I rendimenti dei T-Bond sono scesi dai massimi del 4,8% di metà gennaio al 3,99% di venerdì. Un calo che potrebbe liberare fino a 100 miliardi di dollari da impiegare per l’annunciato maxi taglio delle tasse.
I rendimenti dei T-Bond sono scesi dai massimi del 4,8% di metà gennaio al 3,99% di venerdì. Un calo che potrebbe liberare fino a 100 miliardi di dollari da impiegare per l’annunciato maxi taglio delle tasse.davvero importanti. Tra miliardi «bruciati» o «in fumo» sul mercato azionario attribuiti con granitica certezza (degna di miglior causa) ai dazi di Trump, c’è che invece si sta facendo due conti per calcolare quanto i recenti bruschi movimenti sui mercati abbiano migliorato i conti pubblici di Washington. Si tratta di Scott Bessent, segretario al Tesoro Usa, che ogni anno deve rifinanziare circa 36.000 miliardi di dollari di debito pubblico a cui poi si aggiunge un deficit che nel 2024 è stato circa il 6% del Pil. Deve quindi presentarsi a chiedere agli investitori di sottoscrivere titoli nell’ordine di 9.000-11.000 miliardi all’anno (tra breve e medio-lungo termine). Significa una spesa per interessi pari nell’anno fiscale 2024 a circa 882 miliardi di dollari. Poco meno del 3% del Pil. Un livello nettamente superiore ai 345 miliardi di dollari spesi quattro anni prima, nel 2020.In termini relativi, la spesa per interessi nel 2024 ha assorbito circa il 13% del bilancio federale degli Stati Uniti, superando la spesa per la Difesa (12,5%) e posizionandosi come la terza voce di spesa più grande, dopo la previdenza sociale (21%) e Medicare (13,3%). Inoltre, solo fino a pochi giorni fa, si stimava che tale spesa potesse superare i 900 miliardi di dollari, con alcune fonti che prevedevano un aumento fino a 1.200 miliardi di dollari entro il 2034, se i tassi di interesse e il debito avessero continuato a salire.Un trend che metteva in discussione il secondo pilastro del piano di Bessent 3-3-3 (3% di crescita del Pil, 3% deficit/Pil e 3 milioni di barili/giorno in più di produzione di petrolio), il quale non ha mai fatto mistero di desiderare e auspicare una riduzione dei tassi anche a beneficio dei consumatori (il tasso del titolo decennale è guida per i tassi sui mutui). Allo stesso modo, ha derubricato la correzione del mercato azionario partita il 19 febbraio come un evento «salutare e normale», un modo per evitare l’accumulo di una bolla speculativa dopo un lungo periodo di rialzi, paragonabile a dinamiche che in passato hanno preceduto crisi come quella del 2008.È così partita una rotazione geografica (meno Usa, più Europa), settoriale (meno big tech, più old economy) e tra classi di attività finanziarie (meno azioni, più obbligazioni) che attendeva da mesi solo l’accensione della miccia per detonare. E, come spesso accade, sui mercati non si procede con avanzamenti lineari, ma si scatta in avanti o all’indietro.Il mondo mitologico di chi crede che i miliardi si brucino e vadano in fumo è popolato di osservatori incapaci di mettere un fenomeno in prospettiva e notare che la Borsa Usa era in crescita ininterrottamente dal 2017, tanto che si parlava da tempo di «eccezionalismo» Usa, per commentare un fenomeno che sfidava ogni legge di gravità, con imprese (come Tesla) il cui prezzo era più di 100 volte gli utili previsti. Incapacità che significa anche non comprendere che quando si vende un’attività finanziaria, giocoforza se ne compra un’altra, quale che sia. Non ci sono falò per le strade del financial district di New York.E questa volta, quando gli investitori hanno aggiustato i loro portafogli per tenere conto del nuovo scenario macroeconomico tratteggiato da Trump, a beneficiare dei flussi di acquisti e reinvestimenti sono stati i titoli pubblici Usa. Un’ondata di acquisti che in poche settimane ha fatto scendere i rendimenti (e salire i prezzi) dei T-Bond dai massimi del 4,80% intorno a metà gennaio, al 3,99% della chiusura di venerdì. Pura manna dal cielo per Bessent e, ovviamente, per tutti i detentori di titoli pubblici Usa, per i quali il Treasury resta il bene rifugio per eccellenza. Ma questa discesa dei tassi - tassello decisivo nel complesso puzzle per dare all’economia Usa un assetto meno squilibrato - non ha fatto notizia. Troppo impegnati nel guardare al fumo dei falò per notare che Bessent stava «andando a dama».Parliamo di numeri significativi. Cento punti base in meno di rendimento - su emissioni lorde di 10.000 miliardi previste per il 2025 - significano 100 miliardi in meno all’anno di spesa per interessi, che diventano 600 miliardi su una durata media del debito di sei anni. Un taglio del 11% della spesa per interessi e fieno in cascina per alimentare un imminente programma di tagli di imposte ritenuto necessario, nella politica economica di Trump, per compensare il potenziale effetto recessivo e inflazionistico nel breve termine dei dazi all’importazione. Un prezioso spazio fiscale a disposizione del Tesoro Usa e un deciso sollievo per il costo dei debiti delle famiglie e imprese Usa. È vero che al momento la discesa è stata di 80 punti dai massimi e 40 circa nell’ultima settimana, ma l’ordine di cifre resta impressionante. L’esatto contrario della «tassa von der Leyen» che invece è piombata su noi europei a inizio marzo, grazie alle iniziative unilaterali e non concordate del presidente della Commissione e del cancelliere in pectore tedesco Friedrich Merz. La famosa «compattezza» della Ue, diluita in salsa tedesca. Non ricordiamo titoli di giornaloni in quei giorni per commentare il danno di portata epocale inflitto alle quotazioni dei nostri titoli pubblici. Ma forse i titoli ansiogeni e isterici erano tutti in serbo per questi giorni, quando c’è stata una salutare e attesa correzione, mentre Bessent e Trump hanno 100 miliardi all’anno in più da aggiungere al già cospicuo e imminente piano di tagli alle tasse.
