2020-11-03
Il mercato tifa per la fusione di Mps. Non con Unicredit
Jean Pierre Mustier (Ansa)
L'operazione, su cui filtrano indiscrezioni, non piace a Equita: «Più rischi che opportunità». Ieri cda straordinario del Monte.La Borsa tifa per una soluzione che spinga lo Stato giù dal Monte dei Paschi in tempi rapidi, ma gli analisti smontano l'ipotesi di salvataggio da parte Unicredit. Ipotesi tornata a circolare con insistenza negli ultimi giorni sebbene fonti del Mef abbiano smentito la presentazione di una proposta da parte dell'istituto di piazza Gae Aulenti che ha più volte ribadito il no a possibili fusioni. Il titolo Mps ha chiuso la seduta di ieri a Piazza Affari mettendo a segno un balzo dell'8,3% a 1,12 euro dopo essere stato anche sospeso per eccesso di volatilità, mentre le azioni del gruppo guidato da Jean Pierre Mustier hanno guadagnato il 3,2% a 6,6 euro. Il piano che starebbe prendendo forma, secondo Il Sole 24 Ore, prevederebbe una dote per le nozze di 5 miliardi di euro (tra i fondi per l'aumento di Rocca Salimbeni e crediti fiscali). Un'operazione con il Monte «presenta più rischi che opportunità per Unicredit, con conseguente aumento del profilo di rischio e impatto negativo sulla valutazione», hanno però scritto ieri in un report gli esperti di Equita. In base alle indiscrezioni, prima della fusione verrebbe ricapitalizzata con 2-2,5 miliardi utilizzati per aumentare le coperture sui rischi legali e per 3.000 esuberi. I rischi legali di piazza Gae Aulenti, calcolano gli analisti, salirebbero da 10,7 miliardi (coperti al 7%) a 21 miliardi (coperti al 12%), con una componente relativa a Mps di circa 6 miliardi coperti al 24%, «livello che potrebbe essere ritenuto non sufficiente dal mercato». Tra i problemi c'è anche la difficoltà di «utilizzare a pieno» nel prossimo biennio le cosiddette Dta (le attività fiscali differite) e il fatto che il deal sarebbe diluitivo di circa il 20% sull'utile per azione 2022-23 di Unicredit. Sarebbe, infine, da sciogliere il nodo dell'assetto azionario: il Mef diventerebbe il primo azionista del nuovo gruppo con il 17% (ipotizzando un concambio a prezzi di mercato) creando incertezze di governance. La banca guidata da Jean Pierre Mustier «migliorerebbe il posizionamento competitivo a livello nazionale» ma «non aumenterebbe in modo rilevante la presenza territoriale nelle regioni più ambite» come Lombardia e Piemonte. Infine, un eventuale business combination con il Monte, secondo Equita, «allontanerebbe l'ipotesi di spin off delle attività italiane da quelle estere di Unicredit perché il business domestico - che ha margini inferiori e un più alto costo del rischio rispetto al resto del gruppo - non riuscirebbe a garantire gli stessi ritorni su base stand alone rispetto all'attuale configurazione».Nelle sale operativa c'è anche chi fa notare che per operazioni di questa portata di solito non si fanno filtrare rumors e voci (che ormai su Unicredit circolano da mesi) «per vedere l'effetto che fa» ma si fa un blitz a cantiere già ultimato. Come era, del resto, successo a febbraio nel caso dell'offerta lanciata da Intesa su Ubi e preparata in gran segreto. Il fatto che Siena abbia un azionista di controllo un po' ingombrante dal punto di vista delle pressioni «di Palazzo» rende la partita ancor più complicata. Di certo, ieri pomeriggio si è tenuto un altro cda straordinario (il secondo in meno di una settimana) per fare il punto sull'entità dei nuovi accantonamenti da mettere a bilancio per i contenziosi e in base a questa cifra ragionare l'importo dell'aumento di capitale necessario per rispettare i requisiti patrimoniali chiesti dalla Vigilanza europea considerando anche che la banca è già alle prese con la cessione dei crediti deteriorati alla band bank del Tesoro, Amco, da completare entro il 1° dicembre e per la quale la Bce ha imposto 700 milioni di rinforzo con l'emissione di un bond subordinato. Nessuna comunicazione ufficiale era ancora stata diffusa dalla banca quando La Verità è andata in stampa. Una soluzione al vaglio potrebbe essere quella di trasferire i rischi di credito su un massimo di 2 miliardi di prestiti in bonis a una terza parte in modo da liberare capitale e guadagnare tempo. Al vertice di Mps starebbe diventando sempre più vivace il confronto tra l'ad Guido Bastianini e il presidente Patrizia Grieco. Sulle strategie pesano le influenze politiche, soprattutto quelle dei 5 stelle che vorrebbero continuare ad avere un Monte di Stato. Mentre il governo ha ormai varato un decreto che sancisce la soluzione di mercato. Ergo: la fusione con un partner «sufficientemente forte da consentirle un futuro», ha detto il ministro Roberto Gualtieri nei giorni scorsi quasi ammiccando a Unicredit. I numeri emergeranno forse con maggiore chiarezza giovedì 5 novembre quando il board si riunirà di nuovo per approvare i risultati trimestrali.