2023-05-01
Il Papa da Orbán chiede «più culle»
Termina la visita in Ungheria. I media, che avevano silenziato le parole anti gender, si ridestano per l’invito ad «aprire le porte». Ma il Pontefice vuole anche più figli.«Il futuro è di pace non di guerra. Di culle non di tombe». Per la seconda volta nel suo pontificato, Francesco ha visitato l’Ungheria, quarantunesimo viaggio apostolico, il primo dopo il ricovero all’ospedale Gemelli di Roma a fine marzo. Doveva essere, come aveva confidato il Papa prima della partenza, l’occasione «per riabbracciare una Chiesa e un popolo tanto cari» ma anche «un viaggio al centro dell’Europa, sulla quale continuano ad abbattersi gelidi venti di guerra, mentre gli spostamenti di tante persone pongono all’ordine del giorno questioni umanitarie urgenti». Ed è forse per questo che Bergoglio ha usato parole «pesanti» per affrontare temi importanti, aborto, nazionalismi, migranti e guerra in Ucraina, davanti agli ungheresi ma soprattutto davanti al primo ministro magiaro Viktor Orbán e alla presidente della Repubblica, Katalin Novak, ma anche il metropolita ortodosso Hilarion, l’ex numero due del Patriarcato di Mosca «esiliato» in Ungheria, insieme ai quali ieri ha rivolto la sua supplica alla Madonna. «A lei, Magna Domina Hungarorum, che invocate come Regina e Patrona, affido tutti gli ungheresi. E da questa grande città e da questo nobile Paese vorrei riporre nel suo cuore la fede e il futuro dell’intero Continente europeo, a cui ho pensato in questi giorni, e in modo particolare la causa della pace». Così papa Francesco, introducendo il Regina Coeli nella piazza Kossuth Lajos di Budapest, al termine della messa nell’ultimo giorno in Ungheria, ha detto: «Santa Vergine, guarda ai popoli che più soffrono. Guarda soprattutto al vicino martoriato popolo ucraino e al popolo russo, a te consacrati. Tu sei la Regina della pace, infondi nei cuori degli uomini e dei responsabili delle nazioni il desiderio di costruire la pace, di dare alle giovani generazioni un futuro di speranza, non di guerra; un avvenire pieno di culle, non di tombe; un mondo di fratelli, non di muri», è stata l’esortazione del Pontefice. «È triste e fa male vedere porte chiuse: le porte chiuse del nostro egoismo verso chi ci cammina accanto ogni giorno; le porte chiuse del nostro individualismo in una società che rischia di atrofizzarsi nella solitudine; le porte chiuse della nostra indifferenza nei confronti di chi è nella sofferenza e nella povertà; le porte chiuse verso chi è straniero, diverso, migrante, povero. E perfino le porte chiuse delle nostre comunità ecclesiali: chiuse tra di noi, chiuse verso il mondo, chiuse verso chi “non è in regola”, chiuse verso chi anela al perdono di Dio». Parole sull’immigrazione che secondo la sinistra europeista sono un attacco al sovranista Orbán, ma che chiariscono cosa pensa Bergoglio dei migranti: stranieri che devono essere aiutati ed accolti ma che non sono loro che devono riempire le culle che l’Occidente lascia vuote. Le parole contro i muri e le porte aperte sono state molto più apprezzate a sinistra di quelle praticamente «censurate» di due giorni fa sui «principi non negoziabili». Il Papa ha tracciato un modello diverso sia da quello di Orbán che da quello dell’Ue, e cioè «un’Europa che non sia ostaggio delle parti, diventando preda di populismi autoreferenziali, ma che nemmeno si trasformi in una realtà fluida, se non gassosa, in una sorta di sovranazionalismo astratto, dimentico della vita dei popoli». Insistendo su questo punto, Francesco ha detto che questa è la «via nefasta delle colonizzazioni ideologiche, che eliminano le differenze, come nel caso della cosiddetta cultura gender, o antepongono alla realtà della vita concetti riduttivi di libertà, ad esempio vantando come conquista un insensato diritto all’aborto che è sempre una tragica sconfitta». Dei «no» forti e decisi dunque contro l’interruzione di gravidanza, le culle vuote e la cultura gender, no lanciati «da questo nobile Paese, dove vorrei riporre nel suo cuore la fede e il futuro dell’intero continente europeo, a cui ho pensato in questi giorni, e in modo particolare la causa della pace». Ieri sera il Papa è rientrato a Roma.
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Eugenia Roccella (Getty Images)