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2020-03-25
Conte cede ai sindacati e rifà il decreto
Giuseppe Conte (Ansa)
Si procede giorno per giorno. È l'orizzonte che il governo sembra essersi dato per affrontare la crisi economica da coronavirus. Dopo aver partorito in 24 ore un decreto che andava a inasprire la serrata delle attività produttive, ieri la lunga teleconferenza, che ha frapposto il ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri, e quello dello Sviluppo economico, Stefano Patuanlli, ha partorito un altro topolino. L'obiettivo è redigere una nuova lista di attività considerate essenziali. In sostanza, il governo per evitare gli scioperi a difesa della salute dei lavoratori accetta l'idea di chiudere un numero maggiore di fabbriche. È comprensibile che le sigle antepongano la salute al lavoro, ma è altrettanto logico aspettarsi una strategia, che invece manca.
Innanzitutto, il criterio. La liste delle attività essenziali non può essere frutto di un tira e molla tra parti sociali. Dovrebbe essere frutto di un documento «scientifico» che analizzi gli effetti ex post delle chiusure. In termini economici e in termini di filiera. In pratica, ci vuole un esperto di supply chain, il modello anglosassone di logistica. E non una accozzaglia di codici ateco, che non sono in grado di tracciare le esigenze della popolazione. Inoltre, se un governo vuole tutelare la salute dei cittadini può fornire i presidi sanitari essenziali a tutti gli imprenditori, i quali saranno obbligati a fornirli a loro volta ai dipendenti. Se non è possibile, allora bisogna essere sinceri e chiudere il maggior numero possibile di imprese. Alle quali però va fornito un salvagente. Va fornito un supporto economico, altrimenti la gran parte dopo il virus non riaprirà mai più. Sul tema degli aiuti, la situazione è altrettanto vaga e complessa. Al momento come ha anche confermato il ministro Patuanelli gli aiuti diretti alle aziende hanno superato di poco la cifra dei 3 miliardi. Tutti diretti agli ammortizzatori e ai fondi di garanzia. Gli altri miliardi promessi nel decreto della scorsa settimana ancora non ci sono. Ieri, il collega del Mef ha ricordato che solo la prossima settimana saranno distribuiti i moduli online per chiedere l'erogazione dei 600 euro di bonus alle partite Iva. Martedì prossimo è già il 31 e i soldi dovrebbero essere erogati entro fine mese: un'altra promessa difficile da mantenere. Anche perché pure in questo caso i fondi non bastano e sono rimasti fuori circa 2 milioni di autonomi. Chi aiuterà loro e le altre aziende che saranno costrette a chiudere dal prossimo decreto in arrivo?
«È positiva l'attivazione della clausola di sospensione del patto di stabilità, non solo per la necessaria flessibilità con cui considerare gli interventi d'emergenza, ma anche per quanto riguarda il percorso di rientro che dovrà essere adeguatamente adattato e che riguarderà anche la prossima legge di bilancio», ha detto Gualtieri ieri tra una riunione e l'altra, annunciando che sono stati anche «messi a disposizione 37 miliardi delle politiche di coesione e ci avvarremo di queste risorse per sostenere le misure del prossimo decreto». Un altro annuncio abbastanza vago che sembra confliggere con il lavoro intenso che una parte dei tecnici del Mef sta facendo per proporre all'Europa di incamerare una fetta di fondi destinati alle future politiche «green». In ogni caso a preoccupare è di nuovo l'esiguità della cifra; 37 miliardi anche se fossero denaro vero e quindi elargibile direttamente alle aziende, rischiano di essere una piccola toppa. Passi quanto accaduto il mese di marzo, ma ad aprile non si può tenere la stessa logica. Se la situazione non cambia arriveranno anche il caos sociale e gli scioperi selvaggi e a quel punto si rischia l'interruzione della filiera produttiva anche dei settori sensibili. Più passa il tempo e le politiche economiche sono esigue, più sarà difficile tamponare i danni. Basti pensare la tensione che in queste ore si sta creando attorno ai distributori e alle banche. Nel secondo caso si cerca una soluzione di limitazione del numero delle filiali e accesso su prenotazione. Nel primo l'impatto della crisi è ancor più forte. Il traffico è calato dell'80%. E le vendite alla pompa ancora di più. Così i titolari dei distributori si chiedono se valga la pena rischiare la vita. Se si fermano però i supermercati si svuotano. Così per scongiurare lo sciopero ieri il Mise e il ministero guidato da Paola De Micheli hanno annunciato la disponibilità «ad applicare misure provvisorie di sostegno che includono la sospensione del corrispettivo contrattuale da parte dei gestori di carburante e la gestione della pulizia dei piazzali». Dal canto loro, i gestori potranno concordare con i concessionari autostradali periodi di apertura alternata, in funzione della dinamica del traffico. «Dovranno essere, in ogni caso assicurati, i rifornimenti in modalità self service», conclude la nota. C'è sempre da sperare nel buonsenso dei cittadini. Finché dura.
