Bruxelles cancella con un colpo di spugna i decreti sull'etichetta d'origine, vanto del ministro uscente Maurizio Martina. Ora porte spalancate per i prodotti tarocchi che imitano le nostre eccellenze e che nel mondo valgono circa 70 miliardi. L'obbligo d'indicazione di origine dell'ingrediente principale resterà solo se non coincide con il «made in» dichiarato. Una deroga consente di ritenere sufficienti per risalire all'origine del prodotto «i termini geografici inclusi nei nomi consueti e generici».
Bruxelles cancella con un colpo di spugna i decreti sull'etichetta d'origine, vanto del ministro uscente Maurizio Martina. Ora porte spalancate per i prodotti tarocchi che imitano le nostre eccellenze e che nel mondo valgono circa 70 miliardi. L'obbligo d'indicazione di origine dell'ingrediente principale resterà solo se non coincide con il «made in» dichiarato. Una deroga consente di ritenere sufficienti per risalire all'origine del prodotto «i termini geografici inclusi nei nomi consueti e generici».Stavolta ci tocca davvero piangere sul latte versato. Ma anche sul pomodoro, la ciccia, l'olio, la pasta, il formaggio, il riso. Perché l'Europa - anticipando i tempi - ha fatto esattamente quello che La Verità aveva previsto quindici giorni fa: ha cancellato con un colpo di spugna i famosi decreti che il ministro fu agricolo Maurizio Martina, ora impegnato nella rianimazione del Pd, aveva sbandierato come trincea - visto che è il centenario della grande guerra - del made in Italy: la famosa etichetta d'origine. E ha sbugiardato anche il trionfalismo del ministro confindustriale Carlo Calenda che sulla difesa del made in Italy - annunciata e mai attuata - ha costruito una carriera. Non serve: basta indicare dove il prodotto è stato trasformato e confezionato. Se poi dall'etichetta - ad esempio dal nome del prodotto - il consumatore ricava sufficienti elementi per conoscere l'origine si può non scrivere nulla. Se c'è scritto «mozzarella», di default se ne ricava che è italiana, se poi ci scrivi che lo stabilimento è in provincia di Pavia stai a posto. È inutile sottilizzare se il latte commercializzato da una società anonima tedesca è di una vacca bianconera polacca, magari munta da un afghano pagato due euro l'ora. Si sapeva che l'Europa non avrebbe tollerato i decreti d'origine: le «dieci sorelle» - i colossi dell'agroalimentare che fatturato 600 miliardi di euro - avevano già intimato a Bruxelles di fermare gli italiani. Così l'Europa - con il nuovo regolamento varato due giorni fa in sede tecnica che entrerà in vigore nell'aprile 2020 - ha legittimato il cosiddetto italian sounding, anzi lo incoraggia. Sono i prodotti tarocchi o comunque d'imitazione che valgono sul mercato mondiale circa 70 miliardi di euro. Si sapeva anche che quei decreti italiani mai presentati a Bruxelles erano come lo yogurt: a scadenza ravvicinata, ed era noto a tutti - in primis alla Coldiretti che ha avallato la bugia del ministro salvo ora minacciare fuoco e fiamme - che il Mipaaf stava facendo il gioco delle tre carte. Si apriva un fronte di crisi? Maurizio Martina prometteva una bella etichetta d'origine per tutelare il prodotto nazionale. Ma a Bruxelles c'è una Penelope, Federica Mogherini alto commissario alla (non) politica estera europea, pure lei piddina, che disfa ciò che Martina tesse in Italia. L'agroalimentare è usato come «merce diplomatica». Non tutto però: solo le produzioni mediterranee e segnatamente italiane. La politica di pane e pace si fa con il riso (l'Italia è il primo produttore del continente, così capace che lo vendiamo perfino ai cinesi), il pomodoro, l'olio extravergine di oliva, l'ortofrutta. Quanto al latte, ci pensano le famigerate quote, dalle quali nessun governo, tanto meno quelli di sinistra, è mai riuscito a scomputare il fiume di ettolitri che servono a produrre ad esempio Parmigiano reggiano e Grana padano che ci danno il primato mondiale di esportazione di formaggi certificati. Ma Maurizio Martina, ai produttori ridotti alla miseria dal dumping internazionale, ha sempre detto «etichetta d'origine», e la difesa è fata. Non è così. Ora l'Europa lo ha messo nero su bianco. Complice il Commissario alla salute alla sicurezza alimentare Vytenis Andriukaitis, ora c'è un nuovo regolamento in cui sostanzialmente si lasciano libere le industrie di fare come piace a loro. L'obbligo d'indicazione di origine dell'ingrediente principale resta solo se non coincide con il «made in» dichiarato. Inoltre se il prodotto è Dop o Igp basta la parola. Una deroga consente di ritenere sufficienti per risalire all'origine del prodotto «i termini geografici inclusi nei nomi consueti e generici, dove tali termini indicano letteralmente l'origine». Un esempio? I confetti di Sulmona. Non sono Dop ma sono un prodotto italianissimo. Ebbene, se si fanno in Turchia con mandorle cinesi, zucchero indiano, poiché sono «di Sulmona» in etichetta, per l'Europa va bene. Appena il 5 aprile scorso - quando è entrato in vigore il decreto di Martina ora divenuto carta straccia che obbliga l'indicazione in etichetta dello stabilimento di trasformazione - Roberto Moncalvo, gran capo di Coldiretti affermava: «Questa è la vera difesa del Made in Italy». Sono passate due settimane e questo trionfalismo è diventato «la Commissione europea ha perso l'occasione per combattere i fake a tavola». Ma c'è un'altra verità che sottende all'atteggiamento dell'Europa: l'Italia dell'agroalimentare è un cliente scomodo che va fiaccato. Fatturiamo oltre 190 miliardi di euro (considerando anche i 60 miliardi propri dell'agricoltura) ed esportiamo per quasi 35 miliardi con una crescita nel 2017 di 3 punti percentuali. Bisognava agire prima che l'Italia avesse un governo, magari a trazione leghista. E così è stato con buona pace del made in Italy.