Massimo Doris (Imagoeconomica)
Secondo la sinistra, Tajani sarebbe contrario alla tassa sulle banche perché Fininvest detiene il 30% del capitale della società. Ma Doris attacca: «Le critiche? Ridicole». Intanto l’utile netto cresce dell’8% nei primi nove mesi, si va verso un 2025 da record.
Nessun cortocircuito tra Forza Italia e Banca Mediolanum a proposito della tassa sugli extraprofitti. Massimo Doris, amministratore delegato del gruppo, coglie l’occasione dei conti al 30 settembre per fare chiarezza. «Le critiche sono ridicole», dice, parlando più ai mercati che alla politica. Seguendo l’esempio del padre Ennio si tiene lontano dal teatrino romano. Spiega: «L’anno scorso abbiamo pagato circa 740 milioni di dividendi complessivi, e Fininvest ha portato a casa quasi 240 milioni. Forza Italia terrebbe in piedi la polemica solo per evitare che la famiglia Berlusconi incassi qualche milione in meno? Ho qualche dubbio».
Giovanni Pitruzzella (Ansa)
Il giudice della Consulta Giovanni Pitruzzella: «Non c’è un popolo europeo: la politica democratica resta ancorata alla dimensione nazionale. L’Unione deve prendere sul serio i problemi urgenti, anche quando urtano il pensiero dominante».
Due anni fa il professor Giovanni Pitruzzella, già presidente dell’Autorià garante della concorrenza e del mercato e membro della Corte di giustizia dell’Unione europea, è stato designato giudice della Corte costituzionale dal presidente della Repubblica. Ha accettato questo lungo colloquio con La Verità a margine di una lezione tenuta al convegno annuale dell’Associazione italiana dei costituzionalisti, dal titolo «Il problema della democrazia europea».
Ansa
Maurizio Marrone, assessore alla casa della Regione Piemonte in quota Fdi, ricorda che esiste una legge a tutela degli italiani nei bandi. Ma Avs la vuole disapplicare.
In Italia non è possibile dare più case agli italiani. Non appena qualcuno prova a farlo, subito si scatena una opposizione feroce, politici, avvocati, attivisti e media si mobilitano gridando alla discriminazione. Decisamente emblematico quello che sta avvenendo in Piemonte in queste ore. Una donna algerina sposata con un italiano si è vista negare una casa popolare perché non ha un lavoro regolare. Supportata dall’Asgi, associazione di avvocati di area sorosiana sempre in prima fila nelle battaglie pro immigrazione, la donna si è rivolta al tribunale di Torino che la ha dato ragione disapplicando la legge e ridandole la casa. Ora la palla passa alla Corte costituzionale, che dovrà decidere sulla legittimità delle norme abitative piemontesi.
Henry Winkler (Getty Images)
In onda dal 9 novembre su History Channel, la serie condotta da Henry Winkler riscopre con ironia le stranezze e gli errori del passato: giochi pericolosi, pubblicità assurde e invenzioni folli che mostrano quanto poco, in fondo, l’uomo sia cambiato.
Il tono è lontano da quello accademico che, di norma, definisce il documentario. Non perché manchi una parte di divulgazione o il tentativo di informare chi stia seduto a guardare, ma perché Una storia pericolosa (in onda dalle 21.30 di domenica 9 novembre su History Channel, ai canali 118 e 409 di Sky) riesce a trovare una sua leggerezza: un'ironia sottile, che permetta di guardare al passato senza eccessivo spirito critico, solo con lo sguardo e il disincanto di chi, oggi, abbia consapevolezze che all'epoca non potevano esistere.






