2022-06-14
Il flop del Viminale da Palermo a Taranto. Urne vietate a migliaia di elettori
In Sicilia indaga la Procura. A Cosenza scrutatori intrappolati nel traffico a tarda notte non riescono a consegnare i verbali.Resta l’atroce dubbio: ma i 174 presidenti di seggio palermitani erano a Mondello per rinfrescarsi dall’opprimente calura o alla Favorita per assistere alla promozione in serie B dei rosanero? Incaricata di scoprirlo è ora la procura del capoluogo siciliano, a cui sono state segnalate 200 persone, scrutatori compresi, dopo l’apocalisse domenicale. Decine di sezioni sono rimaste chiuse per ore. Presidenti e scrutatori non si sono presentati all’appello, impapocchiando improbabili giustificazioni a poche ore dal voto. Adesso indagheranno i magistrati. Intanto, filtrano le prime sentite giustificazioni dei disertori: la paga da fame, 288 euro ai presidenti e 208 agli scrutatori, per quattro giorni di lavoro. Allora, a quel punto, meglio stare sul divano e attendere pazienti il bonus da 200 euro promesso dal governo contro i rincari. E poi, fiuuu che fatica, stavolta si prospettava davvero un lavoraccio: oltre alla scheda per le amministrative, c’erano da scrutinare anche quelle per i cinque referendum sulla giustizia. Mentre, uno dopo l’altro, i prescelti inviavano in extremis improbabili certificati medici, si è maldestramente cercato di correre ai ripari arruolando valorosi. In una quarantina di sezioni su 600 le operazioni sono cominciate addirittura dopo le 14. La ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, come al solito, interviene a disastro accertato, tacciando i rei «di assoluta mancanza di rispetto per le Istituzioni» e sollecitando un’indagine dei magistrati palermitani. Matteo Salvini, nella conferenza stampa di ieri pomeriggio, rivela: «A mezzogiorno con 38 seggi ancora chiusi a Palermo mi sono permesso di chiamare il Quirinale perché mi sembrava una situazione di furto di democrazia da quarto mondo». Già: i presidenti latitanti erano sulla battigia o allo stadio? Avvilente dilemma a parte, rimane l’incidentale conseguenza sottolineata dal leader leghista: «È stato rubato il voto a migliaia di persone». Il centro destra assale Lamorgese per «la pessima gestione». E la procura indaga per interruzione di pubblico servizio, rifiuto di atti d’ufficio e la violazione della legge elettorale del 1960. Eppure, s’avanza il solito sospetto all’italiana: disastro annunciato. Anche questo. Del resto, le defezioni selvagge sarebbero state già chiare ben due giorni prima dell’apertura delle urne. Tanto che, lo scorso venerdì pomeriggio, il comune aveva chiesto aiuto all’ordine degli avvocati, che non a caso adesso invoca addirittura l’annullamento delle elezioni, per sostituire i disertori. Nonostante la rogna fosse quindi di pubblico dominio, l’allarme rosso sarebbe scattato solo il giorno dopo, a poche ore dall’apertura delle sezioni. Persino i vigili urbani mobilitati. E un accorato appello ai cittadini più valorosi, in deroga alle disposizioni che prevedono la selezione dei presidenti solo da un apposito albo avallato della Corte d’appello. Così, la mattina di domenica si scatena l’atteso pandemonio. Seggi sbarrati a centinaia di elettori. «Con la partita decisiva per la promozione del Palermo», dicono adesso alcuni rappresentanti di lista, «era tutto assolutamente prevedibile. La prefettura non ha rinviato la partita e non ha neppure pensato a un piano alternativo». E di fronte alle richieste di proroga del voto fino a lunedì, come quella del governatore siciliano, Nello Musumeci, il Viminale prima esclude ogni deroga. Poi, invia una nota chiedendo l’immediato accorpamento delle sezioni senza presidenti a quelle operative. Infine, annuncia, cum gaudio magno, che la situazione si avvia verso «la normalità». A circa sette ore dall’apertura delle urne. Lamorgese, bontà sua, concede almeno agli eroici votanti, magari già rimbalzati in mattinata, di votare anche oltre le 11 di sera. Generosa deroga concessa solo a quelli già all’interno dei seggi, s’intende. È andata meglio a Taranto. Sabato mattina mancavano all’appello 87 presidenti di seggio su 191: quasi la metà di quelli nominati nelle scorse settimane. Peggio che a Palermo, quindi: dove i renitenti erano un terzo. Eppure, nella città pugliese sono corsi ben più celermente ai ripari. A Cosenza, invece, la nottataccia c’è stata a urne ormai sigillate. Un traffico tentacolare alla Johnny Stecchino ha stritolato il capoluogo calabrese. Alle 3 di notte decine di auto rimanevano ancora incolonnate, dirette verso il tribunale della città. I malcapitati erano gli impiegati dei diversi Comuni della provincia, a bordo delle loro auto di servizio, incaricati di consegnare i plichi dei seggi in cui s’era votato. Il ritardo sarebbe stato causato dalla lentezza degli uffici. Tutti in colonna, dunque. Nella trepida attesa che zelanti magistrati e accorti amministrativi si preparassero ai conteggi. Con la pazienza di Giobbe e l’accuratezza di un amanuense.
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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