2020-08-14
Il duo Biden-Harris tra soldi e vendette è il più abortista della storia degli Usa
Joe Biden (Drew Angerer/Getty Images)
Quando era procuratrice, l'aspirante vicepresidente fece inquisire l'attivista che aveva denunciato Planned Parenthood.Non soltanto la Silicon Valley. Tra i potentati che sostengono l'attuale candidata democratica alla vicepresidenza, Kamala Harris, 56 anni il prossimo 20 ottobre, compare anche la onlus abortista Planned Parenthood: specializzata in salute riproduttiva, nel 2018 l'associazione vantava - secondo Forbes - un patrimonio netto di quasi 2 miliardi di dollari, potendo contare su finanziamenti governativi e sovvenzioni private. Ora, che la onlus intrattenga strettissimi legami con la Harris non è certo un mistero, visto anche l'endorsement arrivato nelle scorse ore per la sua scelta come candidata alla vicepresidenza. «Planned Parenthood Action Fund (la sezione dedicata alle attività di lobbying della onlus, ndr) è entusiasta di congratularsi con la senatrice Kamala Harris per la sua nomina a vicepresidente per il ticket presidenziale democratico», si legge in un comunicato stampa. «Nel corso della sua carriera», prosegue la nota, «è stata una ferma sostenitrice dei diritti riproduttivi e dell'assistenza sanitaria. Con questa scelta, Joe Biden ha chiarito di essere profondamente impegnato non solo a proteggere i diritti riproduttivi, ma anche a promuoverli e ad ampliarli». Del resto, come dare torto a Planned Parenthood? Durante la campagna elettorale per le ultime primarie democratiche, la senatrice californiana ha trovato proprio nella difesa dell'aborto il suo cavallo di battaglia. E sempre in materia di interruzione di gravidanza ha criticato i giudici nominati da Donald Trump alla Corte Suprema o alle corti federali inferiori. Basti ricordare che, nel dicembre del 2018, attaccò un togato in Senato per la sua appartenenza all'associazione cattolica dei Cavalieri di Colombo, chiedendogli: «Lei sapeva che i Cavalieri di Colombo si opponevano al diritto della donna di scegliere, quando è entrato nell'organizzazione?». Una domanda che le attirò le critiche non soltanto dei repubblicani ma anche di alcuni colleghi democratici. D'altronde, non va neppure ignorato che l'impegno abortista della Harris abbia sempre trovato proprio in Planned Parenthood il suo centro gravitazionale. Quando si candidò al Senato nel 2015, la Harris - all'epoca era procuratore generale della California - inserì sul proprio sito web una petizione per la difesa di Planned Parenthood. Tanto che qualcuno ha finito con l'ipotizzare un possibile conflitto di interessi. Per quale ragione? Nel 2015, l'attivista pro-life, David Daleiden, rese pubblici alcuni video carpiti segretamente in cui si mostrava come alti funzionari di Planned Parenthood fossero implicati nella vendita di tessuti fetali. Ne scaturì una bufera politica che, oltre alla creazione di una commissione parlamentare ad hoc, portò la Camera dei Rappresentanti a votare il blocco dei finanziamenti alla onlus per un anno. Come riportato dal Los Angeles Times nell'aprile del 2016, la Harris - che era già in campagna elettorale per il Senato - ordinò la perquisizione dell'appartamento di Daleiden, dove furono sequestrati un laptop e alcuni dischi rigidi. Non solo. Secondo quanto riferito dal Washington Times, la Harris - sempre in veste di procuratore generale - collaborò con Planned Parenthood nella stesura di una norma statale che limitava - guarda caso - la segnalazione di illeciti nel settore sanitario: norma che venne approvata dall'allora governatore della California, il democratico Jerry Brown, nel settembre del 2016. Il sospetto di un cortocircuito, insomma, è forte. E, partendo da questo quadro, a maggio scorso Daleiden ha citato la Harris in giudizio per violazione dei diritti civili, accusando la diretta interessata di aver agito con moventi politici. Ma veniamo ai problemi di natura elettorale. Al di là della questione Planned Parenthood in sé, l'attuale ticket democratico è probabilmente tra i più abortisti della storia americana. Soprattutto dopo che, l'anno scorso, Biden - sotto pressione della sinistra - ha rinnegato la sua storica difesa del cosiddetto Emendamento Hyde: un dispositivo legislativo del 1976 che limita i finanziamenti federali in materia di interruzione di gravidanza. La questione è più che spinosa. Non solo perché, secondo il Pew Research Center, il 29% degli elettori democratici si colloca su posizioni antiabortiste (preoccupazioni sulla scelta della Harris sono state tra l'altro espresse dall'associazione Democrats for life of America). Ma anche perché si scorge un problema in termini di voto cattolico: un voto che - dalle presidenziali 2004 - risulta fondamentale per conquistare la Casa Bianca. Biden, che si professa cattolico, è già finito nel mirino di molti suoi correligionari proprio a causa delle posizioni sull'aborto, mentre la linea della Harris su questo fronte non riequilibra certo i pesi. Il necostituito ticket è del resto ben più abortista del tandem formato da Hillary Clinton e Tim Kaine alle elezioni del 2016: la coppia era infatti più cauta su interruzione di gravidanza e Planned Parenthood. Ciononostante, si vide sottrarre la (seppur lieve) maggioranza del voto cattolico da Trump. Staremo a vedere. Ma, per Biden, la scelta della Harris potrebbe rivelarsi un boomerang.
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
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