Gualtieri tira dritto e invoca il Mes. Poi fa il cantastorie: «Pil recuperabile»
L'inguaribile ottimismo di Roberto Gualtieri colpisce ancora. In audizione sul decreto Cura Italia, ieri il ministro del Tesoro ci ha spiegato che la situazione è grave ma non seria. Ovvero che il calo del Pil italiano nel 2020 sarà assolutamente «gestibile e recuperabile». Insomma il governo prevede una contrazione «di qualche punto percentuale», peanuts direbbero gli inglesi. E comunque l'impatto sarà indicato a pieno nel Documento di economia e finanza di prossima definizione, ha assicurato il Gualtieri. Senza fornire cifre.
E con un kafkiano processo di rimozione che forse gli ha fatto dimenticare le ultime previsioni snocciolate da Moody's, Jp Morgan e soprattutto da quei ragazzacci di Goldman Sachs che proprio ieri hanno aggiornato le stime sul Pil del nostro Paese: quest'anno la nostra economia calerà dell'11,6%. Non solo, avremo pure un forte aumento del deficit, che raggiungerà il 10% del prodotto interno lordo, a causa delle urgenti misure di spesa adottate per contenere l'emergenza sanitaria e l'impatto della crisi economica su imprese, lavoratori e famiglie. Un altro pianeta rispetto a quello da cui sembrava arrivare il ministro in audizione dove ha comunque precisato che «al momento con l'incertezza attuale del contesto è difficile delineare un affidabile quadro di previsioni, perché la priorità oggi è il contrasto alla diffusione dell'epidemia e le variabili sono ancora molte per quanto riguarda la sua profondità e durata».
Fra le risorse a cui guarda il governo per finanziare lo shock economico del coronavirus c'è l'ipotesi «di usare l'emissione di eurobond da parte del Mes, senza alcuna condizionalità», ha poi aggiunto. Peccato che l'eurobond sia stato praticamente già bocciato dai tedeschi e che il Mes senza condizionalità non esista. Ci saranno inoltre pochi margini di intervento per modificare il decreto di marzo con il quale il governo ha messo 25 miliardi per fronteggiare la crisi, è stato costretto ad ammettere il ministro ricordando che è stato «utilizzato tutto il margine di indebitamento autorizzato dal Parlamento». Tanto che dovrà rapidamente tornare in Aula per chiedere l'autorizzazione a un ulteriore scostamento del deficit per finanziare il decreto di aprile.
Armi spuntate e richieste peregrine finite sul tavolo dell'Eurogruppo riunito ieri pomeriggio fino a tarda sera, dove i singoli Stati non sarebbero ancora arrivati a trovare la quadra sul ruolo del Meccanismo europeo di stabilità. Una conferma indiretta arriva dal ministro delle finanze francese Bruno Le Maire che prima ha indicato che la posizione della Francia è a favore di un intervento del Fondo salvastati «in modo semplice e senza fissare condizioni che possono essere penalizzanti per i Paesi che ne fanno ricorso». E poi ha aggiunto che in ogni caso «non c'è urgenza» per un'intesa. Quando fino al giorno prima era stato lui stesso a caldeggiare una decisione rapida di carattere «europeo» per rafforzare le difese dal virus.
