2020-04-29
«Il filo rosso che lega il delitto Mattarella a quello di Pio La Torre»
Una foto di scena del film «Il delitto Mattarella» (Ansa/Ufficio Stampa)
Il regista del film sull'omicidio Aurelio Grimaldi: «Dc e Pci in Sicilia collaborarono fino al diktat di Berlinguer. E Piersanti perse il suo sostegno più grande».Chi se non il regista Aurelio Grimaldi poteva perseguire il progetto di un film sulla morte di Piersanti Mattarella, fratello della presidente della Repubblica Sergio, ucciso dalla mafia 40 anni fa? Il delitto Mattarella è uno dei film che avrebbe dovuto uscire nelle sale in questa primavera, prima della chiusura. Giunge quindi come un'anticipazione il libro omonimo, edito da Castelvecchi, in cui la medesima vicenda è analizzata in una prospettiva completamente diversa. Per Grimaldi, nato a Modica nel 1957, trapiantato in Lombardia, poi nuovamente in Sicilia, dove ha insegnato nel carcere minorile Malaspina (il suo libro Meri per sempre ha ispirato il film di Marco Risi, aprendogli le porte del cinema), è anzitutto un viaggio nella sua storia personale e nella sua coscienza, scossa da quell'omicidio.Ha conosciuto il presidente Sergio Mattarella?«Ho partecipato anche io all'indimenticabile esperienza della “primavera" di Palermo. Sergio Mattarella fu nominato commissario straordinario della Democrazia cristiana con pieni poteri dal segretario nazionale De Mita, che in Sicilia, bisogna dargliene atto, chiese un vero repulisti. Fu proprio Mattarella il protagonista, ma sempre in disparte, di quella rivoluzione palermitana. Fu lui che “impose" il sindaco Leoluca Orlando, giovanissimo collaboratore di suo fratello Piersanti. C'era un grande fervore. Io avevo appena vissuto l'esperienza come insegnante al carcere minorile Malaspina ed ero stato coinvolto in quel processo di rinnovamento, e in quell'occasione, se non ricordo male, mi fu presentato dallo stesso sindaco». Ha tentato di incontrarlo, quando ha deciso di girare il film e di scrivere il libro sulla morte di suo fratello?«Mi sono dato una linea: gli eventuali miei rapporti con la famiglia Mattarella devono rimanere privati. Non bisogna confondere il lato umano di Piersanti Mattarella, con gli incarichi pubblici di suo fratello e dei suoi figli».Immagino che lei abbia sottoposto la sceneggiatura ai figli di Piersanti Mattarella.«Ho avuto il privilegio, in passato, di girare film su Pier Paolo Pasolini e Aldo Moro, ma sul caso della morte di Mattarella ci tenevo ad essere molto documentato. In questo senso, proprio mentre ero nella fase calda di scrittura, domandai a Bernardo Mattarella se potevo incontrarlo per porgli alcune domande su suo padre. Bernardo, gentilissimamente, acconsentì e rispose con pazienza e infinità disponibilità alle mie numerose domande. E devo anche dire che grazie a quel colloquio modificai del tutto la figura di Rosario Nicoletti, segretario regionale della Dc, morto suicida nel 1984, e inserii ex novo la figura di Michele Sindona. Nell'ultima fase di lavoro, prima delle riprese, mostrai la sceneggiatura a Leoluca Orlando, che la lesse con passione e attenzione e mi diede due consigli molto utili».Anche colleghi registi e sceneggiatori?«Solo amici strettissimi. Sono sempre in contatto con Marco Risi, dai lontani tempi di Mery per sempre e Ragazzi fuori, ed è stato uno dei pochi che ho «costretto» a vedere due volte i premontati dei film».Qual è stato il suo giudizio?