2019-04-25
Il «pacifico» Macron invia truppe e carri armati ai confini della Russia
Veicoli da combattimento e 300 militari in Estonia. La manovra rientra formalmente nella missione Nato, ma in realtà l'Eliseo vuole colpire il Cremlino, ispiratore dei partiti sovranisti contrari all'establishment Ue.Emmanuel Macron sta mandando truppe a Est. Circa 300 militari, oltre a quattro carri armati e venti veicoli da combattimento di fanteria provenienti dalla Francia, sono stati inviati in Estonia. Le forze militari verranno stanziate nella base di Tapa, a soli 140 chilometri dal confine con la Russia. Da quanto si apprende, le truppe sarebbero costituite da componenti dell'esercito francese, oltre che da mercenari appartenenti alla Legione straniera: i soldati dovrebbero rimanere sul territorio fino alla fine di agosto. Si tratta di una manovra che rientra ufficialmente nella cornice della missione della Nato che ha l'obiettivo di consolidare la presenza militare occidentale nell'Europa orientale (in Polonia e nei Paesi baltici): una missione che nasce di fatto in risposta all'annessione della Crimea da parte della Russia, avvenuta nel 2014. Non si tratta d'altronde della prima volta che le forze francesi risultino presenti nel territorio estone: sono infatti già state di stanza a Tapa per dieci mesi durante il 2017, mentre l'anno scorso l'aviazione di Parigi ha pattugliato lo spazio aereo locale, sempre nel contesto della medesima missione atlantica. Quanto sta accadendo allarma non poco la Russia. Con la principale conseguenza di alimentare il clima da Guerra fredda che, ormai da alcuni anni, attraversa l'Europa, determinando un progressivo allontanamento di Mosca tanto da Bruxelles quanto da Washington. Ciononostante, al di là del consueto antagonismo che divide il Cremlino e l'Alleanza atlantica, queste manovre militari potrebbero implicare ulteriori aspetti di notevole interesse. Certo: Parigi sta formalmente agendo sotto l'egida della Nato e non bisogna caricare questa operazione di significati che non ha. Detto questo, non è comunque possibile ignorare la storica rivalità che caratterizza il complicatissimo rapporto tra Macron e il presidente russo, Vladimir Putin. Sicuramente tra i due ci sono stati, in questi anni, alcuni punti di convergenza: entrambi hanno difeso dalle minacce statunitensi l'accordo sul nucleare con l'Iran e Putin, qualche mese fa, si è detto d'accordo con la proposta di Macron di costituire un esercito europeo. Proposta che, nell'ottica russa, significherebbe un indebolimento della Nato e che - proprio per questo - si è attirata gli strali dell'establishment di Washington. Eppure, se in alcuni casi specifici i due presidenti hanno giocato di sponda in funzione antiamericana, è altrettanto indubbio che l'Eliseo e il Cremlino stiano sempre più rappresentando due poli di potere antagonisti. Gli esempi non mancano. Non solo il presidente francese ha sempre mantenuto una postura particolarmente aggressiva verso il presidente siriano Bashar al-Assad (storico alleato del Cremlino), ma ha anche accusato i russi di aver cercato di danneggiare la sua campagna elettorale a colpi di propaganda e bugie. Addirittura Macron parlò di attacchi hacker volti a colpire alcuni dei suoi principali consiglieri politici: accuse che Putin rispedì al mittente. Ecco: questa rivalità sta adesso riaccendendosi con l'avvicinarsi delle elezioni europee. Non è un mistero che Macron consideri il Cremlino l'ispiratore (se non addirittura il finanziatore) di quei partiti euroscettici e sovranisti che stanno cercando di colpire l'attuale establishment europeo. Quei partiti che, per intenderci, hanno come principale bersaglio il sempre più impopolare asse carolingio, recentemente ribadito dal Trattato di Aquisgrana dello scorso gennaio (nel più totale spregio del tanto decantato multilateralismo europeo). Non sarà forse un caso che Macron sia stato in passato particolarmente critico dell'annessione della Crimea da parte della Russia. Come non sarà forse un caso che, qualche giorno fa, il presidente francese abbia ricevuto a Parigi i due candidati alle presidenziali ucraine: Petro Poroshenko e Volodymyr Zelensky. Quasi a volersi garantire un interlocutore a prescindere dall'esito elettorale. Un interlocutore che permetta a Parigi di avere voce in capitolo nella questione della Crimea, consentendole di portare avanti una posizione tutt'altro che amichevole verso la Russia. Insomma, agli occhi di Macron il Cremlino rappresenta il polo cui si rifanno i suoi principali avversari nel contesto europeo. In una simile ottica, quella che formalmente è un'operazione della Nato, potrebbe in realtà assumere una connotazione smaccatamente politica. L'Eliseo potrebbe infatti non solo puntare a mettere sotto pressione il Cremlino ma anche - più subdolamente - a portare divisione in seno allo stesso Gruppo di Visegràd: un blocco che - se risulta tendenzialmente compatto nella sua critica a Bruxelles - è invece attraversato da differenze di vedute in tema di relazioni con la Russia. E proprio su queste differenze il presidente francese potrebbe cercare di far leva, nonostante le oggettive difficoltà di una tale strategia.Approfittando di un'operazione della Nato, Macron potrebbe quindi giocarsi una personale partita politica. Spregiudicata e non poco aggressiva. Una partita dal sapore nazionalista, che - più che al bene dell'Ue - sembra diretta a quello di Parigi e del suo stesso partito. Che cosa c'entri tutto questo con l'«umanesimo europeo» di cui il presidente poeticamente parla nel suo recente manifesto politico, resta comunque un mistero.
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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