2019-02-09
Il libro per insegnare ai più piccoli che l’utero in affitto è «amore»
Arriva in Italia, sponsorizzato da Vip come Alessandro Cattelan, «La bambina con due papà». È studiato per mostrare che i genitori Lgbt sono uguali agli altri. E nasconde accuratamente il tema dello sfruttamento.Pearl è una bambina tanto simpatica. Piccoletta, i capelli lunghi fino alle spalle. Va alle elementari, ed è emozionatissima perché «domani, a scuola, arriverà una nuova compagna di classe». E Pearl «adora conoscere nuovi amici e spera di giocare insieme alla bambina». La nuova arrivata si chiama Matilda, «è capace di correre super veloce, di arrampicarsi sui rami più alti» e ama saltare nelle pozzanghere. È un'amica perfetta: Pearl adora Matilda, e Matilda sembra proprio ricambiare. Una mattina, però, accade una cosa un po' strana. «Mentre Pearl arriva a scuola vede Matilda salutare il papà. Ma c'è qualcosa che non torna... Pearl nota che questo papà non è lo stesso di ieri». Che cosa succede? Semplice: Matilda ha due papà. Infatti è la protagonista di un libro per l'infanzia intitolato La bambina con due papà, uscito da poco per DeAgostini e presentato come «la storia di una bambina con una famiglia particolare e bellissima. Un libro attuale e necessario per raccontare l'amore». Matilda, insomma, è figlia di una coppia arcobaleno. Lo scopo del libro è proprio quello di spiegare ai bambini che non c'è nulla di strano nell'avere due genitori dello stesso sesso. La piccola Pearl, pagina dopo pagina, conosce Matilda e i suoi due babbi, e scopre che sono esattamente uguali ai suoi genitori: «I papà di Matilda mi hanno dato lo stesso cibo che mi dai tu», racconta Pearl a sua mamma dopo una visita a casa dell'amichetta. «Non hanno voluto che saltassimo sul letto, e poi hanno un sacco di regole! In fondo non sono così forti. Anzi, direi che sono davvero noiosi... Proprio come te e papà!».Una bellissima trovata, senza dubbio. La storiella è molto semplice, non particolarmente suggestiva, ma raggiunge l'obiettivo. Spiega ai piccoli lettori che i genitori arcobaleno sono esattamente uguali a tutti gli altri, bravi e amorevoli nello stesso modo.«Le famiglie con genitori dello stesso sesso sono in aumento, e i libri per i bambini sono un modo bello e diretto per parlarne ai bambini senza troppi discorsoni a riguardo», ha detto l'autrice del volume, Mel Elliott, a Io Donna.Per realizzare l'opera, dice, si è documentata presso un vicino. «Ho preferito parlare brevemente con un papà del mio quartiere che è sposato con un altro uomo e che, insieme a lui, ha avuto dei figli dopo una maternità surrogata. Tuttavia, ammetto di non aver fatto molta ricerca: volevo confezionare un volume dal punto di vista di una bambina che, provenendo da una famiglia tradizionale, si confronta con un'amica con una situazione diversa. Come avrebbe reagito? Che cosa avrebbe pensato? Che fantasie avrebbe avuto? In questo modo la storia risulta comica e più “a misura di bambino", che è il mio intento principale». Il libro della Elliott è ben avvolto nella consueta retorica a base di sentimenti teneri e cuoricini. Presenta tutta la faccenda come una questione di «amore». Non per nulla, il volume ha trovato sponsor eccellenti, che battono proprio su questi tasti. Il noto conduttore televisivo Alessandro Cattelan, per esempio, qualche giorno fa ha pubblicato sui social network una foto che lo ritrae intento a leggere a sua figlia La bambina con due papà. Cattelan, ovviamente, ci teneva all'endorsement Lgbt. E a chi lo ha criticato ha risposto con una certa durezza, prendendo in giro i bigotti reazionari che hanno osato commentare l'immagine. Non pago, il Vip ha deciso di parlare del libro anche nel suo programma su Radio Deejay, Catteland, e «in diretta è anche intervenuta Ilenia, una maestra della materna, che ha spiegato perché è così difficile leggere questi libri ai bambini nelle scuole».Qualcuno potrebbe dire: che c'è di male nel leggere ai bambini un libro che parla di amore? Beh, il fatto è che qui l'amore non è il centro della questione. Ai bambini che prendono in mano il volume della Elliott non viene raccontata proprio tutta la verità. Per ammissione dell'autrice, la storia parla di una bimba nata tramite maternità surrogata. Utero in affitto, dunque. Ovvero una pratica che in Italia - come ha ribadito la Cassazione di recente - è vietata in ogni caso, cioè anche quando non è retribuita. A un certo punto del libro, la piccola Pearl «è un po' confusa, perciò domanda alla sua nuova amica: “Dov'è la tua mamma?"». Sentite che cosa risponde l'amica: «Non tutte le famiglie sono formate da una mamma e un papà. Io ho due papà che si vogliono un sacco di bene». Ottimo, buon per loro. Ma il problema della mamma non è risolto. Dov'è la mamma della bimba con i due papà? Magari vive in Ucraina e per mestiere affitta il suo corpo alle coppie che vogliono un figlio? Magari sta in Canada e si fa versare migliaia di dollari per farsi fecondare da genitori gay? Tutta questa parte relativa al commercio e allo sfruttamento - come prevedibile - nel libro della Elliott non c'è. È una parte che con l'amore non c'entra nulla, ma ai bimbi non viene detto. A loro si spiega soltanto che avere due papà è la stessa cosa che avere una madre o un padre, e finisce lì. L'autrice del testo e i suoi fan sostengono che l'importante sia «spiegare i fatti con leggerezza». Ma in questo libretto tanto gradito alle celebrità, più che fatti, ci sono omissioni ben poco amorevoli.
Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Giorgetti ha poi escluso la possibilità di una manovra correttiva: «Non c'è bisogno di correggere una rotta che già gli arbitri ci dicono essere quella rotta giusta» e sottolinea l'obiettivo di tutelare e andare incontro alle famiglie e ai lavoratori con uno sguardo alle famiglie numerose». Per quanto riguarda l'ipotesi di un intervento in manovra sulle banche ha detto: «Io penso che chiunque faccia l'amministratore pubblico debba valutare con attenzione ogni euro speso dalla pubblica amministrazione. Però queste sono valutazioni politiche, ribadisco che saranno fatte solo quando il quadro di priorità sarà definito e basta aspettare due settimane».
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Il direttore generale di Renexia Riccardo Toto e il direttore de La Verità Maurizio Belpietro
Toto ha presentato il progetto di eolico offshore galleggiante al largo delle coste siciliane, destinato a produrre circa 2,7 gigawatt di energia rinnovabile. Un’iniziativa che, secondo il direttore di Renexia, rappresenta un’opportunità concreta per creare nuova occupazione e una filiera industriale nazionale: «Stiamo avviando una fabbrica in Abruzzo che genererebbe 3.200 posti di lavoro. Le rinnovabili oggi sono un’occasione per far partire un mercato che può valere fino a 45 miliardi di euro di valore aggiunto per l’economia italiana».
L’intervento ha sottolineato l’importanza di integrare le rinnovabili nel mix energetico, senza prescindere dal gas, dalle batterie e in futuro anche dal nucleare: elementi essenziali non solo per la sicurezza energetica ma anche per garantire crescita e competitività. «Non esiste un’economia senza energia - ha detto Toto - È utopistico pensare di avere solo veicoli elettrici o di modificare il mercato per legge». Toto ha inoltre evidenziato la necessità di una decisione politica chiara per far partire l’eolico offshore, con un decreto che stabilisca regole precise su dove realizzare i progetti e investimenti da privilegiare sul territorio italiano, evitando l’importazione di componenti dall’estero. Sul decreto Fer 2, secondo Renexia, occorre ripensare i tempi e le modalità: «Non dovrebbe essere lanciato prima del 2032. Serve un piano che favorisca gli investimenti in Italia e la nascita di una filiera industriale completa». Infine, Toto ha affrontato il tema della transizione energetica e dei limiti imposti dalla legislazione internazionale: la fine dei motori a combustione nel 2035, ad esempio, appare secondo lui irrealistica senza un sistema energetico pronto. «Non si può pensare di arrivare negli Usa con aerei a idrogeno o di avere un sistema completamente elettrico senza basi logiche e infrastrutturali solide».
L’incontro ha così messo in luce le opportunità dell’eolico offshore come leva strategica per innovazione, lavoro e crescita economica, sottolineando l’urgenza di politiche coerenti e investimenti mirati per trasformare l’Italia in un hub energetico competitivo in Europa.
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Da sinistra, Leonardo Meoli (Group Head of Sustainability Business Integration), Marzia Ravanelli (direttrice Quality & Sustainability) di Bonifiche Feraresi, Giuliano Zulin (La Verità) e Nicola Perizzolo (project engineer)
Al panel su Made in Italy e sostenibilità, moderato da Giuliano Zulin, vicedirettore de La Verità, tre grandi realtà italiane si sono confrontate sul tema della transizione sostenibile: Bonifiche Ferraresi, la più grande azienda agricola italiana, Barilla, colosso del food, e Generali, tra i principali gruppi assicurativi europei. Tre prospettive diverse – la terra, l’industria alimentare e la finanza – che hanno mostrato come la sostenibilità, oggi, sia al centro delle strategie di sviluppo e soprattutto della valorizzazione del Made in Italy. «Non sono d’accordo che l’agricoltura sia sempre sostenibile – ha esordito Marzia Ravanelli, direttrice del Gruppo Quality & Sustainability di Bonifiche Ferraresi –. Per sfamare il pianeta servono produzioni consistenti, e per questo il tema della sostenibilità è diventato cruciale. Noi siamo partiti dalla terra, che è la nostra anima e la nostra base, e abbiamo cercato di portare avanti un modello di valorizzazione del Made in Italy e del prodotto agricolo, per poi arrivare anche al prodotto trasformato. Il nostro obiettivo è sempre stato quello di farlo nel modo più sostenibile possibile».
