2020-06-16
Il Dragone approfitta delle proteste e aizza l’Africa contro gli Stati Uniti
L'Onu discuterà del razzismo della polizia su richiesta di Paesi come Kenya, Uganda e Congo, dove la violenza è all'ordine del giorno. Sull'operazione aleggia l'ombra di Xi Jinping, intenzionato a screditare Washington.Schiaffo dell'Onu agli Stati Uniti. Ieri il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha annunciato che, mercoledì prossimo, terrà un dibattito urgente su «razzismo sistemico, brutalità della polizia e violenza contro le proteste pacifiche». Come riportato da The Hill, la decisione ha fatto seguito a una richiesta, avanzata venerdì scorso, dal Burkina Faso, per conto di 54 Paesi africani: in una lettera si chiedeva infatti di aprire un dibattito su «violazioni dei diritti umani dettate da motivazioni razziali, brutalità della polizia contro persone di origine africana e violenza contro le pacifiche proteste che chiedono che queste ingiustizie cessino». La missiva, partendo dalla morte di George Floyd, metteva nel mirino soprattutto Washington. È probabile che gli Stati africani presenteranno una risoluzione, mentre da parte degli americani - che si sono ritirati dal Consiglio per i diritti umani due anni fa, accusandolo di tenere posizioni di ostilità verso Israele - non sono stati ancora rilasciati commenti. Tuttavia, quella che a prima vista sembra una rivendicazione di giustizia, rischia in realtà di celare alcuni elementi non poco controversi.In primo luogo, non è esente da un certo paradosso che siano gli Stati africani ad avanzare una simile richiesta. Non dimentichiamo infatti che svariati di questi stessi Paesi riscontrino non pochi problemi sulla questione della brutalità delle proprie forze dell'ordine. Una questione che si è addirittura aggravata nel periodo dei lockdown, imposti a causa del coronavirus. Come ha rilevato Reuters lo scorso aprile, si sono infatti verificati vari episodi di violenza ed eccessivo uso della forza. In Congo, un video ha ripreso un agente che picchiava un tassista con un manganello, mentre in Senegal - a fine marzo - sono state registrate immagini di poliziotti che percuotevano civili in fuga con dei manganelli. La stessa polizia locale ha dovuto scusarsi per gli «interventi eccessivi». Tutto ciò, mentre - a inizio aprile - in un villaggio dell'Uganda le forze dell'ordine, per disperdere degli assembramenti, hanno distrutto porte e trascinato persone, ferendo 30 donne e alcuni uomini: anche in questo caso, la stessa polizia locale ha definito «scandaloso» quanto accaduto. In Kenya, svariate persone sono state uccise per imporre il coprifuoco: circostanza che ha costretto il presidente, Uhuru Kenyatta, a scusarsi per la brutalità della polizia. Tutto questo, senza infine dimenticare alcuni episodi controversi verificatisi in Sudafrica. Del resto, proprio Kenya e Sudafrica hanno mostrato negli ultimi anni svariati problemi legati alla violenza delle forze dell'ordine.In secondo luogo, è abbastanza evidente che - dietro la richiesta capeggiata dal Burkina Faso - si celi in realtà un intento di carattere geopolitico. È infatti chiaro che, con ogni probabilità, si tratti di una mossa della Cina per cercare di mettere in difficoltà Washington. In primis, non dimentichiamo che Pechino sta da giorni enfatizzando le proteste seguite alla morte di Floyd, avendo tra l'altro bollato il razzismo come «malattia cronica della società americana». Una strategia (di matrice sovietica), con cui la Repubblica Popolare mira a mettere in cattiva luce gli Stati Uniti e - soprattutto - a schivare le critiche sul dossier Hong Kong. In secondo luogo, non trascuriamo la decisa influenza che la Cina esercita da tempo su numerosi Stati africani: un'influenza di natura economica e geopolitica, su cui puntualmente Pechino riesce poi a far leva proprio in sede di Nazioni Unite. La dinamica che stiamo vedendo d'altronde in azione nel Consiglio per i diritti umani è molto simile - mutatis mutandis - a quanto abbiamo avuto già modo di constatare in seno all'Organizzazione mondiale della sanità. Non sarà quindi un caso che, domenica scorsa, il direttore generale dell'Oms, Tedros Ghebreyesus, sia figurato tra i firmatari di un documento che, partendo dal caso Floyd, denunciava il «razzismo sistemico contro le persone di origine africana»: una dichiarazione che era evidentemente diretta contro Washington.D'altronde, se è vero che una parte delle forze di polizia negli Stati Uniti si macchia di atti violenti, non è altrettanto automatico collegare questa violenza ipso facto a moventi di natura razzista. Un recente studio dell'Università del Michigan e dell'Università del Maryland ha infatti evidenziato come i cittadini afroamericani abbiano maggiore probabilità di essere uccisi da agenti essi stessi afroamericani. Questo poi ovviamente non significa che non si verifichino atti di razzismo. Ma parlare di «razzismo sistemico» nella società statunitense di oggi significa ignorare (o fingere di ignorare) che cosa il razzismo sistemico sia realmente stato nella storia americana, quando - tra la fine dell'Ottocento e gli anni Sessanta del Novecento - i neri, negli Stati del Sud, venivano linciati, non avevano diritto di voto e subivano il segregazionismo razziale. Perché è da qui che passa la differenza tra il cercare di raddrizzare le oggettive storture insite nella società americana e il fare null'altro che gli interessi di una potenza asiatica imperialista.
«The Iris Affair» (Sky Atlantic)
La nuova serie The Iris Affair, in onda su Sky Atlantic, intreccia azione e riflessione sul potere dell’Intelligenza Artificiale. Niamh Algar interpreta Iris Nixon, una programmatrice in fuga dopo aver scoperto i pericoli nascosti del suo stesso lavoro.