2023-07-18
Il nuovo contratto impone alle scuole bagni neutri e identità alias dei prof
Nelle aule il mantra gender è sempre più forte: norme ad hoc per i docenti che non si riconoscono nel proprio corpo, mentre si moltiplicano i plessi che concedono agli studenti di scegliersi un nome alternativo.Deve essere partito un ordine dalla centrale, con ricchi premi e cotillon per chi, con scatto felino, riesca a piantare la bandierina prima che gli altri abbiano tempo e modo di capire cosa stia succedendo. Nelle scuole superiori italiane e non solo - anche nei conservatori di musica: dopo Bologna, è appena stata la volta di Sassari e altri seguiranno a ruota - arriva l’onda della «carriera alias», grazie alla buona volontà di una rete di attivisti arcobaleno che, capillarmente rappresentata nei vari istituti, sottopone il relativo regolamento (il cui modello è redatto dalla Rete Lenford, associazione di legali per i diritti Lgbti) alla approvazione degli organi collegiali. Questi ultimi, presi alla sprovvista, spesso e volentieri offrono senza indugio il proprio placet a ciò che viene presentato come «una scelta di civiltà», «un’esigenza di inclusione», «un’urgenza di verità», un doveroso tributo al «diritto a essere sé stessi». Una parte decisiva nella persuasione la gioca anche la suggestione del precedente: poiché molte scuole hanno già provveduto, appare ignominioso restare indietro (al Medioevo, naturalmente). Chi osa avanzare qualche riserva, quindi, passa automaticamente nel novero dei retrogradi oscurantisti, dei cinici e degli inumani. La più parte dei docenti e dei genitori ignora però cosa sia la «carriera alias». Ebbene, si tratta di questo: gli studenti che ne facciano domanda acquisiscono, attraverso una sorta di semplice autocertificazione, il diritto a essere chiamati da tutti, all’interno della struttura scolastica, con un nome diverso da quello attribuito alla nascita e non corrispondente al sesso di appartenenza, nonché di vedersi riconosciuta da tutti, sempre all’interno della struttura scolastica, l’identità parallela prescelta. L’identità elettiva sarà poi l’unica utilizzata dalla comunità scolastica, l’unica visibile nell’ambito dei servizi didattici e conferirà il diritto di utilizzare bagni e spogliatoi riservati al genere prescelto.E poiché alla elargizione di diritti non può non corrispondere una correlativa imposizione di doveri, nel modello di regolamento si legge che «in caso di inosservanze, chiunque ne faccia esperienza o ne abbia (direttamente o indirettamente) notizia, anche in ragione di eventuali rapporti fiduciari, informerà tempestivamente la dirigenza scolastica, affinché siano adottati gli opportuni provvedimenti…». Insomma, il pacchetto include un congruo sistema delatorio/inquisitorio/sanzionatorio, affidato alla piena discrezionalità del dirigente. Che così si metta in mano all’alunno furbacchione un’arma capace di mettere nei guai il docente o il compagno antipatici, è effetto collaterale evidentemente ritenuto accettabile, o che a nessuno viene in mente.La settimana scorsa è stato firmato il contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto istruzione, università e ricerca, dove è spuntata una disposizione (articolo 21) che prevede identità alias e bagni neutri per i docenti trans «al fine di tutelare il benessere psicofisico di lavoratori transgender, di creare un ambiente di lavoro inclusivo… eliminando situazioni di disagio per coloro che intendono modificare nome e identità». A conferma che l’onda di cui sopra è tutt’altro che immaginaria. E però, al netto di qualsiasi rilievo di ordine morale e razionale (si sprecherebbero i paradossi), in punto di diritto non si può non osservare come le amministrazioni riconoscano l’identità alias solo a precise condizioni, ovvero «al dipendente che ha intrapreso il percorso di transizione di genere di cui alla legge 164/1982 e ne faccia richiesta tramite la sottoscrizione di un accordo di riservatezza confidenziale». Ma, soprattutto, non si può non osservare che qui si ha a che fare con adulti.Ecco. Esistono genitori che si sono presi la briga di informarsi su ciò che sta accadendo, e il loro numero aumenta, anche alla luce di non rare esperienze traumatiche vissute dai loro figli. Le istituzioni scolastiche, il ministero, il governo tutto, hanno contezza del fatto che nelle scuole si stanno adottando normative speciali che investono l’identità personale di soggetti anche minori, a prescindere dal coinvolgimento di chi ne riveste la potestà genitoriale? Che questi regolamenti interferiscono con le norme anagrafiche, creando un regime in deroga limitatamente ai locali scolastici, in una sorta di bizzarra extraterritorialità?Visto il veloce dilagare del fenomeno, suscettibile di generare contenziosi all’interno delle scuole, sarebbe urgente fossero chiarite una volta per tutte, e a beneficio di tutti, alcune premesse fondamentali. Come ad esempio: quali siano i limiti della competenza per materia del Consiglio di istituto (organo «di indirizzo e di gestione degli aspetti economici e organizzativi generali della scuola») e dei suoi poteri regolamentari; se l’attribuzione di una identità «alias» rientri o meno nel perimetro della autonomia scolastica, definita come «autonomia amministrativa, didattica e organizzativa»; se siano in genere da considerarsi legittimi regolamenti interni che stabiliscano diritti e doveri (con relativo regime sanzionatorio) in capo alla popolazione scolastica; quale sia la base giuridica di legittimazione per il trattamento di dati personali specialmente protetti dall’articolo 9 del Gdpr (tra i quali quelli «relativi alla salute o alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona») e, più in generale, se siano rispettati i principi sul trattamento dei dati personali di cui all’articolo 5 del Gdpr nonché tutte le misure previste a tutela dei dati medesimi, con particolare riguardo ai soggetti minori di età.Mentre la scuola italiana affonda, mentre l’analfabetismo dilaga (vedi risultati Invalsi), mentre i ragazzi soffrono all’inverosimile le conseguenze di due anni di restrizioni e di sospensione delle normali attività scolastiche, culturali e ricreative, è davvero questa l’impellenza assoluta?E in ogni caso, perché questa premura di promuovere a tappeto una normativa speciale per una particolare categoria di studenti, trascurando un numero indefinito di altre categorie in astratto parimenti titolate (per esempio alunni portatori di altri tipi di disagio, alcuni dei quali particolarmente diffusi)? Sicuri che il tanto brandito articolo 3 della Costituzione (principio di uguaglianza) alla fine non vi si ritorca contro?
13 ottobre 2025: il summit per la pace di Sharm El-Sheikh (Getty Images)
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