2020-02-25
«Il nostro Sassicaia, il Ribot dei vini. Un mito che è nato dalla perfezione»
Nicolò Incisa Della Rocchetta
Parla Nicolò Incisa Della Rocchetta il discendente della famiglia che ha creato il prodotto italiano giudicato dalla Bibbia degli enologi il migliore al mondo per l'annata 2015. Proprio come il numero uno dei cavalli della sua scuderia nel 1956.Il marchese Nicolò Incisa Della Rocchetta, classe 1936, al mettere in risalto la propria persona preferisce la contemplazione della natura madre. Tuttavia anche la notorietà ha un prezzo. Perché, presso la Tenuta San Guido, di cui è presidente, a Bolgheri, frazione del Comune di Castagneto Carducci (Livorno), è lunga la lista di personaggi noti e ammiratori desiderosi di incontrare il discendente di una famiglia che ha creato il vino italiano più celebre e ambito, il Sassicaia. Nel 2018, Wine Spectator, la più nota rivista di critica enologica, l'ha collocato al primo posto, per l'annata 2015, nella classifica dei 100 vini giudicati migliori del mondo, consigliando la degustazione del prodotto di questa eccezionale vendemmia «dal 2023 al 2042». Sì, perché il Sassicaia Doc, il cui uvaggio consiste di un 85 per cento di Cabernet Sauvignon e di un 15% di Cabernet Franc, è un vino in grado di dispensare gratificazioni per i palati più esigenti con il suo riposo negli anni. A distanza di mezzo secolo dalla sua vinificazione, ha ancora la forza di esprimere un'inconfondibile amabilità di sensazioni olfattive e gustative, e quasi di generare sensi di colpa per non averne fatto riposare per gli anni a venire lo spirito.Intensamente voluto dal padre, Mario Incisa Della Rocchetta, che si trasferì dal Piemonte a Bolgheri con l'obiettivo di fare un vino italiano di classe con taglio bordolese, il Sassicaia, dal 1948 al 1967, rimase un vino per consumo privato. Fino a quando decise di chiamare, per perfezionare la sua produzione, il più grande enologo italiano dell'epoca, Giacomo Tachis. Fu così che il primo presidente del Wwf Italia ottenne un vino d'alta classe il cui successo eguagliò quello del numero uno dei cavalli della sua scuderia, l'indimenticato Ribot, di Razza Dormello Olgiata, che dopo le vittorie nel 1955 e nel 1956, fu nominato «cavallo del Ventesimo secolo». Suo padre coltivò il sogno, realizzato, di creare, in un terroir italiano molto simile a quello di Graves, vicino a Bordeaux, un grande vino, poi diventato il Sassicaia, in grado di competere, qualitativamente, con i migliori Bordeaux francesi, che stimava. Quanto ha inciso, nell'eclatante risultato ottenuto, la scelta di Tachis? «Il contributo di Giacomo Tachis è stato fondamentale per sviluppare e diffondere quanto mio padre aveva iniziato per sé, con grande intuizione e passione, esaltando le qualità del nostro terroir. Credo abbia fatto scuola e che i suoi insegnamenti, insieme con i principi di mio padre, siano diventati parte della cultura di Tenuta San Guido e della squadra di persone che seguono e trasformano il prodotto della natura nel nostro vino». Senza comunicazione, anche le migliori idee e i più eccellenti prodotti non possono circolare. Luigi Veronelli, su Panorama del 14 novembre 1974, dedicò un pezzo al Sassicaia 1968, prima annata commercializzata, descrivendolo come «ben vestito e brillante, bouquet fitto e contegnoso in sé, di non comune scontrosa eleganza (…) nerbo consistente nella stoffa ben strutturata», contribuendo a dare fama a un vino superbo. Il giudizio di Veronelli fu una determinante convalida del vostro successo. Un'operazione del genere, potrebbe avere il medesimo effetto in un contesto evoluto, quello attuale, contraddistinto da una congerie di messaggi mediatici relativi all'enologia? «A quei tempi i comunicatori del vino si contavano sulle dita delle mani, e Luigi Veronelli è stato senza dubbio uno dei più grandi conoscitori e divulgatori della cultura enologica. Oggigiorno le cose sono molto cambiate e non esiste solo la carta stampata. Con Internet e i social network, le forme di comunicazione sono diventate globali e immediate. La comunicazione è quasi sempre centrale nel business. Noi siamo, in fondo, una piccola azienda e concentriamo la maggior parte dei nostri sforzi nella ricerca della perfezione del prodotto. Non siamo esperti di comunicazione, ma siamo convinti che, dove c'è lavoro, passione, dedizione e vera qualità, si crea un valore che prima o poi è riconosciuto e apprezzato». La produzione di Sassicaia si attesta su circa 200.000 bottiglie annue. Qual è la quota di export e quali i primi tre Paesi esteri in vetta alla classifica delle vendite?«Il Sassicaia è esportato per circa il 70-75 per cento della produzione totale. I primi tre Paesi per volume sono Stati Uniti, Cina e Svizzera». A quanto ammonta la massima quotazione, comprese tutte le annate dal 1968 all'ultima, raggiunta da una bottiglia di Sassicaia?