Il nodo principale da sciogliere resta sempre quello delle condizioni in base alle quali uno Stato può accedere alla linea di credito del Mes con i falchi olandesi e tedeschi che hanno alzato la guardia anche contro l'ipotesi di un coronabond. Qualche giorno fa il ministro delle finanze tedesco, Olaf Scholz, ha indicato che un dibattito sul Fondo salvastati è «prematuro» poiché prima di ogni altra cosa occorre che le misure prese abbiano il loro effetto soprattutto dopo lo scudo monetario offerto dalla Bce e la sospensione di fatto delle regole di bilancio Ue. Meglio prendere tempo, sarebbe quindi la posizione nel cosiddetto fronte del Nord, e riaggiornare le discussioni su nuovi strumenti e nuove piste all'inizio di giugno, se la diffusione del virus non dovesse essere messa sotto controllo e la semiparalisi economica perdurare. E nel frattempo usare gli strumenti esistenti facendo leva sul bilancio Ue a sulla Banca europea degli investimenti, che ha proposto un piano per mobilitare fino a 40 miliardi di finanziamenti.
Ieri i ministri si sarebbero dunque limitati a fare il punto sulle soluzioni possibili passando la palla direttamente ai capi di Stato e di governo che si riuniranno domani sempre in videoconferenza. Prima dell'inizio della riunione, lo stesso presidente dell'Eurogruppo Mário Centeno si era limitato a ricordare che l'obiettivo è «avere nuove linee di difesa per l'euro, per impedire che questa crisi economica diventi finanziaria», aggiungendo di voler riferire soluzioni al summit di domani «senza tagliare nessuna possibile strada».
Intanto, sempre ieri in mattinata si è tenuta una conferenza telefonica tra i ministri delle Finanze e governatori del G7 che da ora in poi si coordineranno su base settimanale. Sul tavolo, anche la richiesta ai produttori di petrolio di cercare di aiutare gli sforzi per mantenere la stabilità economica globale. Il riferimento è alla guerra dei prezzi in corso tra l'Arabia Saudita e la Russia che ha portato a un crollo del prezzo del greggio.
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Riunione fiume per evitare scioperi (già annunciato quello dei benzinai). I sindacati chiedono presidi sanitari, gli imprenditori più soldi. Stefano Patuanelli inventa la soluzione a metà: cambiare la lista delle imprese essenziali. Annunciati per aprile 37 miliardi di fondi Ue. Scontro all'Eurogruppo, andato avanti nella notte. La palla potrebbe passare al Consiglio europeo che si terrà domani. Lo speciale contiene due articoli. Si procede giorno per giorno. È l'orizzonte che il governo sembra essersi dato per affrontare la crisi economica da coronavirus. Dopo aver partorito in 24 ore un decreto che andava a inasprire la serrata delle attività produttive, ieri la lunga teleconferenza, che ha frapposto il ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri, e quello dello Sviluppo economico, Stefano Patuanlli, ha partorito un altro topolino. L'obiettivo è redigere una nuova lista di attività considerate essenziali. In sostanza, il governo per evitare gli scioperi a difesa della salute dei lavoratori accetta l'idea di chiudere un numero maggiore di fabbriche. È comprensibile che le sigle antepongano la salute al lavoro, ma è altrettanto logico aspettarsi una strategia, che invece manca. Innanzitutto, il criterio. La liste delle attività essenziali non può essere frutto di un tira e molla tra parti sociali. Dovrebbe essere frutto di un documento «scientifico» che analizzi gli effetti ex post delle chiusure. In termini economici e in termini di filiera. In pratica, ci vuole un esperto di supply chain, il modello anglosassone di logistica. E non una accozzaglia di codici ateco, che non sono in grado di tracciare le esigenze della popolazione. Inoltre, se un governo vuole tutelare la salute dei cittadini può fornire i presidi sanitari essenziali a tutti gli imprenditori, i quali saranno obbligati a fornirli a loro volta ai dipendenti. Se non è possibile, allora bisogna essere sinceri e chiudere il maggior numero possibile di imprese. Alle quali però va fornito un salvagente. Va fornito un supporto economico, altrimenti la gran parte dopo il virus non riaprirà mai più. Sul tema degli aiuti, la