
Giuseppe Conte ha annunciato di voler mettere mano alla riforma Renzi degli istituti cooperativi. L'obiettivo reale non è stopparla, ma sterzarla verso il modello tedesco. La vigilanza del settore non sarebbe più competenza di Francoforte ma di Bankitalia.Da una decina di giorni i quotidiani sono affollati di commenti sul futuro delle banche di credito cooperativo. Le Bcc sono infatti a un bivio definitivo ed entro settembre il comparto si aspetta il consolidamento tramite la riforma voluta e approvata dal governo Renzi nel 2016. Il settore, che vale da solo oltre 10 miliardi di raccolta, si è scisso in due gruppi, uno guidato dai trentini di Cassa centrale banca, e l'altro, più ampio, rimasto nelle vicinanze di Iccrea. Le Bcc sono rimaste in panchina e hanno assistito alla riforma burrascosa delle banche popolari. Il giorno del suo insediamento il premier, Giuseppe Conte, ha esplicitato i dubbi del nuovo governo. Se sulle Popolari il ragionamento è molto complicato (difficile reinfilare il dentifricio nel tubetto), sulle Bcc la volontà è quella di fare un passo di lato. Nonostante si siano levate voci sulla volontà di interrompere la riforma, secondo quanto risulta alla Verità il governo ha in mente una strategia molto più diplomatica. Esiste una mozione della Lega che punta alla sospensione dei termini entro i quali dovranno essere costituiti i gruppi bancari. Da questo passaggio intermedio si punta all'applicazione di un nuovo approccio al comparto che passi attraverso il riconoscimento di un sistema di tutela istituzionale. In gergo tecnico, attraverso Bankitalia il governo Conte mira all'applicazione di un «Ips» (institutional protection scheme). In pratica i gruppi bancari, invece di essere considerati entità giuridiche a tutti gli effetti, si consorzieranno sotto l'ombrello di un accordo di responsabilità contrattuale. Un network che tutela gli enti partecipanti e soprattutto ne garantisce la liquidità e la solvibilità, esattamente come avviene in Germania all'interno delle Sparkasse. Il riconoscimento, infatti, di un Ips comporta che alcuni requisiti prudenziali previsti per le singole banche non si applichino parimenti agli enti che sono membri dell'Ips stesso, secondo modalità analoghe a quelle adottate nel trattamento dei soggetti appartenenti a un gruppo bancario consolidato.Ne deriva una conseguenza fondamentale. Applicando in toto la riforma secondo il modello Renzi, la maggior parte delle Bcc entro la fine del 2018 ricadrebbe sotto la vigilanza della Bce di Mario Draghi. Al contrario, con l'opzione allo studio più o meno il 90% del credito cooperativo resterebbe sotto la responsabilità di Bankitalia. E ciò sarebbe veramente in grado di cambiare lo scenario. Una buona fetta dei funzionari di Palazzo Koch non sarebbe certo sfavorevole a intestarsi la vigilanza del comparto cooperativo. Ad esempio, Lanfranco Suardo, da un anno e mezzo a capo del servizio supervisione bancaria, si è a lungo occupato dell'area rischi dei gruppi bancari e su tali temi ha un ampio background da mettere sul tavola della riforma. A premere c'è sicuramente anche il neo ministro per i rapporti con il Parlamento, Riccardo Fraccaro, che ha esplicitamente detto che il modello Renzi è da «riscrivere a fondo». «Il decreto» ha affermato con una lettera pubblicata sul Corriere del Trentino, «ha costretto le banche di credito cooperativo a trasformarsi in spa o a sottomettersi a una capogruppo - sempre società per azioni - che esercita invasivi poteri di controllo su tutte le aderenti. È una riforma che impatterebbe significativamente sulle numerose piccole banche del nostro Paese e di conseguenza sui loro tipici clienti, le famiglie e le piccole e medie imprese». Fraccaro è molto vicino al territorio che l'ha eletto. E per il Trentino Cassa centrale banca è vitale. sommate le singole istanza regionali, appare così chiaro che la sfida di Conte è liberare le Bcc dalla Bce giocando una nuova partita a scacchi.
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