«Noi vendiamo a distributori e importatori e non seguiamo gli andamenti del prezzo. Il mercato fa sì che poi ci siano annate molto richieste con conseguente aumento dei valori. Ho il ricordo che in un'asta una bottiglia di formato Magnum Sassicaia 1985 fu aggiudicata per 15.000 euro». Nella storia del Sassicaia è accaduto, pur raramente, che qualche annata non sia stata realizzata per qualità del vendemmiato, ritenuta insufficiente. Ma in caso di vendemmie considerate vinificabili quanto conta l'esperienza per avvicinarsi alla perfezione?«Siamo fortunati a essere nel territorio di Bolgheri, con uno speciale terroir e microclima. Le varie vendemmie di Sassicaia che si sono susseguite negli ultimi 50 anni, sono state diverse fra loro, alcune più impegnative di altre. Solo la 1969 e 1971 non furono vinificate. Ogni annata esprime una caratteristica diversa del terroir, rispecchiando al tempo stesso il carattere del vino, e le particolarità dell'anno di vendemmia. Ciò è possibile grazie anche al gran lavoro nostri tecnici nell'accudire le vigne. Il prodotto vendemmiato e vinificato in cantina è già frutto di attenzioni quotidiane durante tutta la vita dell'uva, con un'attenta selezione dei grappoli migliori. I cantinieri e la squadra che si occupano della vinificazione e dell'invecchiamento, seguono e accompagnano il vino nei suoi processi di trasformazione, sotto l'attenta vigilanza del direttore generale, che seleziona ulteriormente le masse adatte a diventare Sassicaia. Tutto è registrato dall'arrivo dell'uva a quando il vino viene imbottigliato e le note di mio padre, del dottor Tachis poi, e del direttore Carlo Paoli hanno formato e costituiscono quello che per noi è il valore della Tenuta San Guido».In ottimali condizioni di conservazione, quanti anni può durare un Sassicaia senza perdere in apprezzabilità?«Non è facile da dire perché ogni annata è un po' diversa dalle altre e la longevità può cambiare. Ma consideri che la prima annata di Sassicaia del 1968, che oggi ha 52 anni, degustata di recente ha dato ottime soddisfazioni e alcuni importanti critici hanno attribuito a questo vino un ulteriore margine di invecchiamento». Per la difesa delle vostre vigne può accadere che facciate ricorso a trattamenti con anticrittogamici?«La nostra azienda, nel rispetto della filosofia di mio padre e di tutta la famiglia, è sempre stata molto attenta all'ambiente e al preservarlo per le successive generazioni. Ogni sfruttamento agricolo a livello produttivo, così come mio padre scrisse nel suo libro La terra è viva, è sempre messo in atto tenendo conto della massima sostenibilità per l'ambiente. Noi, da molti anni, non facciamo più uso di diserbanti e d'insetticidi. Ciononostante, in alcune annate più piovose, ricorrere a prodotti antioidici e antibotritici, pur a basso impatto ambientale, è stato necessario». Per quanto sia forse una scelta non facile, ci può indicare i due migliori rossi e due migliori bianchi stranieri che ha degustato negli ultimi tre anni? «Per i rossi, Château Lafite e Romanée Conti. Per i bianchi Egon Müller della Mosella e FX Pichler della Wachau».Passando al panorama italiano quali ritiene siano i due rossi e i due bianchi più promettenti in quella categoria, ovviamente suscettibile di opinioni personali, chiamata dei grandi vini?«San Leonardo e Tignanello, per i rossi. Per i bianchi, apprezzo molto quelli di Cantina Terlano e il Gaia & Rey di Gaja».Come noto, le due grandi passioni di suo padre sono state il vino e i cavalli. Se gli si fosse fatta una domanda paradossale, ossia a quale delle due fosse stato disposto a rinunciare, se costretto, cosa avrebbe risposto? «Queste due attività della nostra famiglia sono complementari. In entrambe, legate alla Natura, abbiamo sempre cercato di puntare all'eccellenza, seguendo la nostra filosofia. Per mio padre credo sarebbe stato impossibile rispondere a questa domanda».Nello scatto di un fotografo lei è ritratto mentre guarda con ammirazione un pettirosso che le si è avvicinato senza timore. Nel quadro della preoccupazione esistente sul cambiamento climatico nel pianeta, pensa che tra un secolo si potrà ancora produrre, con immutate caratteristiche e senza problemi un nobile vino come quello della Tenuta San Guido?«Onestamente non me la sentirei di fare pronostici di questo tipo, data la complessità dell'argomento. Posso solo dire che anche se il cambiamento climatico è un fatto inconfutabile, nella zona di Bolgheri la situazione è un po' particolare. Infatti, grazie alla vicinanza del mare, il nostro clima è assai mitigato. Per esempio abbiamo visto, anche nell'ultimo decennio, qualche annata fresca, alternata ad annate più calde, ma mai eccessive».
Il caffè di ricerca e qualità è diventato di gran moda. E talvolta suscita fanatismi in cui il comune mortale si imbatte suo malgrado. Ascoltare per credere.