti apposta per mettere noi musulmani in grande difficoltà, per metterci sulla difensiva. Non so se la regia di tutto questo deve essere cercata in un servizio segreto o se invece chi fa questo, lo fa “in buona fede". Sicuramente le prime vittime di queste azioni siamo noi».Lei dice che i musulmani sono le prime vittime. Però voi non dovete temere di andare in moschea. Mentre ebrei e cristiani qualche motivo per aver paura quando entrano nei loro luoghi di culto ce l'hanno... E forse le prime vittime sono i morti, non crede?«I musulmani sono vittime sul piano sociale, politico e umano, e anche materiale, visto che nei vari attentati in Francia si sono contati molti morti di fede islamica».Non pensa che i jihadisti che colpiscono in Europa facciano in qualche modo parte di un album di famiglia islamico, se possiamo usare questa definizione? «Possono fare parte dell'album di famiglia islamico come il reverendo Jones, quello della strage in Guyana, faceva parte dell'album di famiglia cristiano. Uccidere civili innocenti nulla ha a che vedere con la pratica e la dottrina islamica». Lei crede che a Charlie Hebdo dovrebbe essere impedito di pubblicare vignette sul Profeta? «Offendere i sentimenti più cari di milioni di esseri umani, siano essi musulmani, ebrei, cristiani eccettera non dovrebbe essere un diritto. In Italia fino a non molto tempo fa la bestemmia era reato. Non esiste un diritto a offendere, questo è un diritto che in nome della laicità si sono inventati in Francia. Ovviamente chi offende e insulta il prossimo andrebbe perseguito legalmente, non scannato per strada».Tuttavia la satira fa parte della tradizione occidentale non da oggi, ma fin dall'antichità. «La satira è una cosa, il dileggio dei sentimenti religiosi e la bestemmia sono un'altra cosa. Da bambino mi dicevano, scherza coi fanti, ma lascia stare i santi».Come mai secondo lei nessun vignettista viene mai ucciso per vignette contro il Papa? «Ci sono condizioni storiche e sociali non paragonabili. nessuno uccide un vignettista perché ha dileggiato il Papa perché il mondo cristiano vive una condizione molto diversa; ma nessuno può escludere a priori che un giorno una cosa del genere possa accadere. Basterebbe trovare un esaltato o qualcuno interessato ad una provocazione anticristiana. Al momento incendiare il mondo in nome dell'islam è molto più redditizio».Il giornale per cui lei scrive ha invitato i musulmani ad andare in piazza per manifestare contro la Francia. In quelle piazze nessuno ha espresso sdegno per le vittime innocenti dei jihadisti. Nessuno ha detto mezza parola contro la violenza dell'Isis. Però si sono sentite parole durissime contro una popolazione che era appena stata vittima di attentati. Davvero è così difficile ammettere che questo atteggiamento è un po' ambiguo?«Ripeto un po' quello che ho detto all'inizio. Gli attentati terroristici, anche e soprattutto se commessi in nome dell'islam, li condanniamo e li abbiamo sempre condannati. La stragrande maggioranza dei musulmani, per non dire la totalità, non ha nessuna indulgenza nei confronti del terrorismo. E in Francia i musulmani lottano per dei diritti che troppo spesso sono calpestati. Continuare a chiederci di condannare quello che abbiamo sempre condannato non ha molto senso, se non per provocare. Che nessuno abbia mai detto mezza parola contro le violenze dell'Isis o sdegno per le vittime dei “jihadisti" lo dice Lei. Questa stessa mia intervista prova il contrario». Nelle piazze dei giorni passati di prese di distanza se ne sono sentite ben poche, glielo assicuro. In ogni caso, nemmeno io approvo gli eccessi laicisti, anzi. Tuttavia la libertà di espressione è un valore fondamentale. Di cui beneficiano anche i musulmani, qui in Europa. Lei dice che siete discriminati. Ma non mi risulta che negli Stati a maggioranza musulmana ai cristiani sia permesso manifestare in strada contro il razzismo.