situazione è altrettanto vaga e complessa. Al momento come ha anche confermato il ministro Patuanelli gli aiuti diretti alle aziende hanno superato di poco la cifra dei 3 miliardi. Tutti diretti agli ammortizzatori e ai fondi di garanzia. Gli altri miliardi promessi nel decreto della scorsa settimana ancora non ci sono. Ieri, il collega del Mef ha ricordato che solo la prossima settimana saranno distribuiti i moduli online per chiedere l'erogazione dei 600 euro di bonus alle partite Iva. Martedì prossimo è già il 31 e i soldi dovrebbero essere erogati entro fine mese: un'altra promessa difficile da mantenere. Anche perché pure in questo caso i fondi non bastano e sono rimasti fuori circa 2 milioni di autonomi. Chi aiuterà loro e le altre aziende che saranno costrette a chiudere dal prossimo decreto in arrivo? «È positiva l'attivazione della clausola di sospensione del patto di stabilità, non solo per la necessaria flessibilità con cui considerare gli interventi d'emergenza, ma anche per quanto riguarda il percorso di rientro che dovrà essere adeguatamente adattato e che riguarderà anche la prossima legge di bilancio», ha detto Gualtieri ieri tra una riunione e l'altra, annunciando che sono stati anche «messi a disposizione 37 miliardi delle politiche di coesione e ci avvarremo di queste risorse per sostenere le misure del prossimo decreto». Un altro annuncio abbastanza vago che sembra confliggere con il lavoro intenso che una parte dei tecnici del Mef sta facendo per proporre all'Europa di incamerare una fetta di fondi destinati alle future politiche «green». In ogni caso a preoccupare è di nuovo l'esiguità della cifra; 37 miliardi anche se fossero denaro vero e quindi elargibile direttamente alle aziende, rischiano di essere una piccola toppa. Passi quanto accaduto il mese di marzo, ma ad aprile non si può tenere la stessa logica. Se la situazione non cambia arriveranno anche il caos sociale e gli scioperi selvaggi e a quel punto si rischia l'interruzione della filiera produttiva anche dei settori sensibili. Più passa il tempo e le politiche economiche sono esigue, più sarà difficile tamponare i danni. Basti pensare la tensione che in queste ore si sta creando attorno ai distributori e alle banche. Nel secondo caso si cerca una soluzione di limitazione del numero delle filiali e accesso su prenotazione. Nel primo l'impatto della crisi è ancor più forte. Il traffico è calato dell'80%. E le vendite alla pompa ancora di più. Così i titolari dei distributori si chiedono se valga la pena rischiare la vita. Se si fermano però i supermercati si svuotano. Così per scongiurare lo sciopero ieri il Mise e il ministero guidato da Paola De Micheli hanno annunciato la disponibilità «ad applicare misure provvisorie di sostegno che includono la sospensione del corrispettivo contrattuale da parte dei gestori di carburante e la gestione della pulizia dei piazzali». Dal canto loro, i gestori potranno concordare con i concessionari autostradali periodi di apertura alternata, in funzione della dinamica del traffico. «Dovranno essere, in ogni caso assicurati, i rifornimenti in modalità self service», conclude la nota. C'è sempre da sperare nel buonsenso dei cittadini. 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E comunque l'impatto sarà indicato a pieno nel Documento di economia e finanza di prossima definizione, ha assicurato il Gualtieri. Senza fornire cifre. E con un kafkiano processo di rimozione che forse gli ha fatto dimenticare le ultime previsioni snocciolate da Moody's, Jp Morgan e soprattutto da quei ragazzacci di Goldman Sachs che proprio ieri hanno aggiornato le stime sul Pil del nostro Paese: quest'anno la nostra economia calerà dell'11,6%. Non solo, avremo pure un forte aumento del deficit, che raggiungerà il 10% del prodotto interno lordo, a causa delle urgenti misure di spesa adottate per contenere l'emergenza sanitaria e l'impatto della crisi economica su imprese, lavoratori e famiglie. Un altro pianeta rispetto a quello da cui sembrava arrivare il ministro in audizione dove ha comunque precisato che «al momento con l'incertezza attuale del contesto è difficile delineare un affidabile quadro di previsioni, perché la