Bill Emmott (Ansa)
Giannini su «Rep» favoleggia di un mondo parallelo di complotti neri, mentre sulla «Stampa» Emmott minimizza il video manipolato di The Donald. Quando giova ai loro obiettivi, indulgono su bavagli e odio.
S’avanza la Cosa Nera. Un orrore primordiale simile all’It evocato da Stephen King, entità oscura che stringe la città di Derry nelle sue maligne grinfie. Allo stesso modo agiscono le «tenebre della destra mondiale» descritte ieri su Repubblica da Massimo Giannini, che si è preso una vacanza dal giornalismo per dedicarsi alla narrativa horror. E ci è riuscito molto bene, sceneggiando una nuova serie televisiva: dopo Stranger Things ecco Populist Things. Una narrazione ambientata in un mondo parallelo e totalmente immaginario in cui «populisti e estremisti deridono le istituzioni democratiche, avvelenano i nostri dibattiti, traggono profitto dalla paura». Un universo alternativo e contorto in cui «gli autocrati possono spacciare le loro verità alternative a community scientemente addestrate a un analfabetismo funzionale coerente con lo spirito del tempo».
Maurizio Landini (Ansa)
- Aumentano gli scontenti dopo il divorzio dalla Uil. Ma il leader insiste sulla linea movimentista e anti Meloni In vista di elezioni e referendum è pronto a imporre il fedelissimo Gesmundo come segretario organizzativo.
- Proteste contro l’emendamento che chiede di comunicare 7 giorni prima l’adesione.
Lo speciale contiene due articoli.
Da mesi, chi segue da vicino le vicende del sindacato e della politica economica del Paese si pone una domanda, se vogliamo banale: ma è possibile che di fronte alla trasformazione della Cgil in una sorta di movimento d’opposizione al governo, ai continui no rispetto a qualsiasi accordo o contratto di lavoro che possa coinvolgere la Meloni e a cospetto di un isolamento sempre più profondo, non ci sia nessuno che dall’interno critichi o comunque ponga qualche domanda a Maurizio Landini?
2025-11-16
Borghi: «Tassare le banche? Sostenibile e utile. Pur con i conti a posto l’Ue non ci premierà»
Claudio Borghi (Ansa)
Il senatore della Lega: «Legge di bilancio da modificare in Aula, servono più denari per la sicurezza. E bisogna uscire dal Mes».
«Due punti in più di Irap sulle banche? È un prelievo sostenibilissimo e utile a creare risorse da destinare alla sicurezza. Le pensioni? È passato inosservato un emendamento che diminuisce di un mese l’età pensionabile invece di aumentarla. La rottamazione? Alla fine, anche gli alleati si sono accodati». Claudio Borghi, capogruppo della Lega in commissione Bilancio del Senato e relatore alla legge di bilancio, sciorina a raffica gli emendamenti di «bandiera» del suo partito con una premessa: «Indicano una intenzione politica che va, poi, approfondita». E aggiunge: «Certo, la manovra avrebbe potuto essere più sfidante ma il premier Giorgia Meloni non ha fatto mistero di volerci presentare nella Ue come i primi della classe, come coloro che anticipano il traguardo di un deficit sotto il 3% del Pil. Io, però, temo che alla fine non ci daranno alcun premio, anche perché, ad esempio, la Bce ha già premiato la Francia che ha un deficit superiore al nostro. Quindi, attenti a non farsi illusioni».
Roberto Fico (Ansa)
Dopo il gozzo «scortato», l’ex presidente della Camera inciampa nel box divenuto casa.
Nella campagna elettorale campana c’è un personaggio che, senza volerlo, sembra vivere in una sorta di commedia politica degli equivoci. È Roberto Fico, l’ex presidente della Camera, candidato governatore. Storico volto «anticasta» che si muoveva in autobus mentre Montecitorio lo aspettava, dopo essere stato beccato con il gozzo ormeggiato a Nisida, oggi scaglia anatemi contro i condoni edilizi, accusando il centrodestra di voler «ingannare i cittadini». «Serve garantire il diritto alla casa, non fare condoni», ha scritto Fico sui social, accusando il centrodestra di «disperazione elettorale». Ma mentre tuona contro le sanatorie, il suo passato «amministrativo» ci racconta una storia molto meno lineare: una casa di famiglia (dove è comproprietario con la sorella Gabriella) è stata regolarizzata proprio grazie a una sanatoria chiusa nel 2017, un anno prima di diventare presidente della Camera.






