2020-07-08
Il decreto Semplificazioni è solo un guscio vuoto. Ma Conte festeggia lo stesso
Il premier parla di «madre di tutte le riforme»: peccato che il testo sia stato approvato «salvo intese» e manchino provvedimenti attuativi e lista delle 130 opere da sbloccare.Ogni sua recita commuoverebbe anche Giorgio Strehler e Milva. Il teatro e il suo doppio, al Palazzo Chigi Theatre l'immagine si stacca dalla realtà diventando pura finzione; Giuseppe Conte in calzamaglia nera è inarrivabile nel mettere in pratica gli insegnamenti di Antonin Artaud. La stagione è sold out, dopo «L'Europa ci ammira» e «Una potenza di fuoco mai vista», va in scena «La madre di tutte le riforme», ultimo capolavoro della nota Trilogia della frottola. Il copione è stato condiviso nottetempo dalla compagnia di giro anche se alcuni distinguo saranno sperimentati direttamente sul palco. Sipario. Ortaggi.Ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere per come il premier ancora una volta tenta di spettacolarizzare - con uno storytelling che neppure Matteo Renzi strafatto di stracciatella di Grom avrebbe immaginato - l'ennesima legge truffa. Il decreto Semplificazioni mostra la corda fin dal roboante annuncio, con la formula copiata dalla «madre di tutte le battaglie» che faceva parte dell'armamentario propagandistico di Saddam Hussein prima della guerra del golfo; non gli andò benissimo. Poi ci sono le modalità: estenuanti riunioni culminate nella notte dell'Innominato, con il Pd a fare resistenza sulle prerogative della pubblica amministrazione (non sia mai, sono voti) e il Movimento 5 stelle a fare muro sul dogma della corruzione preventiva delle aziende italiane (leitmotiv elettorale). Alla fine si è arrivati a una firma «salvo intese», che in ogni accordo notarile privato significa che la partita è ancora aperta.Secondo uno stile consolidato, il premier Conte sta vendendo qualcosa di diverso rispetto a ciò che mostra sulla foto del catalogo. Una cineseria da bazar, un mattone al posto della reflex. Tutto ciò induce alla diffidenza per due motivi. Il primo riguarda la mancanza della lista delle 130 opere da sbloccare e dei decreti attuativi, decisivi quando si tratta di costruire un'architettura legislativa sulla micidiale burocrazia italiana. Non c'è traccia, verranno stilati in commissione a partire da settembre ed è prevedibile che non arrivino a destinazione prima di Natale. Di conseguenza si innesca il secondo motivo di scetticismo: il decreto dovrà essere convertito in legge passando dall'Aula e che il 31 luglio 2021 decade. Una «madre di tutte le riforme» che vale se va bene sei mesi, sarebbe questo il motivo del trionfalismo?Due numeri impongono cautela. Il primo è 45, la sfilata dei ministri della pubblica amministrazione al governo dal 1950 a oggi. Tutti avevano sbandierato la necessità di un'azione riformatrice per semplificare la macchina dello Stato, nessuno è andato oltre gli annunci. Il secondo numero è 26 e rappresenta i decreti attuativi necessari per far camminare la precedente madre di tutte le riforme, la legge che porta la firma di Marianna Madia, spiaggiata come un capodoglio fra distinguo sindacali e circolari interpretative. Come scriveva Leonardo Sciascia: «Una storia semplice è molto complicata». In Italia chi tocca la burocrazia muore (d'inedia). Chi prova a trasformare la Pa da «peso aggiunto» a «potenziale aiuto» finisce con un tricorno in testa, in un parco protetto dagli infermieri.Questo per dire che Conte è al primo chilometro, non all'ultimo. Ma con un senso unicamente teatrale del suo ruolo istituzionale mette all'incanto la pentola bucata alla fiera del santo patrono. In questo caso la strategia è pericolosa perché la verifica è immediata: si parla di rilancio delle infrastrutture ma il nuovo ponte di Genova è fermo per l'indecisionismo della maggioranza fra gli insulti del sindaco Marco Bucci e del governatore Giovanni Toti; si vagheggia di snellimento e razionalizzazione delle pratiche ma nella Liguria del turismo l'Anas ha piazzato 26 cantieri per aiutare gli italiani ad andare al mare in Italia. L'annuncite dell'avvocato del popolo non è nuova se pensiamo a quell'«Europa che ci ammira e ci copia» enfatizzato in conferenza stampa nel pieno della pandemia. Poi si scoprì che nessuno a Bruxelles si era mai sognato di imitare le mosse di un governo che dalla dichiarazione dello stato di emergenza al primo provvedimento aveva fatto trascorrere più di un mese, con conseguenze sanitarie devastanti. Il premier ci ha poi riprovato con la famosa «potenza di fuoco mai vista», ma l'helicopter money non è mai decollato. Anzi, le imprese che hanno anticipato la cassa integrazione hanno ricevuto, al posto del grazie, le sberle del presidente dell'Inps Pasquale Tridico. E il numero uno di Confindustria, Carlo Bonomi, è stato messo sulla graticola dai media governativi per avere osato annunciare un autunno difficile. Previsione puntualmente confermata ieri da uno studio di Bankitalia: «Più di un terzo degli intervistati dichiara di disporre risorse finanziarie liquide sufficienti per meno di tre mesi a coprire le spese per i consumi essenziali». Come se non bastasse, dopo la cura del governo il Pil tendenziale dell'Italia perderà l'11,2%: siamo ultimi. Anche questo, per la felicità di Enrico Letta e Paolo Gentiloni, ce lo dice l'Europa. La discrasia fra annunci e realtà è terribile mentre la madre di tutte le riforme atterra come un foulard. Ma al Palazzo Chigi Theatre nessuno si preoccupa perché lì viene illuminato solo il palco. Dove il Conte incipriato recita il nuovo umanesimo italiano con la parrucca scespiriana.
Nel riquadro: Ferdinando Ametrano, ad di CheckSig (IStock)
Francesca Albanese (Ansa)