2023-06-07
Il green pass pure per obbligarci a fare i verdi
Margrethe Vestager (Getty images)
Tra gli obiettivi dell’accordo tra Bruxelles e l’Oms sul certificato globale spunta pure la «neutralità climatica» e la lotta alla CO2. Un altro passo verso la trasformazione dei cittadini in identità digitali. Facili da controllare. Due giorni fa l’Unione europea e l’Oms, Organizzazione mondiale della sanità, si sono accordate per estendere il green pass per sempre. È il primo passo per l’estensione del certificato Covid 19 per il resto del globo. La piattaforma sottostante, una blockchain chiusa, sarà l’elemento fondamentale per i successivi utilizzi. La notizia, per chi legge La Verità da tempo, non è certo inaspettata. Nell’ottobre del 2021 entrammo su questi temi, anticipando quali sarebbero stati i futuri step del lasciapassare. Indicammo la prima e immediata funzione per distinguere i vaccinati da chi non si era sottoposto alle iniezioni Pfizer o Moderna. Andammo poi a vedere che tipologia di piattaforma era stata creata per collegare a essa una serie di attività di controllo. Monitoraggio climatico, fiscale, fino all’introduzione dell’euro digitale. Inutile dire che all’indomani dalla pubblicazione dei primi articoli, il nostro quotidiano finì nel mirino dei buoni e giusti sempre allineati al racconto fatto dai potenti di turno. In realtà non era difficile prevedere che il green pass una volta inventato non sarebbe più stato spento. È bastato ascoltare il discorso d’insediamento di Ursula von der Leyen per capire che la Commissione avrebbe fatto di tutto per mettere a terra l’Agenda 2030 e il progetto di digitalizzazione del Vecchio Continente. A quel punto non è stato difficile scaricare il piano di infrastruttura digitale e unire i puntini. L’obiettivo, messo nero su bianco a febbraio del 2020, è quello di trasformare i cittadini in identità digitale e i governi in piattaforme. Se ancora qualcuno fosse restio a comprendere che siamo nel mezzo di un imponente passaggio storico che, tra l’altro, impatterà anche sugli equilibri democratici del Continente e dei singoli Paesi membri, consigliamo la letture del documento sottostante l’accordo annunciato due giorni fa da Ue e Oms. Il documento si chiama «Eu global health strategy». È diviso in vari punti. Dallo sviluppo della tracciabilità, dei data base, l’interoperabilità dei dati, fino alla lotta all’Aids o ad altre malattie pandemiche. Fin qui tutto in linea con quello che anche la logica spinge a definire un lasciapassare sanitario. Interessante è, invece, il punto 12. Qui l’Ue spiega che si adopererà per rafforzare il coordinamento della mappatura dei ruoli, delle responsabilità politiche «al fine di avviare linee guida su due aree chiave». La prima - citiamo il testo - è: «Perseguire la neutralità climatica globale entro il 2050, aumentando la capacità di adattamento, rafforzare la resilienza e ridurre la vulnerabilità ai cambiamenti climatici, in conformità con l’Accordo di Parigi». La seconda: «Promuovere un’azione globale ambiziosa per affrontare la perdita di biodiversità, l’inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo». Promuovere l’approccio One Health per il futuro «Quadro globale per la biodiversità da concordare alla Conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità». Che cos’è l’approccio One Health?In pratica, è la filosofia che considera la salute dell’Ambiente e del pianeta alla pari di quella dei singoli individui. In pratica, il cambio di colore del comunismo. Dal rosso al verde dell’ambiente. Nella realtà, si tratta di una strategia che impone vincoli progressivi e sempre più stringenti agli individui per un cosiddetto bene collettivo. Esattamente quando accaduto durante la pandemia e quanto sta accadendo nell’ambito della transizione ecologica. Non stupisce dunque, anche se fa riflettere, che nella strategia sanitaria digitale dell’Ue compaia l’Accordo di Parigi e l’idea di utilizzare il green pass per imporre vincoli e limitazioni ecologiche. Ovviamente, il documento non indica altro. Non spiega né quale possa essere il nesso o quali invasioni di campo pratiche possano essere fatte nella vita delle persone. In realtà, qua e là per il mondo ci sono già esempi. Ad esempio il «carbon foot printing», cioè la tracciabilità di quanto una nostra azione impatti teoricamente sulle emissioni di CO2. Ci sono già app che collegano all’acquisto di un biglietto aereo, ma anche a quello di una bistecca l’entità di emissioni. Ovviamente non c’è nulla di comprovato, ma serve a collegare alla spesa fatta con la carta di credito un sistema premiale. Meno fai acquisti «inquinanti» più puoi incassare punti premio da spendere su specifiche piattaforme di e-commerce. Basterà invertire il processo di calcolo per passare da un sistema premiale a uno punitivo. Per farlo serve trasformare i governi in piattaforme digitali che possono tracciare le nostre spese e i nostri consumi. Fantascienza? No assolutamente. La blockchain è esattamente ciò che serve. E l’idea di creare degli «e-government» per rendere le tasse più trasparenti e il sistema redistributivo (il termine fa venire i brividi) appare per la prima volta in un documento del 2017 firmato da Federica Mogherini (al tempo Lady Pesc), Jean-Claude Juncker (presidente della Commissione), Antonio Tajani (presidente del Parlamento). L’obiettivo, ribadito nel febbraio 2020, è stato raggiunto durante il lockdown e la pandemia. Adesso il green pass ha bisogno di almeno altri due anni per evolversi e svilupparsi. Poi potrà fare il salto in avanti. La stessa blockchain sarà in grado di attivare l’euro digitale, e a quel punto i cittadini saranno padroni dei propri soldi solo in modo virtuale.
Mario Draghi e Ursula von der Leyen (Ansa)
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