Per Bf, quotata in Borsa e con oltre 11.000 ettari coltivati, la sostenibilità passa soprattutto dall’innovazione. «Attraverso l’agricoltura 4.0 – ha spiegato Ravanelli – siamo in grado di dare al terreno solo quello di cui ha bisogno, quando ne ha bisogno. Così riduciamo al minimo l’uso delle risorse: dall’acqua ai fitofarmaci. Questo approccio è un grande punto di svolta: per anni è stato sottovalutato, oggi è diventato centrale». Ma non si tratta solo di coltivare. L’azienda sta lavorando anche sull’energia: «Abbiamo dotato i nostri stabilimenti di impianti fotovoltaici e stiamo realizzando un impianto di biometano a Jolanda di Savoia, proprio dove si trova la maggior parte delle nostre superfici agricole. L’agricoltura, oltre a produrre cibo, può produrre energia, riducendo i costi e aumentando l’autonomia. È questa la sfida del futuro». Dall’agricoltura si passa all’industria alimentare.
Nicola Perizzolo, project engineer di Barilla, ha sottolineato come la sostenibilità non sia una moda, ma un percorso strutturale, con obiettivi chiari e risorse ingenti. «La proprietà, anni fa, ha preso una posizione netta: vogliamo essere un’azienda di un certo tipo e fare business in un certo modo. Oggi questo significa avere un board Esg che definisce la strategia e un piano concreto che ci porterà al 2030, con un investimento da 168 milioni di euro».Non è un impegno “di facciata”. Perizzolo ha raccontato un esempio pratico: «Quando valutiamo un investimento, per esempio l’acquisto di un nuovo forno per i biscotti, inseriamo nei costi anche il valore della CO₂ che verrà emessa. Questo cambia le scelte: non prendiamo più il forno standard, ma pretendiamo soluzioni innovative dai fornitori, anche se più complicate da gestire. Il risultato è che consumiamo meno energia, pur garantendo al consumatore lo stesso prodotto. È stato uno stimolo enorme, altrimenti avremmo continuato a fare quello che si è sempre fatto».
Secondo Perizzolo, la sostenibilità è anche una leva reputazionale e sociale: «Barilla è disposta ad accettare tempi di ritorno più lunghi sugli investimenti legati alla sostenibilità. Lo facciamo perché crediamo che ci siano benefici indiretti: la reputazione, l’attrattività verso i giovani, la fiducia dei consumatori. Gli ingegneri che partecipano alle selezioni ci chiedono se quello che dichiariamo è vero. Una volta entrati, verificano con mano che lo è davvero. Questo fa la differenza».
Se agricoltura e industria alimentare sono chiamate a garantire filiere più pulite e trasparenti, la finanza deve fare la sua parte nel sostenerle. Leonardo Meoli, Group Head of Sustainability Business Integration di Generali, ha ricordato come la compagnia assicurativa lavori da anni per integrare la sostenibilità nei modelli di business: «Ogni nostra attività viene valutata sia dal punto di vista economico, sia in termini di impatto ambientale e sociale. Abbiamo stanziato 12 miliardi di euro in tre anni per investimenti legati alla transizione energetica, e siamo molto focalizzati sul supporto alle imprese e agli individui nella resilienza e nella protezione dai rischi climatici». Il mercato, ha osservato Meoli, risponde positivamente: «Vediamo che i volumi dei prodotti assicurativi con caratteristiche ESG crescono, soprattutto in Europa e in Asia. Ma è chiaro che non basta dire che un prodotto è sostenibile: deve anche garantire un ritorno economico competitivo. Quando riusciamo a unire le due cose, il cliente risponde bene».
Dalle parole dei tre manager emerge una convinzione condivisa: la sostenibilità non è un costo da sopportare, ma un investimento che rafforza la competitività del Made in Italy. «Non si tratta solo di rispettare regole o rincorrere mode – ha sintetizzato Ravanelli –. Si tratta di creare un modello di sviluppo che tenga insieme produzione, ambiente e società. Solo così possiamo guardare al futuro».In questo incrocio tra agricoltura, industria e finanza, il Made in Italy trova la sua forza. Il marchio non è più soltanto sinonimo di qualità e tradizione, ma sempre di più di innovazione e responsabilità. Dalle campagne di Jolanda di Savoia ai forni di Mulino Bianco, fino alle grandi scelte di investimento globale, la transizione passa per la capacità delle imprese italiane di essere sostenibili senza smettere di essere competitive. È la sfida del presente, ma soprattutto del futuro.
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