«Sempre tra il tecnico e l'affettuoso. Gli avevo chiesto di darmi una mano in momenti intricati del montaggio, quando avevo veramente molte perplessità e cercavo soluzioni, sperimentavo nuove vie. Il film è inevitabilmente complesso. Marco è una vera macchina di cinema e i suoi consigli sono sempre acutissimi. Devo ringraziare anche Giorgio Gosetti, che mi ha dato a sua volta consigli davvero decisivi».Nel libro dichiara la volontà di porre nella narrazione filmica un limite temporale, ovvero di non affrontare gli sviluppi successivi alla morte di Piersanti Mattarella. «Questa è la grossa differenza tra i “limiti" di un film e la libertà e ampiezza concettuale di un libro. Nel film ho solo la possibilità di mostrare la morte di Pio La Torre, deputato e segretario regionale del Pci in Sicilia, assassinato due anni dopo Mattarella, avendo raccontato la loro sostanziosa collaborazione politica e umana. Nel libro posso documentare quanto Mattarella andasse più d'accordo nella sua azione di governo con il partito comunista che con i suoi colleghi di partito in Sicilia. Il Pci era parte organica della maggioranza e, anche se non aveva assessori, dava un sostanziale appoggio esterno e partecipava direttamente alla costruzione del programma di governo. Era una collaborazione molto fruttuosa. Leoluca Orlando mi ha vivamente ricordato quanto Piersanti Mattarella rimase amareggiato perché il Pci siciliano, sotto il diktat del segretario nazionale Berlinguer, fu costretto a interrompere questa vera e propria alleanza. Mattarella si trovò privato del suo maggior sostegno politico e morale».Il libro nasce dalla volontà di chiarire tutte queste dinamiche...«Nel cinema posso mostrare in faccia quelli che per me, e per molti documenti, sono i due assassini di Piersanti Mattarella, e questo è il vantaggio del cinema. Nel libro posso riferire, documenti alla mano, il perché di questo convincimento (lo stesso della Procura di Palermo, del giudice istruttore Giovanni Falcone, del pm di Appello e Cassazione Leonardo Agueci)».La morte di Piersanti Mattarella è come un primo tempo di una storia a venire, che si sarebbe sviluppata nel tempo e di cui avremmo capito le dinamiche a distanza di decenni. «Non ce l'avevo chiaro in testa, ma è esattamente così. Vito Ciancimino e Salvo Lima a quei tempi erano già discussi e screditati, ma mantenevano, in Sicilia, un potere assoluto. Mattarella venne ucciso e loro continuarono ad avere il potere di prima, moltiplicato, perché al comune di Palermo arrivò il sindaco Nello Martellucci e soprattutto venne nominato presidente della Regione D'Acquisto, due andreottiani di ferro, scelti proprio da Lima e da Andreotti in persona».In questa densità di fatti, quale strada ha seguito per raccontare la storia?«Nel film ho scelto di non raccontare la storia in ordine cronologico, né ho utilizzato una struttura tradizionale, partendo dall'omicidio per mostrare poi come si fosse arrivati fino a quel momento. Questo per ambizioni, lo ammetto, vanitosamente autoriali e avendo come mio riferimento Francesco Rosi, soprattutto Il caso Mattei. Il libro, invece, è basato sui documenti e rappresenta l'altra faccia del film. L'aspetto fondamentale è questo: chi ha ucciso Piersanti Mattarella? Nel film si racconta una storia e, se ci sono dei punti dubbi, bisogna prendere una posizione, altrimenti la storia non la si può raccontare. E così devo mostrare la faccia e la storia di chi, secondo me, ha sparato a Piersanti Mattarella, ma per rispetto delle sentenze, modificarne i nomi, rendendo le persone dei personaggi. Nel libro ho invece la possibilità di entrare nelle sentenze stesse, confrontandole con il rinvio a giudizio di Falcone e colleghi, e nei ricorsi del pm Agueci in Appello e Cassazione, e circoscriverne così contradizioni e punti indebitamente oscuri. E posso elencare ventisette punti che contrastano con la sentenza di assoluzione nei confronti di Valerio Fioravanti e Gilberto Cavallini. Questo è il vantaggio del libro».