«Sono d'accordo, la libertà di espressione è un valore fondamentale da tutti noi musulmani molto apprezzato. In Europa tutti godono di questo diritto. La discriminazione nei nostri confronti, come ho già detto, non ci colpisce nel nostro diritto di esprimerci, ma qui in Italia, nonostante la Costituzione dica tutt'altro, piuttosto nel nostro diritto di pregare in luoghi consoni, diritto che spesso di fatto ci viene negato, e forse converrà, non è una cosa di poco conto. Nei paesi a maggioranza musulmana, che un po' conosco per aver a lungo soggiornato in paesi come Nigeria, Algeria, Libia e Marocco, ai cristiani questo diritto non viene assolutamente negato. Ci sono ovunque chiese molto ampie, spesso molto più ampie di quanta gente di fatto contengano, dove i cristiani possono andare a pregare e partecipare alla messa senza essere minimamente disturbati; l'Arabia Saudita fa eccezione, perché è un territorio dove risiede la Kaaba, un po' come se in vaticano si volesse costruire una moschea. Tuttavia credo che anche lì le cose in questo senso stiano cambiando, e personalmente ne sarei felice. Se parliamo di diritti democratici, come quello di riunirsi, di manifestare, e di esprimere la propria opinione, purtroppo questi diritti sono spesso conculcati per tutti: per i cristiani, come per i musulmani. Si pensi ad esempio a paesi come l'Egitto, e l'Arabia Saudita, per non parlare di paesi che stanno vivendo la tragedia della guerra come la Siria, la Libia, lo Yemen. Come musulmano europeo auspico che i diritti umani fondamentali siano rispettati ovunque nel mondo e siano riconosciuti a tutti indipendentemente dal credo religioso».Le chiedo di essere sincero. Realmente pensa che nemmeno una parte dei musulmani abbia un problema con la violenza e il terrorismo? «In società come quella europea chi si mette a mettere bombe e ad accoltellare i passanti, indipendentemente dalle sue convinzioni soggettive, fa qualcosa che con l'islam non c'entra nulla. Nel mondo però ci sono situazioni in cui a volte la lotta armata può essere l'unica forma di lotta praticabile, ma allora il discorso cambia. In ogni caso la violenza contro gli innocenti non è mai accettabile, anche se il terrore contro gli inermi non è prerogativa solo dell'Isis, basti pensare ai bombardamenti indiscriminati contro le popolazioni civili che anche noi occidentali abbiamo tanto spesso praticato».Lei può dirmi: gli assassini non sono musulmani. Ma chi lo stabilisce? Quale autorità politica o religiosa? È pieno di imam che giustificano Al Qaeda o Isis. Nessuno di loro è musulmano?«Chi è musulmano e chi no non lo stabilisce nessuno; la dichiarazione di fede, la shahada, è rivolta a Dio, nessun'altra autorità interviene in questo. Io non posso dire chi è musulmano e chi no. Nessuno, ripeto, lo può dire. Posso però giudicare le azioni e certe azioni sicuramente non appartengono all'islam, non sono islamiche».Mi permetto di farle una domanda su suo figlio, morto combattendo in Siria. Lei crede che sia morto da eroe per una giusta causa?«Mio figlio andò in Siria a fine novembre 2012, si aggregò a una brigata di combattenti in gran parte ceceni. L'Isis sarebbe nato, se non erro, a fine aprile 2013, una parte della sua brigata vi aderì, altri no. Giuliano cade in combattimento contro forze preponderanti di assadisti e Hezbollah il 12 giugno di quell'anno. Lo Stato islamico sarebbe sorto un anno dopo. Mio figlio, come capita spesso ai giovani, era attratto da ideali forti, ma associarlo agli orrori a cui purtroppo in seguito il cosiddetto Stato islamico ci ha abituato sarebbe una mascalzonata che la sua memoria certo non merita. Andò in Siria spinto dal desiderio di combattere un tiranno e per difendere un popolo che Assad stava massacrando. La strage di Hula, ho scoperto poi, fu l'episodio che lo spinse a partire».Non mi ha risposto del tutto. Lei pensa che suo figlio debba essere un esempio per altri, musulmani o non musulmani? «Per la sua generosità, il suo idealismo e il suo coraggio, senza alcun dubbio. Ovviamente avrei preferito che fosse stato, come dire, un po' meno eroe, e averlo ancora qui con me. Solo chi ha perso un figlio può capirmi fino in fondo».
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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