2019-12-26
Il mondo ha paura delle armi di Pechino
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Altro che Via della seta, Trump ha mille ragioni per temere l'espansione commerciale e militare di Pechino. Che già oggi, grazie anche a una marina militare immensa e la più grande Guardia Costiera del pianeta è in grado di invadere Asia e Pacifico fino all'Australia.Con 32.000 chilometri di coste e 3,16 milioni di chilometri quadrati (tutto il Mediterraneo è 2,5 milioni di kmq) la Cina ha bisogno di una Marina Militare imponente con una portaerei e un centinaio di navi da battaglia. La chiamano Plan (People's Liberation Army Navy), ed entro il 2029 disporrà anche di altre cinque portaerei attualmente in costruzione. A battere bandiera cinese sono anche migliaia di grandi e medi pescherecci (300-500 tonnellate) che costituiscono una forza complementare a quella navale, la Pafmm (People Armed Forces Maritime Militia).Lo speciale contiene tre articoli e i numeri degli armamenti cinesi.La Cina spaventa e non soltanto sul piano commerciale, ma anche su quello della sicurezza cibernetica e soprattutto nel settore militare. La guerra Usa a Huawei, della quale l'accordo tra Leonardo Elicotteri e la Difesa di Washington è stata vittima (contratto sospeso, grazie all'indecisione del Governo), sta scatenando reazioni anche a Pechino. E' del 17 dicembre la notizia che entro il 2022 nessun ufficio governativo cinese utilizzerà più software occidentali. soltanto quelli compilati in patria. Si tratta dell'ultima controffensiva a una guerra fredda che da anni vede aziende della Repubblica Popolare esportare sistemi e tecnologie per la sorveglianza che utilizzano intelligenza artificiale. Gli Usa avrebbero accertato la presenza di questi programmi in almeno 60 nazioni tra i quali Myanmar, Zimbabwe, Venezuela, Iran ed Egitto. Riconoscimento facciale, misuratori antropometrici e virus sarebbero inseriti in questi sistemi e trasferiti mediante comunicazioni digitali. Colossi come Huawei, Dahua e Zte, grazie al supporto di prestiti agevolati provenienti dal governo di Pechino, riescono infatti a essere competitivi sui mercati e ad affermarsi a livello internazionale. Sia chiaro, anche la giapponese Nec o l'americana Ibm lo hanno fatto in passato, anche nei confronti di nazioni europee.Dal punto di vista economico, seppure lo sviluppo della società cinese sia in lieve contrazione, gli effetti del programma Supremacy 2025 sono ancora molto forti. Si tratta della volontà di sviluppare capacità tecniche e industriali anche nelle province fino a qualche anno fa considerate arretrate, acquisendo competenze e progetti dall'estero. L'occidente da dieci anni a questa parte ne ha approfittato per svendere anche qualche progetto ormai vetusto e non sono mancati i cas in cui banche regionali cinesi siano andate in crisi per il mancato ritorno finanziario dei prestiti concessi, con immediato intervento di Pechino a ripianare i debiti. Uno dei problemi endemici cinesi è proprio la vocazione commerciale dei suoi industriali, oggi abituati ad accumulare rapidamente denaro ma spesso incapaci di distinguere la differenza tra costo e valore dei prodotti. Incredibilmente, nelle persone che in un decennio sono passate dalla ciotola di riso alla Mercedes, la cultura della bellezza e dell'armonia della Cina imperiale è stata completamente cancellata dal comunismo e viene oggi snobbata dal consumismo. Il costo della vita intanto aumenta costantemente, nelle città delle province più periferiche comprare casa non è più immediato come era prima, cala il numero dei mutui per case private e aumentano gli affitti: il canone di un bilocale in una città come Chengdu (provincia dello Sichuan) costa circa 3.000 Rmb, l'equivalente di 400-450 euro. Ciò che accadrà una volta che Supremacy 2025 finirà, stanti i contatti commerciali sviluppati in questi anni, sarà la volontà cinese di distribuire nel mondo la moneta Rmb come gli americani dalla seconda guerra mondiale in poi hanno fatto col dollaro. La moneta è già accettata e si trova in circolazione anche in Thailandia, tra le mete predilette dei cinesi per le vacanze.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/il-mondo-ha-paura-delle-armi-di-pechino-2641665045.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="forze-armate-al-livello-di-quelle-americane" data-post-id="2641665045" data-published-at="1756917608" data-use-pagination="False"> Forze armate al livello di quelle americane Giphy Per la Difesa Pechino dal 2015 ha rinnovato completamente l'organizzazione militare, a ciò che era definito Pla (People Liberation Army), ora si è aggiunto il secondo Corpo d'Artiglieria. E se prima il Pla era in pratica l'Esercito che comandava anche Aeronautica e Marina, ora questo è diviso in Esercito, Marina, Aeronautica e la nuova Missilistica, quasi 100.000 uomini ripartiti in sei basi, 300 testate nucleari e altrettante bombe ai neutroni, una quarantina di grandi bombardieri ai quali sommare i caccia di quinta generazione (J-20) e sei sottomarini nucleari.Il comandante in capo, colui che prende la decisione finale, è il presidente Xi Jinping, il quale dispone di due vice: Zang Youxia e Xu Qiliang. Ogni comando territoriale (Nord, Sud, est, Ovest), dispone quindi di un comando interforze per la gestione delle forze armate sui singoli territori. Diverse le reti di comunicazione a loro disposizione, tra queste anche