
Il Signore gli affidò la missione di condurre il suo popolo in Palestina, dicendogli che laggiù scorrevano latte e nettare delle api. Per i Greci era il segreto dell'immortalità dei numi dell'Olimpo, per Allah una cura spirituale. I Sumeri lo usavano come cosmetico.«Le tue labbra stillano miele vergine, o sposa/ c'è miele e latte sotto la tua lingua/ e il profumo delle tue vesti è come il profumo del Libano». Teneri e sensuali, sembrano versi di Tibullo, poeta erotico latino. Invece sono tolti dalla Bibbia, dal Cantico dei Cantici, il libro più spinto dell'Antico Testamento, incentrato sul voluttuoso dialogo d'amore tra due giovani sposi in dolce e infinita luna di... miele. In tremila anni è cambiata la poesia, ma il miele resta. Il vezzeggiativo più usato tra gli innamorati americani è honey, miele, inteso come «tesoro», «dolcezza mia». Bisogna solo stare attenti di non abusare: diventare mielosi, sdolcinati e insinceri, fa male all'amore. Una bella litigata, ogni tanto, ci vuole.Di miele, nella Bibbia, ce n'è in abbondanza: in 61 versetti si cita il dolce alimento prodotto dalle api. I più importanti riguardano la terra promessa. Quando il Signore, sull'Oreb, affida a Mosè la missione di condurre il suo popolo in Palestina, gli dice: «Sono sceso per liberarlo dalla mano dell'Egitto e per farlo uscire da questo Paese verso un Paese bello e spazioso, verso un Paese dove scorre latte e miele». Anche il Corano tiene il miele in religiosa considerazione. Lodando le api Allah dice: «Scaturisce dai loro ventri un liquido dai diversi colori, in cui c'è guarigione per gli uomini». È un risanamento fisico e spirituale: «Due cure ti sono prescritte: miele e Corano».L'alimentazione, la medicina, la ritualità e la letteratura di tutti i popoli si sono nutrite per millenni con il «cibo degli dei». Così i Greci chiamavano il miele che rendeva piacevole l'immortalità dei numi dell'Olimpo e raddolciva la vita dei poveri mortali. Gli Egizi lo impiegavano nell'aldiquà e per l'aldilà. Ai morti eccellenti- faraoni e notabili-, durante il processo di mummificazione, si dava una bella spennellata di miele e, una volta calate le mummie nelle mastabe o nelle piramidi, gli si metteva accanto la debita scorta di miele per render loro più dolce il sonno eterno.Le testimonianze storiche che ci hanno lasciato riferiscono che il popolo del Nilo conosceva l'apicoltura tremila anni prima di Cristo. Ma, oltre che per loro, il miele era una panacea per Babilonesi e Assiri. Con il biondo medicamento si curavano infiammazioni, ferite, scottature, mal di pancia. Lo si usava come collirio nei disturbi agli occhi. Oltre che come ingrediente, naturalmente, di sfiziose ricette. I Sumeri, e non solo loro, lo usavano anche come cosmetico come oggi si usano le creme idratanti o antirughe. La mitologia greca racconta che Zeus, il re degli dei, quand'era neonato nascosto da mamma Rea in un antro a Creta perché babbo Crono lo voleva divorare, fu nutrito con il miele da api sacre che, nei racconti degli scrittori classici divennero, poi, ninfe. Tra loro si distinse Melissa, nome che la dice lunga sulla sacralità attribuita al cibo degli dei. Simonide, poeta greco vissuto tra il VII e il VI secolo prima di Cristo, dopo aver distinto in una satira le donne in dieci tipi, consiglia di sposare la donna-melissa, femmina virtuosa, legata al focolare domestico, gran lavoratrice al contrario delle chiacchierone e perditempo.Come facciano le api a produrre il miele è rimasto un mistero fino alle soglie della nostra epoca. Per secoli e secoli non si è saputo nulla di nettare, api bottinatrici, ligula (proboscide), borsa melaria, enzimi. Aristotele, nel De generatione animalium, avanzò una suggestiva ipotesi: il miele è rugiada che piove dal cielo al sorgere delle stelle e quando si forma l'arcobaleno. Guai se nella Roma imperiale fosse mancato il miele. Come avrebbero fatto i vari Trimalcioni o Loculli a mangiare uno dei loro piatti preferiti, il ghiro in salsa di miele? O a bere il mulsum, il vino col miele? E come avrebbe fatto Apicio a preparare la sua famosa ius viride in avibus, la salsa verde per