2020-10-25
Il coprifuoco accende le «cucine oscure»
Si chiamano «dark kitchen» e non ci sono tavoli né camerieri: preparano pietanze solo per il circuito delle consegne a domicilio. Esistono da tempo ma col Covid molti ristoratori ci si sono buttati per resistere. E ora le app di delivery sanno i segreti di ogni menù.Piccole, nascoste, annesse ad un mondo dove rider, delivery e food sono più di banali inglesismi. Le dark kitchen, il cui nome sembrerebbe tradire l'immagine di un luogo sinistro e cupo, sono un fenomeno acclarato, arrivato in Italia tra il 2016 e il 2017. Nate con il solo scopo di rispondere alla domanda crescente di chi voglia mangiare a casa propria quel che preparano i ristoranti, hanno una struttura diversa da quella dei locali tradizionali. Le dark kitchen, letteralmente «cucine oscure», non possiedono sala né camerieri. Solo, fornelli, forni e cuochi professionisti. Sono cucine, e con l'oscurità cui il loro nome pare alludere non hanno niente a che spartire. Perché, diversamente da quel che il termine potrebbe indurre a pensare, le dark kitchen non sono infrattate negli scantinati metropolitani, fra buio e umidità. Le dark kitchen sorgono tra i palazzi, normali ristoranti per più normali avventori (virtuali). Le cucine nascoste, di cui il coronavirus ha incrementato notevolmente la popolarità, sono figlie naturali del food delivery, il cui mercato - oggi capace di generare un valore economico mondiale pari a 35 miliardi di dollari - sarebbe tanto in espansione da poter toccare nel 2030 un valore di 365 miliardi di dollari. Il dato è frutto di uno studio di Banca Ubs, secondo cui la progressiva digitalizzazione della quotidianità dovrebbe portare un numero infinito di persone a ricorrere al food delivery, cibo a domicilio con la qualità di un ristorante. Le consegne a casa sono cosa semplice, e poco basta per avervi accesso. Ogni cellulare moderno consente, gratuitamente, di scaricare un'applicazione, sia Glovo, Deliveroo o UberEats. Queste, di nuovo, gratuitamente, consentono a chiunque di impostare una ricerca sulla base delle proprie voglie. Pizza, dolci, cucina etnica. Ogni bisogno, con il food delivery, può essere soddisfatto. E in fretta, pure. Più in fretta ancora da quando, tra Milano e New York, sono fiorite le dark kitchen, cucine pensate per servire unicamente il mangiatore da divano, senza perdersi nella «distrazione» di un cliente fisico, tradizionale. Le dark kitchen hanno cambiato il mondo della ristorazione e fornito un'alternativa ai modelli canonici. Economicamente, sono sostenibili. Vantaggiose addirittura. Consentono di liberare 25 o 30 punti di conto economico. Con una dark kitchen, viene meno il bisogno di aprire un locale all'interno di un quartiere appetibile. Cosa, questa, che può assicurare al ristoratore un risparmio del 15% sulle spese sostenute. Inoltre, con una dark kitchen, viene meno la necessità di assumere una serie di figure professionali: manager, responsabili di punto vendita, operatori di sala, addetti all'hospitality. La dark kitchen si esaurisce nella cucina, e così le spese da sostenere. Il risparmio generato permette, dunque, a un locale di questo tipo di investire sulla qualità della materia prima e sulla rete di ultimo miglio, dove si gioca la partita con i ristoranti tradizionali. La dark kitchen, in epoca di lockdown, dove - secondo Confcommercio - il 60% dei ristoranti è a rischio chiusura, è stata presentata come risposta sostenibile alle restrizioni da coprifuoco. Con l'obbligo di contingentare le presenze in sala, diversi ristoranti hanno pensato di sposare il modello delle cucine oscure. Ma nel passaggio dal vecchio al nuovo si è persa ogni convenienza. Perché, diversamente da quanto si è stabilito con panel e webinar, un ristorante piegato alla dark kitchen non è profittevole, e nemmeno può esserlo. Perché, è presto detto. Da un lato, un esercente tradizionale ha fatto, nel tempo, ammortamenti che comprendano anche una parte di sala che, nel passaggio a dark kitchen, si rivelerebbe obsoleta senza smettere, però, di gravare sul conto economico del ristorante. Dall'altro, un esercente tradizionale deve affidarsi ad una rete per l'ultimo miglio, vale a dire ad una società che si occupi di consegnare a chi lo abbia ordinato il cibo preparato nel ristorante. Questa rete, di norma, è rappresentata dalle compagnie di food delivery, cui i ristoratori devono assicurare percentuali record, dal 25% fino ad oltre il 30%. Soglia, questa, che poco lascia al margine economico, martoriato ulteriormente da un fatto che i ristoratori tradizionali etichettano come concorrenza sleale. Ad aprire le dark kitchen, infatti, non sono solo ristoratori messi in ginocchio dal coronavirus o imprenditori determinati a soddisfare le esigenze di un pubblico digitale. Ad aprire le dark kitchen sono, soprattutto, le compagnie di food delivery, le stesse cui i ristoratori sono costretti a pagare pegno (e conferire dati), regalando loro il più grande vantaggio competitivo che possa esistere. Il vero vantaggio delle dark kitchen, nel momento dell'apertura, è rappresentato dalla conoscenza del mercato, che permette di sapere in maniera targhettizzata cosa, esattamente, piaccia al pubblico. Conoscere i gusti del cliente, sapere cosa questi voglia mettere sopra una piazza o quale pezzo di sushi preferisca mangiare, permette di stilare un menù pressoché perfetto, riducendo ai minimi termini gli sprechi, altra voce pesante nei ristoranti canonici. Ricerca e sviluppo, una volta posseduto il dato, si fanno inutili. Il conto economico cresce. La concorrenza si annulla. E le compagnie di food delivery, in possesso di ogni informazione relativa ad ordini, gusti e necessità del pubblico pagante, proliferano.