priorità oggi è il contrasto alla diffusione dell'epidemia e le variabili sono ancora molte per quanto riguarda la sua profondità e durata». Fra le risorse a cui guarda il governo per finanziare lo shock economico del coronavirus c'è l'ipotesi «di usare l'emissione di eurobond da parte del Mes, senza alcuna condizionalità», ha poi aggiunto. Peccato che l'eurobond sia stato praticamente già bocciato dai tedeschi e che il Mes senza condizionalità non esista. Ci saranno inoltre pochi margini di intervento per modificare il decreto di marzo con il quale il governo ha messo 25 miliardi per fronteggiare la crisi, è stato costretto ad ammettere il ministro ricordando che è stato «utilizzato tutto il margine di indebitamento autorizzato dal Parlamento». Tanto che dovrà rapidamente tornare in Aula per chiedere l'autorizzazione a un ulteriore scostamento del deficit per finanziare il decreto di aprile. Armi spuntate e richieste peregrine finite sul tavolo dell'Eurogruppo riunito ieri pomeriggio fino a tarda sera, dove i singoli Stati non sarebbero ancora arrivati a trovare la quadra sul ruolo del Meccanismo europeo di stabilità. Una conferma indiretta arriva dal ministro delle finanze francese Bruno Le Maire che prima ha indicato che la posizione della Francia è a favore di un intervento del Fondo salvastati «in modo semplice e senza fissare condizioni che possono essere penalizzanti per i Paesi che ne fanno ricorso». E poi ha aggiunto che in ogni caso «non c'è urgenza» per un'intesa. Quando fino al giorno prima era stato lui stesso a caldeggiare una decisione rapida di carattere «europeo» per rafforzare le difese dal virus. Il nodo principale da sciogliere resta sempre quello delle condizioni in base alle quali uno Stato può accedere alla linea di credito del Mes con i falchi olandesi e tedeschi che hanno alzato la guardia anche contro l'ipotesi di un coronabond. Qualche giorno fa il ministro delle finanze tedesco, Olaf Scholz, ha indicato che un dibattito sul Fondo salvastati è «prematuro» poiché prima di ogni altra cosa occorre che le misure prese abbiano il loro effetto soprattutto dopo lo scudo monetario offerto dalla Bce e la sospensione di fatto delle regole di bilancio Ue. Meglio prendere tempo, sarebbe quindi la posizione nel cosiddetto fronte del Nord, e riaggiornare le discussioni su nuovi strumenti e nuove piste all'inizio di giugno, se la diffusione del virus non dovesse essere messa sotto controllo e la semiparalisi economica perdurare. E nel frattempo usare gli strumenti esistenti facendo leva sul bilancio Ue a sulla Banca europea degli investimenti, che ha proposto un piano per mobilitare fino a 40 miliardi di finanziamenti. Ieri i ministri si sarebbero dunque limitati a fare il punto sulle soluzioni possibili passando la palla direttamente ai capi di Stato e di governo che si riuniranno domani sempre in videoconferenza. Prima dell'inizio della riunione, lo stesso presidente dell'Eurogruppo Mário Centeno si era limitato a ricordare che l'obiettivo è «avere nuove linee di difesa per l'euro, per impedire che questa crisi economica diventi finanziaria», aggiungendo di voler riferire soluzioni al summit di domani «senza tagliare nessuna possibile strada». Intanto, sempre ieri in mattinata si è tenuta una conferenza telefonica tra i ministri delle Finanze e governatori del G7 che da ora in poi si coordineranno su base settimanale. Sul tavolo, anche la richiesta ai produttori di petrolio di cercare di aiutare gli sforzi per mantenere la stabilità economica globale. Il riferimento è alla guerra dei prezzi in corso tra l'Arabia Saudita e la Russia che ha portato a un crollo del prezzo del greggio.
La risposta alla scoppiettante Atreju è stata una grigia assemblea piddina
Il tema di quest’anno, Angeli e Demoni, ha guidato il percorso visivo e narrativo dell’evento. Il manifesto ufficiale, firmato dal torinese Antonio Lapone, omaggia la Torino magica ed esoterica e il fumetto franco-belga. Nel visual, una cosplayer attraversa il confine tra luce e oscurità, tra bene e male, tra simboli antichi e cultura pop moderna, sfogliando un fumetto da cui si sprigiona luce bianca: un ponte tra tradizione e innovazione, tra arte e narrazione.
