2021-11-25
Il firmatario dell’emendamento. «Fu Palazzo Chigi a farlo saltare»
Antonio Funiciello (Ansa)
L'ex senatore dem Giorgio Santini presentò la norma sulle sigarette poi stoppata dal blitz di Funiciello & C. E nelle chat spunta anche Morando: bisogna fare un passaggio pure con luiGli atti dell'inchiesta Open ci insegnano che la discussione degli emendamenti di una legge di stabilità o di un decreto fiscale è una guerra senza esclusione di colpi. Nei giorni scorsi abbiamo rivelato come il responsabile delle relazioni esterne della British american tobacco Gianluca Ansalone avesse messo nel mirino l'emendamento presentato dal senatore Pd Giorgio Santini, norma che proponeva di inasprire le accise sulle sigarette di fascia medio bassa. Per l'uomo delle sigarette una questione di vita o di morte. Tanto da scrivere all'allora ministro Luca Lotti: «Se passasse questo emendamento nel giro di un paio d'anni almeno due operatori (noi e Imperial tobacco) non saremmo più in grado di stare sul mercato». Come abbiamo svelato nei giorni scorsi Ansalone mette in campo anche l'allora capo staff del premier Paolo Gentiloni, ovvero Antonio Funiciello, attuale capo di gabinetto di Mario Draghi. Alla fine l'emendamento viene ritirato e tutti festeggiano. Sulla questione Funiciello non ha voluto rispondere alle nostre domande e allora abbiamo tentato con Santini. Che cosa ricorda di quelle ore in cui, con la proposta a sua firma, aveva mandato sulla graticola la Bat e poi era stata ritirata? L'ex sindacalista vicentino fruga nella memoria: «Non ricordo pressioni. All'epoca ero capogruppo Pd in commissione Bilancio. Era una situazione ingarbugliata in cui si sovrapponevano un decreto fiscale e una legge di bilancio. Immagino che sia stata annunciata una non praticabilità da parte della Presidenza del Consiglio. Farlo ritirare era complicato perché c'era il parere positivo del Mef, grazie a quella norma si trovavano delle risorse». E allora che è successo? «Nella riunione di maggioranza che precedeva la commissione, la riunione dove si allineavano i pareri sarà stato detto che la Presidenza era contraria (è capitato in molti altri casi) e la prassi era di adeguarsi. È andata sicuramente così. Non può esserci un'altra spiegazione». La decisione di ritirarlo sarebbe stata presa nella riunione, ma il ritiro formalmente è avvenuto in commissione. Chi è stato l'ambasciatore di Palazzo Chigi in commissione? Funiciello? «Funiciello lo conosco bene e non è intervenuto in questa vicenda. In altre sì, ma a me non ha detto nulla di quell'emendamento. Solitamente mandavano dei funzionari che dicevano che su quel punto c'era un'obiezione della Presidenza del Consiglio. Loro delegavano persone che seguivano i lavori nella di preparazione, ma sono cose che non passavano per comunicazioni telefoniche». Ma perché ha firmato quell'emendamento? «Gli emendamenti che presentavano particolari complessità li firmava il capogruppo perché farli ritirare da un parlamentare non è mai semplice perché ognuno ha la sua testa… il povero capogruppo firmava tutto quello che poteva essere oggetto di discussione per avere le mani libere per proporlo o ritirarlo, per essere padrone dell'emendamento». Da dove arrivava l'emendamento? «Immagino attraverso qualche parlamentare. Come sia entrato e come sia uscito non lo so. In quel decreto fiscale ne avrò firmati 200». Santini ricorda che il Mef aveva approvato l'emendamento nella persona del sottosegretario Enrico Morando. Alla riunione di maggioranza c'era anche lui? «Penso che ci fosse, era lì in rappresentanza del governo». Potrebbe aver cambiato idea e aver chiesto lui di ritirarlo? «Non lo so. Nella riunione di sintesi non lo ha fatto». Morando di fronte alle nostre domande sorride: «Non posso ricordarmi di una cosa del genere. Sono passati anni e il rappresentante del Mef doveva pronunciarsi su, in media, tra i 1500 e i 3500 emendamenti. Certamente in quella riunione è stato discusso altrimenti non sarebbe potuto essere approvato o disapprovato. Era un metodo che consentiva un minimo di coinvolgimento della maggioranza nelle scelte e che adesso pare superato». In quell'occasione intervenne un emissario di Palazzo Chigi? «Se nella riunione di maggioranza più governo è venuto fuori un parere negativo è perché la riunione ha deciso di non votarlo le altre sono ricostruzioni fantasiose».Nelle chat di quei giorni compare anche il nome di Morando. Quando è il momento di far bocciare gli emendamenti dell'opposizione (16 dicembre 2017) dopo quello di Santini, Ansalone contatta Lotti: «Credo che come la scorsa volta sia necessario un tuo passaggio con Morando. Te ne sarei grato». Sembra di capire che anche con l'emendamento Santini fosse stato fatto un «passaggio» con il sottosegretario. Nelle chat, a proposito di un altro emendamento, un indagato specifica che «decide lui», Morando. Continuiamo a leggere il messaggio di Ansalone: «Scusami ancora per la rottura, ma per noi, come sai, significherebbe chiudere il business. Credo vada in votazione a breve». Risponde Lotti: «Mi sono già mosso. Avvisa il mio uomo che è in commissione. Giovannelli». Cioè il trentanovenne avvocato Alessandro Giovannelli da Fiesole, consigliere politico dell'ex ministro. Ha percepito redditi dalla Presidenza del Consiglio ed è stato dipendente della Camera. Nel 2018 è stato assunto a tempo indeterminato dall'associazione Gruppo parlamentare Pd Senato. Tre giorni dopo il messaggio sopra citato Ansalone ringrazia Lotti: «Caro Luca. L'emendamento Ravetto è stato appena accantonato. Sono in contatto con Alessandro e teniamo gli occhi aperti». La Bat, tra il 2014 e il 2017, ha finanziato la fondazione Open con 255.000 euro in sei tranche. In un appunto dell'avvocato Bianchi si legge che Ansalone avrebbe consegnato (ulteriori?) 5.000 euro a Lotti. L'argent de poche della fondazione.
Matteo Salvini (Imagoeconomica)
La stazione di San Zenone al Lambro, dove il 30 agosto scorso un maliano ha stuprato una 18enne (Ansa)