2019-05-29
Giorgio Armani: «Il mio successore ancora non esiste. Resterò fino alla fine»
Il Re: «Ho creato una Fondazione per dare un futuro all'azienda. La sfida con la Francia? Fra le griffe italiane c'è nuova armonia».Partiamo da Armani imprenditore. Gli analisti di Mediobanca sostengono che la moda italiana vale il 4% del Pil, che le nostre aziende sono solide ma hanno registrato crescite modeste negli ultimi anni. Invece, la moda francese cresce molto di più. Cosa pensa delle differenze tra i due sistemi?«Non possiamo paragonarli, sono due realtà completamente diverse [...]. In Francia ci sono gruppi enormi, in Italia tante aziende gestite, come nel mio caso, in prima persona dai proprietari. Come imprenditore ho sempre pensato che fosse più equilibrato e sano crescere piano, ponderando le scelte, per durare nel tempo. Credo di averlo dimostrato in questi ultimi 40 anni».Qual è secondo lei il valore aggiunto delle piccole dimensioni rispetto ai grandi gruppi?«La libertà di scelta, senza condizionamenti, senza la pressione di dover continuare a migliorare un risultato “gonfiato". La libertà che ti permette anche di decidere di decrescere, come abbiamo fatto negli ultimi anni, seguendo una precisa strategia, facendo delle scelte di qualità piuttosto che di quantità».Pochi debiti, tanta liquidità: per gli analisti questa visione così prudenziale è un segno di debolezza. [...]«La liquidità è il motore dello sviluppo e poi, come ho già avuto modo di dire in molte altre occasioni, equivale a indipendenza e solidità: si può rimediare a situazioni impreviste, senza dover ricorrere a soluzioni estreme come vendere l'azienda, si possono cogliere sul momento opportunità importanti, soprattutto non bisogna dipendere da nessuno. Sarà anche una visione un po' antica ma applicata al mio mondo e al mio prodotto funziona molto bene». [...]Sempre Mediobanca ha rilevato che di 146 aziende di moda italiane con un fatturato di almeno 100 milioni di euro, il 40% sono di proprietà straniera e il 15 sono controllate da gruppi francesi. Qual è il futuro del nostro sistema moda?«Credo che ci sia una ritrovata armonia, un'unione dei marchi italiani che vedremo già a settembre con dei cambiamenti in calendario (quello delle sfilate femminili, ndr). È un primo passo importante. Certo, finora non siamo stati bravi a fare squadra come i francesi, ma trovo che i segnali siano buoni e ci potrebbero esserci evoluzioni».Ci potrebbe spiegare meglio? Sarebbe uno scoop...In realtà non posso dire di più (pare che alle ultime riunioni tra gli iscritti alla Camera della moda ci sia stata una nuova energia e un desiderio di fare sistema, a partire da una più razionale organizzazione del calendario sfilate, con una distribuzione, giorno per giorno dei nomi più importanti, ndr)».Nel 2016 lei ha voluto un nuovo ente, la Fondazione Armani. Ci può riassumere com'è organizzata, quali sono le sue funzioni e se ha già deciso chi la guiderà in futuro?«La Fondazione ha un doppio compito. Da una parte reinvestire i capitali a scopo benefico e dall'altra assicurare nel tempo che il gruppo si mantenga stabile e coerente con i principi che mi stanno a cuore e da sempre ispirano la mia attività di designer e imprenditore. Ma fino all'ultimo sarò io a guidare l'azienda».Lei ha dichiarato che la Fondazione «dovrebbe garantire l'armonia tra gli eredi». [...]«Mi sembra chiara la risposta. Per me sono importanti tutte le persone che hanno lavorato con me e naturalmente la mia famiglia; non vorrei mai che ci fossero tensioni. È importante che vengano salvaguardati i dipendenti. Per questo ho scelto volutamente un sistema che garantisca il superamento dei momenti di impasse e la Fondazione sarà l'ago della bilancia. Le decisioni saranno prese seguendo le mie linee guida che indicano la direzione e si basano su coerenza, lealtà e fedeltà». [...]A proposito di eredità, vede qualcuno che a livello creativo possa essere il suo successore? [...]«A oggi la risposta è no, però sono attento. Mi sto ancora guardando intorno perché, come ho dichiarato a Londra due anni fa, non deve essere necessariamente italiano. La scelta è seria, importante. Certamente deve condividere e rispecchiare i valori che fino a oggi ho portato avanti e avere anche capacità imprenditoriali, cosa non facile, per non rischiare di “bruciare" l'azienda in poco tempo. Non è escluso che stia crescendo internamente».Non crede sia stato un errore non allevare un giovane Giorgio Armani?«Assolutamente no, ne sto facendo crescere tanti». [...]Come sono i rapporti tra voi big del made in Italy. Con Prada, Dolce & Gabbana, Versace?«Sono migliorati, siamo più in sintonia di una volta».Che cosa manca secondo lei al sistema moda nazionale?«Un po' più di coraggio e di fiducia. Nessuno ci deve insegnare niente». [...]Lei ha avuto tutto. [...] A che cosa ha rinunciato per tutto questo? «Forse avrei potuto riservare più tempo a me stesso. Poi penso che, in fondo, ognuno ha le proprie passioni e la mia è sempre stata il lavoro. Gli ho dedicato consapevolmente tutte le mie energie». [...]
Abiy Ahmed e Giorgia Meloni (Ansa)
Il presidente e ad di Philip Morris Italia Pasquale Frega a Cernobbio (Ansa)
Il presidente e ad di Philip Morris Italia dal Forum Teha di Cernobbio: «La leva competitiva è cruciale per l'Italia e l'Europa».