Fumettisti e illustratori sono stati il cuore pulsante dell’Oval: oltre 40 autori, tra cui il cinese Liang Azha e Lorenzo Pastrovicchio della scuderia Disney, hanno accolto il pubblico tra sketch e disegni personalizzati, conferenze e presentazioni. Primo Nero, fenomeno virale del web con oltre 400.000 follower, ha presentato il suo debutto editoriale con L’Inkredibile Primo Nero Show, mentre Sbam! e altre case editrici hanno ospitato esposizioni, reading e performance di autori come Giorgio Sommacal, Claudio Taurisano e Vince Ricotta, che ha anche suonato dal vivo.
Il cosplay ha confermato la sua centralità: più di 120 partecipanti si sono sfidati nella tappa italiana del Nordic Cosplay Championship, con Carlo Visintini vincitore e qualificato per la finale in Svezia. Parallelamente, il propmaking ha permesso di scoprire il lavoro artigianale dietro armi, elmi e oggetti scenici, rivelando la complessità della costruzione dei personaggi.
La musica ha attraversato generazioni e stili. La Battle of the Bands ha offerto uno spazio alle band emergenti, mentre le icone delle sigle tv, Giorgio Vanni e Cristina D’Avena, hanno trasformato l’Oval in un grande palco popolare, richiamando migliaia di fan. Non è mancato il K-pop, con workshop, esibizioni e karaoke coreano, che ha coinvolto i più giovani in una dimensione interattiva e partecipativa. La manifestazione ha integrato anche dimensioni educative e culturali. Il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino ha esplorato il ruolo della matematica nei fumetti, mostrando come concetti scientifici possano dialogare con la narrazione visiva. Lo chef Carlo Mele, alias Ojisan, ha illustrato la relazione tra cibo e animazione giapponese, trasformando piatti iconici degli anime in esperienze reali. Il pubblico ha potuto immergersi nella magia del Villaggio di Natale, quest’anno allestito nella Casa del Grinch, tra laboratori creativi, truccabimbi e la Christmas Elf Dance, mentre l’area games e l’area videogames hanno offerto tornei, postazioni libere e spazi dedicati a giochi indipendenti, modellismo e miniature, garantendo una partecipazione attiva e immersiva a tutte le età.
Con 28.000 visitatori in due giorni, Xmas Comics & Games conferma la propria crescita come festival della cultura pop, capace di unire creatività, spettacolo e narrazione, senza dimenticare la componente sociale e educativa. Tra fumetti, cosplay, musica e gioco, Torino è diventata il punto d’incontro per chi vuole vivere in prima persona il racconto pop contemporaneo, dove ogni linguaggio si intreccia e dialoga con gli altri, trasformando la fiera in una grande esperienza culturale condivisa.
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i,Hamza Abdi Barre (Getty Images)
La Somalia è intrappolata in una spirale di instabilità sempre più profonda: un’insurrezione jihadista in crescita, un apparato di sicurezza inefficiente, una leadership politica divisa e la competizione tra potenze vicine che alimenta rivalità interne. Il controllo effettivo del governo federale si riduce ormai alla capitale e a poche località satelliti, una sorta di isola amministrativa circondata da gruppi armati e clan in competizione. L’esercito nazionale, logorato, frammentato e privo di una catena di comando solida, non è in grado di garantire la sicurezza nemmeno sulle principali rotte commerciali che costeggiano il Paese. In queste condizioni, il collasso dell’autorità centrale e la caduta di Mogadiscio nelle mani di gruppi ostili rappresentano scenari sempre meno remoti, con ripercussioni dirette sulla navigazione internazionale e sulla sicurezza regionale.
