2021-05-22
Il fisco secondo Draghi smonta l’Ue di Letta
Enrico Letta e Mario Draghi (Ansa)
Davanti a un segretario dem che sogna la patrimoniale ed elogia l’austerity il premier ha issato un muro. Gli assalti però non sono finiti perché dietro al Pd c’è una filiera che parte da Bruxelles. Anche se al Nazareno l’ala renziana ha già iniziato a dare battagliaIn questo momento l’Europa si divide in due squadre: quella che non vuole togliere il denaro dalle tasche dei cittadini ancor più perché vittime della pandemia, e quella che invece ha aspettato la pandemia per rendere sistemico il prelievo di denaro proprio dalle tasche dei cittadini. Mario Draghi è stato esplicito durante la conferenza stampa di giovedì. Appartiene alla prima squadra. Vede un’Europa destinata a combattere l’austerity e a rivedere i trattati, non solo per forma politica. Ma per trovare uno sbocco alla deriva socialdemocratica. Purtroppo è in squadra da solo. Enrico Letta, quando propone di togliere ai ricchi per dare l’elemosina ai giovani affinché studino, sventola la casacca della seconda squadra. Non siamo qui ad analizzare la dannosità e l’ingiustizia della proposta, basta dire che con essa il comunismo ha raggiunto la sua versione 4.0. Siamo qui purtroppo a dire che Letta, mentre pedala in bici e si fa intervistare per pubblicizzare il suo libro, è il consapevole alfiere di una lunghissima catena di potere che parte dai vertici di Bruxelles, passa per Paolo Gentiloni, altro strumento di solito inadeguato e per questo utile, e arriva a mezzo Pd italiano. Non a caso, nonostante Letta si sia preso una sberla in faccia quando Draghi l’ha smentito a reti unificate, ieri ha dovuto sostenere una pesante telefonata con il premier che serviva a dimostare apparente sintonia. Non sappiamo nel dettaglio che cosa si siano detti. Certo Draghi non gradisce le continue uscite distorsive da agente infiltrato di quell’Ue che lo stesso Draghi non sembra apprezzare. E il disagio deve esser emerso chiaramente. Il risultato però è che Letta deve proseguire nella sua battaglia di impoverimento del Paese. Dopo che il Pd ha perso i suoi elettori, è diventato il veicolo migliore per far perdere agli italiani i loro soldi e per portare avanti le riforme sollecitata dal Fondo monetario e dalla ex Troika.Domani sera Letta sarà in tv da Fabio Fazio a sponsorizzare il libro e soprattutto a ribadire quanto sia importante togliere a chi il Pd definisce ricco per dare l’elemosina a chi - sempre il Pd - vuole poter controllare a suon di elemosine e sussidi. Perché la libertà economica è il principale elemento che garantisce la dignità. E questo è il perno della battaglia che l’esecutivo si appresta a sostenere. Draghi, dopo aver stoppato la patrimoniale lettiana, ha aggiunto che, in questo momento di pandemia, non si parla di tasse in assoluto, e che in ogni caso non si parla di tasse senza prima aver portato avanti la riforma fiscale. Al momento del discorso di fiducia in Aula, il premier ha citato l’importante riforma Vanoni assieme al modello danese. Un messaggio chiarissimo. Il rimodellamento fiscale degli anni Cinquanta ha portato all’Italia del boom. Ha consentito la nascita della borghesia e della vera progressività erariale. Il modello danese è invece uno schema recente datato 2008. In Danimarca hanno fatto una riforma ascoltando tutti i pezzi della società e facendo una sintesi forse utile a tutti. Questa è la riforma fiscale che evidentemente ha in mente Draghi. Non ha nulla a che fare con le idee di Letta & C. Non a caso, sempre più spesso i giornali affiancato al nome di Draghi citano la riforma Visentini degli anni Settanta. Che invece è stato l’avvio dell’Ici e del prelievo sul patrimonio. Ciò che sicuramente Draghi ha in mente è il riordino. Mentre la sinistra per poter continuare a dragare le risorse ha bisogno del caso fiscale e della continua stratificazione di norme. Ne segue che la riforma fiscale che adesso sta facendo i primi passi in Commissione sarà il vero banco di prova del governo prima della manovra. Su questo tavolo si scontrerà l’Europa che ha in mente Draghi e l’altra dominante. Chissà quale delle due vincerà. Draghi rischia un po’ di essere assediato come ai tempi dell’Eurotower, quando ben quattro servizi di intelligence sorvegliavano non si sa se lui o la sua integrità. Non a caso bisogna registrare che già adesso il premier è circondato dalla filiera di Gentiloni. È forte e attiva a Palazzo Chigi e non a caso ha insistito per ben due mesi per far nominare Alessandra Dal Verme a capo del Demanio. La dirigente è cognata di Gentiloni e soprattutto si occuperà della digitalizzazione e della riforma del Catasto. Vi dice qualcosa? Nuovi estimi più patrimoniale. Perché l’Europa sa bene che dai redditi degli italiani non c’è più nulla da spremere. Restano le case. Poco importa se alle famiglie per pagare le nuove tasse toccherà svendere se non hanno la liquidità sufficiente. Insomma, sarà una battaglia complicata. L’alleato di Draghi è però la debolezza del Pd. Ieri a parte i commenti di consuetudine dentro il Nazareno si è sollevato il tweet di Andrea Marcucci, renziano di ferro e capogruppo del Pd trombato lo scorso marzo: «La proposta di Letta su #tassadisuccessione è sbagliata nei tempi e nei modi. Nel merito basti ricordare che stiamo lavorando a una riforma complessiva del fisco». Ecco, i lettiani sanno di sedere su un campo magmatico cosparso di mine innescate a suo tempo da Matteo Renzi. Oggi più che mai vicino alla Lega.