trentacinque satelliti tra geostazionari e posizionabili in bassa orbita. In pratica dal prossimo anno la Cina avrà una capacità di comunicazione e osservazione dei teatri operativi simile a quella La Marina cinese avrebbe oggi la capacità di colpire tutto il Giappone, le Hawaii, l'importantissima base Usa di Guam, l'Alaska e la costa occidentale degli States usando i sottomarini, e per questo motivo Trump ha rafforzato la catena di sorveglianza acustica del Pacifico e ha appena creato il nuovo Comando delle Forze Spaziali dotato di 16.500 uomini diretto dal generale John Raymond, stanziando 738 milioni di dollari. Ciò che vuole Trump ma che aveva ipotizzato anche Obama è chiaro: mantenere la supremazia spaziale sfruttando l'unico vero vantaggio tecnologico con Pechino, che non possiede ancora un sistema satellitare di monitoraggio dei lanci missilistici e mantiene il dubbio su come siano fatti realmente i suoi missili balistici. Difficile pensare quindi che un ipotetico conflitto contro una nazione asiatica che si affacci sul mare cinese (come Taiwan o Brunei), possa risolversi con un esito che non sia la rapida polverizzazione delle sue difese, o con una escaltion che veda in primis un intervento americano.Con 32.000 chilometri di coste e 3,16 milioni di chilometri quadrati (tutto il Mediterraneo è 2,5 milioni di kmq) la Cina ha bisogno di una Marina Militare imponente con una portaerei e un centinaio di navi da battaglia. La chiamano Plan (People's Liberation Army Navy), ed entro il 2029 disporrà anche di altre cinque portaerei attualmente in costruzione. L'impresa di creare questa forza marinara è notevole se si pensa che storicamente la Cina non ne ha mai avuta una, dove invece Regno Unito, Francia, Spagna, Italia, Olanda, Portogallo e Usa vantano tradizioni secolari. Ad affiancare la forza di offesa c'è la più numerosa Guardia Costiera del pianeta che risponde direttamente al vertice delle forze armate. Si tratta di quasi 1.300 navi armate di ogni tonnellaggio, (tre volte quelle gli Usa) delle quali circa 250 sono grandi vascelli da pattugliamento oltre le 500 tonnellate, almeno secondo gli analisti statunitensi. Fatto che impone a nazioni geograficamente vicine come il Giappone di spendere lo 0,7% del Pil soltanto per mantenere una flotta che possa contrapporsi, ovvero ben 460 navi. Per Pechino la zona calda è il Mar Cinese Meridionale per la contesa con Taiwan, Vietnam, Malesia e Indonesia degli arcipelaghi Paracelso e Spratly, che in realtà interessano anche a Brunei e Filippine. Proprio in queste isole i cinesi hanno creato infrastrutture di difesa a causa del fatto che da quelle parti transita oltre il 35% delle merci che viaggiano via nave. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/il-mondo-ha-paura-delle-armi-di-pechino-2641665045.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="linvasione-di-migliaia-di-pescherecci" data-post-id="2641665045" data-published-at="1756917608" data-use-pagination="False"> L'invasione di migliaia di pescherecci upload.wikimedia.org La crescita cinese degli ultimi vent'anni ha accresciuto le necessità e le richieste della popolazione (1,3 miliardi di persone), e siccome la pesca costituisce oltre il 45% delle risorse alimentari, ecco che a battere bandiera cinese sono anche migliaia di grandi e medi pescherecci (300-500 tonnellate) che costituiscono una forza complementare a quella navale, la Pafmm (People Armed Forces Maritime Militia), navi che a causa dell'inquinamento prodotto dal boom economico devono spingersi sempre più lontano dalle coste cinesi. Gli scontri con flottiglie di altre nazioni sono frequenti, soprattutto perché i battelli da pesca di Pechino viaggiano sovente in grandi gruppi, costituiti da 80 o 100 battelli, e praticano una pesca tanto intensiva da svuotare letteralmente interi settori marittimi a danno di chi era arrivato prima di loro. A complicare l'azione delle organizzazioni internazionali a tutela dei mari è la difficoltà di tracciare questa flotta, stante che in barba alle convenzioni internazionali, che prevedono l'installazione di transponder radar, i cinesi operano nella maggioranza dei casi senza possibilità di essere riconosciuti, e già negli anni Settanta a bordo erano muniti di armi, quando a farne le spese furono i battelli vietnamiti. Senza alcun accordo questa seconda marina si spinge a pescare anche fino all'Oecano Indiano e alla Bassa California, preoccupando non poco la Casa Bianca. Per reagire contro questa invasione le nazioni più piccole del sudest asiatico cercano l'appoggio di Russia, Usa e Australia, che pressano Pechino per stabilire accordi che i cinesi non vorrebbero fare, stante che devono garantire un volume di approvvigionamenti sempre crescente per mantenere il livello di crescita degli ultimi anni. Da parte loro inoltre non perdono tempo per finanziare opere infrastrutturali nelle isole Fiji e negli arcipelaghi definiti strategici, nei quali le merci dai porti possono poi essere imbarcate su aeroplani da trasporto. Ecco perché Usa e Australia stanno rafforzando le difese e hanno stabilito una flotta navale dedicata, la Pacific Support Force che ha base a Brisbane. L'intento è proteggere nuovamente lo scacchiere tra Papua Nuova Guinea, le isole Salomone e Figi, ovvero il teatro che nella Seconda Guerra Mondiale servì per difendere l'Australia dai giapponesi.
La nave Mediterranea nel porto di Trapani (Ansa)