La pirateria somala, un tempo contenuta da pattugliamenti congiunti e operazioni navali multilaterali, è oggi alimentata anche dal radicamento di milizie jihadiste che controllano vaste aree dell’entroterra. Questi gruppi, dopo anni di scontri contro il governo federale e di brevi avanzate respinte con l’aiuto delle forze speciali straniere, hanno recuperato terreno e consolidato le proprie basi logistiche proprio lungo i corridoi costieri. Da qui hanno intensificato sequestri, assalti e sabotaggi, colpendo infrastrutture critiche e perfino centri governativi di intelligence. L’attacco del 2025 contro una sede dei servizi somali, che portò alla liberazione di decine di detenuti, diede il segnale dell’audacia crescente di questi movimenti.
Le debolezze dell’apparato statale restano uno dei fattori decisivi. Nonostante due decenni di aiuti, investimenti e programmi di addestramento militare, le forze somale non riescono a condurre operazioni continuative contro reti criminali e gruppi jihadisti. Il consumo interno di risorse, la corruzione diffusa, i legami di fedeltà clanici e la dipendenza dall’Agenzia dell’Unione africana per il supporto alla sicurezza hanno sgretolato ogni tentativo di riforma. Nel frattempo, l’interferenza politica nella gestione della missione internazionale ha sfiancato i donatori, ridotto il coordinamento e lasciato presagire un imminente disimpegno. A questo si aggiungono le tensioni istituzionali: modifiche costituzionali controverse, una mappa federale contestata e tentativi percepiti come manovre per prolungare la permanenza al potere della leadership attuale hanno spaccato la classe politica e paralizzato qualsiasi risposta comune alla minaccia emergente. Mentre i vertici si dividono, le bande armate osservano, consolidano il controllo del territorio e preparano nuovi colpi contro la navigazione e le città costiere. Sul piano internazionale cresce il numero di governi che, temendo un collasso definitivo del sistema federale, sondano discretamente la possibilità di una trattativa con i gruppi armati. Ma l’ipotesi di una Mogadiscio conquistata da milizie che già controllano ampie aree della costa solleva timori concreti: un ritorno alla pirateria sistemica, attacchi oltre confine e una spirale di conflitti locali che coinvolgerebbe l’intero Corno d’Africa.
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Il presidente eletto del Cile José Antonio Kast e sua moglie Maria Pia Adriasola (Ansa)
Un elemento significativo di queste elezioni presidenziali è stata l’elevata affluenza alle urne, che si è rivelata in aumento del 38% rispetto al 2021. Quelle di ieri sono infatti state le prime elezioni tenute dopo che, nel 2022, è stato introdotto il voto obbligatorio. La vittoria di Kast ha fatto da contraltare alla crisi della sinistra cilena. Il presidente uscente, Gabriel Boric, aveva vinto quattro anni fa, facendo leva soprattutto sull’impopolarità dell’amministrazione di centrodestra, guidata da Sebastián Piñera. Tuttavia, a partire dal 2023, gli indici di gradimento di Boric sono iniziati a crollare. E questo ha danneggiato senza dubbio la Jara, che è stata ministro del Lavoro fino allo scorso aprile. Certo, Kast si accinge a governare a fronte di un Congresso diviso: il che potrebbe rappresentare un problema per alcune delle sue proposte più incisive. Resta tuttavia il fatto che la sua vittoria ha avuto dei numeri assai significativi.
«La vittoria di Kast in Cile segue una serie di elezioni in America Latina che negli ultimi anni hanno spostato la regione verso destra, tra cui quelle in Argentina, Ecuador, Costa Rica ed El Salvador», ha riferito la Bbc. Lo spostamento a destra dell’America Latina è una buona notizia per la Casa Bianca. Ricordiamo che, alcuni giorni fa, Washington a pubblicato la sua nuova strategia di sicurezza nazionale: un documento alla cui base si registra il rilancio della Dottrina Monroe. Per Trump, l’obiettivo, da questo punto di vista, è duplice. Innanzitutto, punta a contrastare il fenomeno dell’immigrazione irregolare. In secondo luogo, mira ad arginare l’influenza geopolitica della Cina sull’Emisfero occidentale. Vale a tal proposito la pena di ricordare che Boric, negli ultimi anni, ha notevolmente avvicinato Santiago a Pechino. Una linea che, di certo, a Washington non è stata apprezzata.
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