2020-08-03
Il padre della scienza con la passione per le arti esoteriche
Isaac Newton si dedicò per anni allo studio dell'alchimia ma i suoi successori ne cancellarono ogni aspetto «magico».Nel 1936 la casa d'aste Sotheby's mise in vendita un grosso baule pieno di scritti di Sir Isaac Newton (1642-1726). Che nessuno avesse voluto appropriarsene prima era sorprendente: dopo tutto si trattava dei documenti di uno dei più grandi uomini di scienza e di cultura di ogni tempo, anzi di quello che viene considerato il padre della scienza. Però, con quelle carte, pochi volevano avere a che fare. Come ricostruisce Michele Proclamato in Lo scienziato del tempio (Melchisedek), quei testi alla morte di Isaac erano finiti «all'amata nipote Catherine Barton, moglie di John Conduitt, che, subito dopo la morte dello zio cercò di “liberarsene" offrendoli alla Royal Society, la quale, non solo si rifiutò di acquistarli, ma raccomandò agli eredi di non mostrare mai ad anima viva quel lascito». Nel 1936, tuttavia, un uomo di ampie vedute decise di acquistare il malloppo. Stiamo parlando del grande economista John Maynard Keynes, che poi «li avrebbe donati alla Cambridge University Library, al King's e al Trinity College. I restanti documenti vennero acquisiti, invece, dall'arabista ebreo Abraham Shalom Yahuda, il quale, esule in America nel 1940, inutilmente in più occasioni, tentò di cederli alle università di Harvard, Yale e Princeton». Che cosa conteneva esattamente quel baule? È rivelatore, in proposito, ciò che disse lo stesso Keynes in una conferenza per il Trinity College: «Newton non fu il primo dell'età della ragione. Egli fu l'ultimo dei maghi, l'ultimo dei babilonesi e dei sumeri, l'ultima grande mente che indagò il mondo delle esperienze sensibili e intellettuali con gli stessi occhi di quegli uomini che presero ad intessere la nostra eredità intellettuale poco meno di 10.000 anni fa. Isaac Newton, nato già orfano di padre il giorno di Natale del 1642, fu l'ultimo bambino prodigio a cui i Magi potevano rendere un omaggio sincero e meritato». Sentir parlare di maghi e antichi sapienti a proposito di un genio che ha partorito le leggi sulla gravitazione e sul moto e che con i suoi insegnamenti ha di fatto edificato il mondo moderno può lasciare sconcertati. Eppure la maggioranza degli scritti di Newton consegnati alla posterità riguarda argomenti che - secondo la nostra concezione manichea della scienza completamente separata dalle faccende spirituali - non hanno nulla a che fare con la ricerca «seria». Si può dire che i primi a occultare gli scritti newtoniani «esoterici» furono proprio i seguaci più materialisti di Isaac, la cui impostazione influì pesantemente sulla successiva concezione della scienza come unica forma di approccio alla verità. Come ha dimostrato l'autorevole storica dell'Università della California Betty Jo Teeter Dobbs, «Isaac Newton studiò alchimia all'incirca dal 1668 fino al secondo o terzo decennio del XVII secolo. Esaminò a fondo la letteratura alchemica, prendendo copiosi appunti e persino trascrivendo interi trattati di sua mano. Infine ne redasse di suoi, fitti di riferimenti alle opere precedenti». Non si cimentò soltanto con l'alchimia, ma pure con la magia ermetica e, come tanti pensatori del suo tempo, con la teologia, che allora era considerata la prima e più importante disciplina con cui misurarsi. Non per niente Rob Iliffe, nella sua recente biografia edita in Italia da Hoepli, chiama Newton «il sacerdote della natura». Formalmente, Isaac era un fedelissimo adepto della chiesa d'Inghilterra. Il suo comportamento era degno d'un santo, e lui probabilmente si considerava tale, o per lo meno un eletto degno di godere della luce celeste. I suoi conoscenti, tra cui John Locke, lo celebravano come una divinità, ma non mancavano di notare quanto fosse permaloso e leggermente paranoico, convinto che gli altri fossero sempre pronti a parlar male di lui. Un atteggiamento che, forse, gli derivava proprio dalle teorie che coltivava in segreto e che, se fossero state scoperte, certo non gli avrebbero reso la vita facile. A metterlo a rischio non sarebbero state tanto le sue fughe nel laboratorio alchemico, che divennero a un certo punto la sua principale attività. Ma, più probabilmente, le posizioni assunte sul piano teologico. Egli, da buon anglicano, detestava i cattolici, ma non gradiva nemmeno i dogmi della sua chiesa, in primis quello della Trinità. Varcava decisamente il confine dell'eresia quando si trattava di commentare la figura di Gesù Cristo, che egli riteneva essere inferiore al Padre. Per anni studiò le credenze egizie, ed era convinto che proprio in Egitto Mosè avesse attinto alle fonti della «religione originaria», la conoscenza più antica e perenne. In uno scritto, ricorda Rob Iliffe, «sostenne che i templi antichi erano dei planetari sacri: i fuochi collocati al loro centro erano un'immagine del Sole e tutti i loro elementi architettonici rispecchiavano parti differenti dell'universo, esso stesso tempio di Dio». Isaac intendeva «lo studio della natura come un compito religioso», e tendeva a divinizzarla, la natura. Pensava che gli antichi sacerdoti fossero, in un certo senso, suoi predecessori: newtoniani ante litteram. Vari studiosi, negli anni, hanno cercato di sostenere che tale fervore spirituale non si riversasse poi nei testi matematici o comunque «scientifici». Ma come spiega la Dobbs (la cui opinione è sostenuta da una mole impressionante di studi) «il suo primo incontro con i principi attrattivi e attivi potrebbe essere avvenuto proprio durante gli studi alchemici». Ciò non significa che gli scritti sulla gravità siano direttamente figli di quelli da alchimista. Tuttavia il fatto di essere un «filosofo del fuoco» ha sicuramente spinto Newton a sviluppare certe idee in ambito scientifico. Va ricordato, per altro, che già gli scritti sulla gravitazione, per i suoi contemporanei, potevano apparire come una sorta di stregoneria. Gli scienziati dell'epoca erano convinti che le attrazioni «apparenti» fossero determinate da processi meccanici, ad esempio gli urti fra particelle invisibili presenti nell'etere. Concepire una forza del tutto diversa era, per lo meno, un enorme sforzo di immaginazione. Oppure, un risultato della conoscenza della magia ermetica, che postula l'esistenza di «corrispondenze» e «vincoli», di attrazioni fra i corpi. In ogni caso, resta che il progresso per come lo conosciamo oggi, ha spazzato via ogni questione «spirituale», e tende a ridurre l'uomo a una macchina poco efficienti. E c'è una disturbante ironia nel fatto che, a dare il via all'intero processo, sia stato proprio un alchimista.
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