uccelli? Poco o tanto il miele è in quasi tutte le sue ricette. Non come il garum, ma quasi. Lo usava nella cottura del pesce, dei polli, del maiale, della selvaggina. Per trovare in epoca moderna un piatto all'altezza di Apicio bisognerà attendere il Manifesto della cucina futurista (1931) nel quale Fillia, cuoco, aeropittore futurista e sodale di Filippo Tommaso Marinetti, propone il «Carneplastico», un polpettone cilindrico che ricorda nella forma gli attributi virili, preparato con 11 verdure, carne di vitello macinata, salsiccia, pollo e sopra a tutto una colata di miele.I Romani importavano il miele da ogni parte dell'impero: Spagna, Creta, Africa, Turchia, Malta, l'isola che i Greci avevano chiamato Melita, la terra del miele. Celeberrimo il miele ibleo della Sicilia. Plinio il Vecchio, nella Naturalis Historia, propone come modello politico per gli uomini la società delle api: insetti dediti alla comunità, ognuno col suo compito da svolgere, laboriosi e... casti. Nell'alveare l'attività sessuale è delegata alla sola regina e ai fuchi più resistenti nel volo nuziale. Anche Virgilio loda l'attaccamento delle api alla res publica, il bene comune, l'obbedienza e il sacrificio e la loro castità. Paradossalmente, le api tanto lodate per la loro verginità, producevano una sostanza energetica, il miele, ritenuto afrodisiaco, Galeno, medico di corte di Marco Aurelio (II secolo dopo Cristo) suggeriva questo cocktail prima di andare a letto: abbondante miele denso, 100 pinoli e una manciata di mandorle. Il medico arabo Avicenna, undici secoli dopo, propose una mistura più spice per ottenere gli stessi effetti: miele, pepe e zenzero. Nelle Mille e una notte troviamo il farmacista Ala-al Din abu-al che consiglia a chi è afflitto da problemi sessuali un preparato di miele europeo, pepe di Giava, oppio, cannella, chiodi di garofano, zenzero, cardomomo, una lucertola delle montagne e altre spezie, da prendere con un cucchiaio dopo aver mangiato carne di montone e piccione bene aromatizzati: il massimo della libidine.Nel medioevo il miele, nonostante lo zucchero acquisti sempre più importanza, mantiene la sua importanza come dolcificante, alimento salutare e come conservante. Carlo Magno e il monachesimo danno impulso all'apicoltura. Dante Alighieri, nel 31° canto del Paradiso descrive la milizia degli angeli come «una schiera d'api che s'infiora/ una fiata e una si ritorna/ là dove il suo laboro s'insapora». Gli Arabi, che nel corso delle loro conquiste diffondono sempre più l'uso del sukkar, ci hanno lasciato in eredità dolci al miele fantastici. In Sicilia di questa eredità troviamo ancora i nucàtoli, la pignolata al miele, la pasta reale, le paste ri meli, i pupi di miele... Fermiamoci: al solo nominarli si rischia il diabete... mellito.Dal medioevo in poi lo zucchero diventa l'antagonista del miele come dolcificante. Soprattutto dopo che, scoperta l'America, fu intensificata la coltivazione della canna da zucchero che trovò nelle isole caraibiche l'ambiente ideale. Napoleone all'inizio dell'Ottocento provò a boicottare i commerci inglesi incentivando la produzione dello zucchero dalla barbabietola. Il costo raggiunse tali cifre che il miele tornò in auge. Ma è solo nella seconda metà del Novecento che le api si prendono la rivincita, grazie alla selezione di mieli uniflorali, ottenuti, cioè, da un unico tipo di fiore: timo, castagno, acacia, corbezzolo, agrumi... Cesare Brusi, apicoltore di Cervia, lo fa anche di fiori di salina.Purtroppo la povera Ape Maia sta vivendo una situazione drammatica. I cambiamenti climatici, i pesticidi, le malattie, il declino della biodiversità, la scomparsa di tante specie di insetti impollinatori, falcidiano la loro popolazione. Ma se le api stanno male, l'uomo non sta meglio. Nessuno dovrebbe dimenticare la profezia di Albert Einstein sul ruolo delle api, sentinelle dell'ambiente: «Se l'ape scomparisse dalla Terra, all'umanità resterebbero quattro anni di vita». L'uomo e l'ape sono simbiotici, come canta Neruda: «Bianca ape, ebbra di miele, ronzi nella mia anima».
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.