2020-10-13
Il Papa accoglie Pell dopo il calvario. «Grazie per la sua testimonianza»
Il cardinale australiano, che ha passato 400 giorni in galera per false accuse di pedofilia, viene finalmente ricevuto da Bergoglio. Resta da chiarire chi inviò i soldi ai suoi accusatori e il ruolo di Angelo Becciu nella vicenda.«Grazie per la sua testimonianza». Così papa Francesco ha accolto ieri nella Biblioteca apostolica il cardinale australiano George Pell, 79 anni, già super segretario del dicastero vaticano per l'economia, tornato a Roma lo scorso 30 settembre dopo tre anni di assenza. In queste cinque parole del Pontefice si consuma, per così dire, la rivincita del porporato, anche se è ben difficile pensare che Pell coltivi sentimenti di questo tipo. «Piacere di vederla», ha detto ieri Francesco. «Grazie, Santo Padre», ha risposto il cardinale.Era andato in Australia nel 2017 per difendersi da accuse di abusi che risalivano a quando lui era vescovo di Melbourne nel 1996, subendo poi una duplice condanna, fino all'aprile scorso, quando una sentenza unanime dell'Alta corte ha fatto giustizia rimettendo in libertà il cardinale dopo oltre 400 giorni di galera. La Santa Sede, presa dalla bufera dello scandalo abusi, culminato con lo sporco affare dell'ex cardinale ed ex prete Theodore McCarrick, aveva lasciato Pell al suo destino limitandosi a comunicati che confidavano nella buona azione del braccio secolare. Un po' poco per chi sapeva che il cardinale stava subendo un linciaggio mediatico e giudiziario di una violenza inusuale, e ancor meno se consideriamo che molti tra i sacri palazzi dicevano a denti stretti che il cardinale «era stato incastrato».«Grazie per la sua testimonianza», si è sentito dire ieri il «ranger» da Francesco. «Ranger», così lo chiamavano in Curia da quanto nel 2014 il Papa lo aveva nominato per fare pulizia tra i forzieri vaticani rimettendo ordine. Non era troppo amato Pell nel suo ruolo di super segretario, i suoi modi anglosassoni urtavano le felpate dialettiche e soprattutto pestavano qualche sacra pantofola ben acquartierata.Nella tempesta che ha portato al defenestramento del cardinale Angelo Becciu, il pastore sardo che all'epoca dei fatti su cui si indaga era numero due della segreteria di Stato, c'è spazio per rovesciare una intera stagione ecclesiale. Le accuse rivolte a Becciu sono molteplici, malversazioni e «opacità» nella gestione dei fondi a sua disposizione, fra cui anche quella che riguarda un bonifico di 700.000 euro finiti in Australia e che, secondo alcune ricostruzioni, sarebbe servito proprio a orientare il processo contro Pell. Tra i due vi era certamente una cordiale antipatia, lo stesso Becciu, che si dichiara assolutamente estraneo alle accuse, ha raccontato di come il «ranger», davanti a Francesco, gli abbia dato del «disonesto» e come poi Francesco abbia dato ragione all'italiano. Ma proprio Pell, dopo la notizia del defenestramento di Becciu, ha diramato un comunicato senza troppi giri di parole: «Spero che continui la pulizia sia in Vaticano che a Victoria». E Robert Ritcher, il legale di Pell, ha chiesto «un indagine internazionale» per seguire i vari passaggi di quel denaro arrivato in Australia. «Follow the money», dicono ripetutamente ambienti legati al cardinale per gettare luce su quella famosa frase risuonata più volte e cioè che la guerra a Pell «aveva cannoni australiani, ma munizioni romane».È impossibile pensare che il discorso ieri non sia caduto sui fatti recenti, nonostante il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, alla notizia che Pell stava tornando a Roma si fosse affrettato a far sapere che non c'era «nessuna coincidenza» tra il defenestramento di Becciu e il ritorno del «ranger». Solo affari personali di Pell, beghe condominiali o poco più, secondo Parolin. Eppure, lo stesso segretario di Stato sa che la chiacchierata del porporato australiano con Francesco potrebbe aver chiamato in causa anche lui, insieme a Becciu e ad altri pezzi da novanta della Curia di oggi e di ieri (fino all'ex segretario di Stato Tarcisio Bertone?). In ogni modo, se anche si trattasse di «coincidenza» i signori prelati dovrebbero sapere che potrebbe essere «provvidenza». La «testimonianza» di Pell, infatti, è a tutto tondo: per come ha affrontato le ingiustizie australiane, sempre dichiarandosi innocente, ma rimettendosi «alla volontà di Dio», ma anche per come ha affrontato gli ostacoli romani e per cui il capitolo finale deve ancora essere scritto. Se qualcuno parla di «metodo Becciu», e sarà tutto da dimostrare ovviamente, è probabile che il cardinale Pell abbia molte cose da dire su un «metodo» più ampio e che non riguarda le sole eventuali responsabilità del pastore sardo.Peraltro, il Papa conosce bene la parresia del cardinale. La conoscono bene tutti, come quando il 16 ottobre 2014 nell'aula del burrascoso Sinodo sulla famiglia batté i pugni sul tavolino della poltroncina da cui stava seguendo i lavori per dire in faccia al segretario generale, il cardinale Lorenzo Baldisseri, che la novità di secretare gli interventi non gli piaceva affatto. Oppure quando il 5 ottobre 2015 andò dal Papa a presentargli la lettera firmata insieme ad altri 12 porporati per sollevare perplessità su metodo e forma del Sinodo. L'attività franca del cardinale etichettato come «conservatore», a cui perfino venivano attribuiti atteggiamenti «cospirativi» contro il Papa, non l'ha mai aiutato. Ma ieri il Papa si è trovato davanti un collaboratore inatteso, più leale di tanti fidatissimi.«Come è andata?», hanno chiesto a Pell i giornalisti dopo l'incontro con Francesco. «È andata molto bene! Molto molto bene», ha risposto il «ranger».